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ROUSSEAU
Nel 1755 viene pubblicata, ad Amsterdam, l’opera: “Secondo Discorso” in
essa l’autore descrive lo stato di natura e le modalità con cui si origina
la diseguaglianza tra gli esseri umani.
Secondo Rousseau l’ineguaglianza non si basa su fatti accertati. Tutti i
ragionamenti condotti dall’autore sono ipotetici e condizionali, ovvero
sono quelli ritenuti più adatti a mostrare la vera origine di questa
condizione, e quindi non si basano su verità storiche. Per rispondere al
perché esista la diseguaglianza bisogna guardare la natura dell’uomo e
non alla sua storia.
La prima mossa di Rousseau è spiegare come abbia fatto la natura a
corrompersi e per farlo descrive prima l’uomo allo stato di natura. La
concezione di esso di Rousseau è molto lontana da quella di Hobbes:
per lui gli uomini allo stato di natura sono innocenti e non hanno la
ragione necessaria per comprendere concetti come l’onore o la vana
gloria. L’uomo viveva isolato e utilizzava le proprie capacità naturali per
far fronte ai pericoli, egli non riesce nemmeno a parlare, tant’è che le
lingue si sviluppano dalla necessità di comunicare con gli altri suoi
simili: al grado zero di civilizzazione si è in una condizione in cui non
esiste nemmeno il linguaggio. Per Rousseau è inconcepibile che due
uomini si sfidino a duello per concetti come l’onore, cosa invece più che
lecita nella concezione hobbesiana: l’errore di Hobbes è stato, secondo
Rousseau, inserire nello stato di natura elementi che fanno parte della
civiltà corrotta. È da Rousseau che prende il via il mito del buon
selvaggio.
La natura umana viene considerata semplice, in cui il solo elemento
esistente è la sopravvivenza materiale, non c’è orgoglio né desiderio di
possedere o sottrarre beni. L’uomo allo stato selvaggio dispone delle
facoltà cognitive che servono a soddisfare i suoi bisogni fondamentali.
Non pensa al futuro, infatti il tempo è un’invenzione dell’uomo, il quale,
allo stato di natura, non può conoscere tale concetto. Anche la famiglia
è un costrutto sociale e nasce dal bisogno di accoppiarsi per via degli
istinti sessuali: gli uomini, infatti, si accoppiano e si separano subito
dopo, poi i figli rimangono con la madre. Non esiste l’istinto di voler
bene ai figli.
Le condizioni in cui vive sono pre razionali e primordiali, sono mossi da
due istinti che si temperano reciprocamente: l’autoconservazione e la
pietà, intesa come ripugnanza nel veder soffrire altri esseri viventi per
lo scattare di un meccanismo d’identificazione: è una sorta di capacità
empatica e, infatti, se si trova ad uccidere altri esseri viventi è solo per
necessità.
Secondo Rousseau, anche Locke ha sbagliato poiché ha fatto una lista
di elementi, che sono in realtà costrutti sociali, descrivendoli come
diritti, ad esempio la proprietà privata: l’uomo primitivo non può avere
ideali perché non ha idee. Ma se la natura umana fosse Document solo
questa non potremmo mai capire cos’abbia comportato l’evoluzione, e
infatti c’è un elemento che non abbiamo ancora citato: la capacità di
raffinarsi, ovvero sviluppare strumenti più raffinati per appagare
bisogni e affinare la propria ragione; ad esempio, l’uomo scopre che il
bastone è meglio per cacciare rispetto alle sole mani.
Secondo Rousseau gli esseri umani sono razionali e la razionalità
permette all’uomo di appagare gli impulsi e le passioni per poter
sopravvivere. È grazie alle passioni che esiste la civiltà perché esse
permettono agli uomini di sopravvivere e sviluppare una vita sociale. Il
bisogno non ha una dimensione univoca: al grado zero di civilizzazione
si parla di bisogni necessari alla sopravvivenza ma, mano a mano,
questi bisogni si evolvono e divenendo il risultato di un combinato di
passione e ragione, ad esempio il bastone viene scoperto, utilizzato e
infine acquisito.
Sul pensiero di Rousseau influisce la letteratura sulle popolazioni
autoctone del nuovo mondo. Rousseau rifiuta l’idea che questi uomini
siano barbari: l’assenza di necessità non è necessariamente negativa:
essa è connotata da innocenza e loro non sono malvagi solo perché
non hanno avuto gli stessi bisogni degli europei o le stesse evoluzioni
tecnologiche. Alcune forme di civiltà non rappresentano il progresso:
l’autore guarda alla Francia del suo tempo che, secondo lui, garantisce
la felicità ma porta miseria e in questo caso bisogna riformare la
società in modo che ci porti fuori dalle condizioni di miseria. Il
passaggio dallo stato di natura allo stato civile produce disuguaglianza
con la quale arrivano anche forme di barbarie.
L’essere umano, ci dice R., è perfettibile, esso, allo stato di natura, non è
particolarmente evoluto. Rousseau suppone dunque che l’essere umano
abbia una serie di capacità che devono però essere sviluppate. Lo
stesso bisogno può essere soddisfatto più volte in base a se ci si trova
allo stato di natura o allo stato civile.
Allo stato di natura non c’è paura della morte perché questa deriva dal
modo in cui gli altri percepiscono la morte stessa e si comincia ad
averne timore quando si prova dispiacere vedendo morire qualcuno,
senza però avere idea se la morte in sé sia dolorosa o meno. Dal
momento in cui l’uomo inizia a sentire il bisogno di un altro uomo e
capisce che è meglio avere provviste per due piuttosto che per uno,
scompare l’uguaglianza e viene introdotta la proprietà: “il lavoro
divenne necessario e le vaste foreste si trasformarono in ridenti
campagne che si dovettero bagnare col sudore degli uomini e nelle
quali ben presto si videro la schiavitù e la miseria germogliare e
crescere insieme alle messi”. In ordine avvengono: cooperazione,
accumulazione, diseguaglianza, proprietà, lavoro necessario,
sovrabbondanza, schiavitù.
L’associarsi con altri esseri umani è l’origine dell’ineguaglianza ma
anche della sovrabbondanza, cioè la possibilità di non avere più
bisogno della sopravvivenza materiale ed avere libere quelle quote di
tempo che servivano per soddisfare i bisogni fondamentali: aumenta
quindi la produttività del lavoro.
Gli esseri umani cominciano ad essere perseguitati dall’ossessione di
accumulare per sé; l’accumulazione è mediata dall’idea di proprietà,
infatti gli uomini non pensano ad accumulare per tutti e proprio per
risolvere questo problema inventano l’idea di proprietà privata. Per
affinare le diverse tecniche, che diventano poi arti e scienze, c’è una
specializzazione in diversi ambiti.
La cooperazione espone gli esseri umani ad un nuovo rischio: io, essere
umano, devo poter dire che certe cose sono mie, e che sono quindi a te,
altro essere umano, inaccessibili. Ecco allora che, assieme alle arti,
nasce l’invidia. La cooperazione ha dunque caratteristiche ambivalenti
e tra gli aspetti negativi vi è un aspetto rilevante: la fine
dell’uguaglianza.
Come in Hobbes, nemmeno in Rousseau si spiega come avvenga il
passaggio dallo stato di natura allo stato civile: non si capisce come
l’uomo incontri i propri simili dato che hanno un immenso spazio fisico
disponibile in cui vivere. La risposta è che si incontrano “a caso” oppure
cominciano a riconoscere i propri simili. Non è chiaro perché quando si
incontrano tentano di sopraffarsi.
Nel Contratto sociale Rousseau descrive come sia possibile organizzare
la cooperazione in modo che non si producano né elementi di
coercizione né elementi di diseguaglianza. Il contratto è stretto tra i
membri, come singoli, e la collettività, come persona in via di
costituzione. La possibilità di generare una forza o un potere che è
superiore a quello di un singolo individuo sta unicamente nel mettere
insieme le forze di molti individui. Esattamente come pensava Hobbes,
l'esistenza del potere del sovrano discende dalla forza conferita dai
sudditi sottoposti: non c'è un'origine divina. Questa forza non è una
forza di cui il sovrano dispone naturalmente rispetto agli altri ma viene
semplicemente conferita. Gli esseri umani non devono rinunciare né alla
loro libertà né alla loro volontà. Il problema è trovare una forma di
associazione che con tutta la forza comune difenda e protegga le
persone e i beni di ogni associato, e mediante la quale ciascuno
unendosi a tutti, resti non meno libero di prima. La cooperazione, resa
necessaria dai suoi effetti positivi, deve trovare una forma che rispetti
questo.
Secondo Rousseau il contratto sociale deve essere un dispositivo che
non comporti la cessione di una quota di libertà (contrariamente a
quanto sostiene Locke). Rousseau tenta di mettere a punto un sistema
in cui gli uomini si autogovernano senza dover rinunciare alla libertà e
lo fa sviluppando un preciso schema: i membri di un’associazione si
conservano tramite un sistema il cui concetto chiave è la sovranità. La
forma di associazione concepita da Rousseau prevede che si sia uguali
e liberi come prima: si obbedisce al sovrano come si obbedisce a se
stessi e questo è possibile grazie alla volontà generale che è diversa
dalla volontà di tutti. La volontà generale è la volontà del corpo
collettivo.
Per Rousseau quando in un’associazione ci si trova a dibattere bisogna
scartare a priori formulazioni di tipo individuale, come “io vorrei”, “per
me sarebbe meglio” e bisogna invece prediligere formulazioni collettive,
come “per tutti sarebbe meglio”. Questo va fatto perché ciò che allo
stato civile assume più importanza è ciò che risulta migliore per la
collettività. Sembra strano che questo sia possibile, ma Rousseau
spiega che lo è grazie alla volontà generale, la quale fa emergere negli
uomini la loro ragione che, a sua volta, li porta a riconoscere l’idea
razionale di bene condivisa da tutti loro. La ragione conosce il bene e
quando l’uomo lo vede lo riconosce.
La volontà generale non sbaglia mai perché è espressione della ragione
e dissentirle equivale ad agire in maniera irrazionale. La volontà
generale delibera sempre all’unanimità e non si vota mai, nello stato
civile rousseauiano, perché votare presuppone che esista una
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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