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Decostruire l’identità sessuale e di genere significa mettere in discussione l’idea che esistano
identità fisse, naturali e universali legate al sesso biologico. Si tratta di un approccio critico,
influenzato dagli studi femministi e queer, che mostra come il genere non sia una semplice
espressione della biologia ma una costruzione sociale, storica e culturale. Judith Butler, ad
esempio, ha sostenuto che il genere è una “performance”, cioè un insieme di atti ripetuti che
costruiscono ciò che appare come naturale. La decostruzione implica anche il rifiuto della
dicotomia maschio/femmina, e l’apertura a una molteplicità di identità di genere e orientamenti
sessuali. L’antropologia decostruttiva analizza come le norme di genere siano imposte, mantenute
e contestate nelle diverse culture, e come le persone si approprino o resistano a queste norme
attraverso pratiche quotidiane, discorsi e relazioni.
06. Arjun Appadurai antropologo post-coloniale
Arjun Appadurai è un importante antropologo post-coloniale che ha studiato i processi di
globalizzazione e i cambiamenti culturali nelle società contemporanee. Il suo approccio si basa
sull’idea che la cultura non sia più legata a contesti stabili e omogenei, ma sia attraversata da
flussi globali di persone, media, idee, tecnologie e capitali. Secondo Appadurai, la globalizzazione
ha prodotto una molteplicità di “panorami culturali” che ridefiniscono le identità, i desideri e le
aspirazioni collettive. Ha criticato le visioni statiche e locali della cultura, proponendo invece una
prospettiva dinamica, che tiene conto delle discontinuità e delle tensioni prodotte dai movimenti
globali. Il suo lavoro rientra nell’ambito degli studi post-coloniali perché affronta le eredità del
colonialismo e le disuguaglianze generate dalle relazioni di potere globali.
07. Arjun Appadurai
Appadurai ha sviluppato un modello teorico innovativo per analizzare la globalizzazione culturale,
fondato su cinque “scapes” o paesaggi: etnoscape (movimenti di persone), mediascape (flussi di
informazioni e immagini), technoscape (diffusione delle tecnologie), financescape (flussi di
capitale) e ideoscape (circolazione delle ideologie e dei valori). Questi panorami non sono lineari o
omogenei, ma si intersecano e si influenzano a vicenda, generando forme ibride e imprevedibili di
cultura. Appadurai sottolinea l’importanza dell’immaginazione come forza sociale che consente agli
individui e ai gruppi di proiettarsi in futuri alternativi, trasformando la realtà. Con il concetto di
“agency dell’immaginazione”, mostra come anche le popolazioni subalterne possano ridefinire il
proprio destino nel mondo globalizzato. La sua opera ha rivoluzionato gli studi sulla modernità, il
multiculturalismo e i fenomeni transnazionali.
08. Commentare i panorami culturali di Arjun Appadurai
I panorami culturali, o “scapes”, elaborati da Arjun Appadurai, sono strumenti teorici per
comprendere come la globalizzazione trasformi le culture. Ogni panorama rappresenta un flusso
specifico: l’ethnoscape riguarda i movimenti migratori; il mediascape, la circolazione delle immagini
e dei media; il technoscape, le tecnologie e le loro traiettorie; il financescape, i capitali globali; e
l’ideoscape, le ideologie e i discorsi politici. Questi flussi non seguono confini geografici tradizionali
e creano un mondo sempre più interconnesso, ma anche instabile e diseguale. Appadurai mostra
che i panorami culturali non sono neutrali: sono attraversati da relazioni di potere, conflitti,
appropriazioni. La cultura diventa così un terreno di negoziazione e di lotta, in cui gruppi diversi
cercano di affermare le proprie visioni del mondo. Questo modello aiuta a superare l’idea di culture
isolate e statiche, aprendo alla comprensione delle identità fluide e delle contaminazioni culturali
del presente.
05. Cosa sono le caste?
Le caste sono sistemi di stratificazione sociale rigidamente gerarchici e chiusi, in cui
l’appartenenza a un gruppo (casta) è determinata dalla nascita e condiziona ogni aspetto della vita
di un individuo, come il lavoro, il matrimonio, i rituali religiosi e le relazioni sociali. Il sistema delle
caste è storicamente associato all’India, dove è stato codificato nei testi religiosi vedici e
mantenuto per secoli attraverso norme sociali e religiose. Le caste principali sono i bramini
(sacerdoti), i kshatriya (guerrieri), i vaishya (commercianti) e i shudra (servitori), mentre al di fuori
del sistema vi sono i Dalit (intoccabili), spesso vittime di discriminazioni. Il sistema castale si basa
sull’ideologia della purezza e dell’impurità, e impone una rigida endogamia. Anche se legalmente
abolito in India, continua a influenzare in modo profondo la società. Al di fuori dell’India, sistemi
simili di stratificazione per nascita sono stati osservati in altre culture, sebbene con caratteristiche
diverse. L’antropologia studia le caste come fenomeno culturale e sociale, che rivela le modalità
con cui le società giustificano e riproducono le disuguaglianze.
05. Jean-Pierre Olivier de Sardan e la politica del campo
Jean-Pierre Olivier de Sardan ha contribuito in modo decisivo alla riflessione sull’etnografia come
pratica situata e politicamente complessa, elaborando il concetto di “politica del campo”. Con
questa espressione intende il sistema di relazioni, strategie, alleanze, conflitti e posizionamenti che
l’etnografo vive e costruisce durante il lavoro sul campo. La ricerca etnografica non è mai neutra
né puramente osservativa: il ricercatore entra in un contesto sociale dove è percepito come
esterno, spesso privilegiato, e dove le sue presenze, domande e relazioni modificano le dinamiche
locali. Olivier de Sardan sottolinea che il campo non è dato, ma costruito attraverso pratiche
quotidiane, mediazioni e compromessi. Il ricercatore deve quindi essere consapevole dei propri
impatti, delle aspettative che genera e delle tensioni che possono emergere. La “politica del
campo” è dunque una riflessione critica sulla posizione del ricercatore e sul carattere interattivo e
negoziale della produzione di conoscenza antropologica.
05. I colloqui nella politica del campo di Olivier de Sardan
Nella prospettiva di Olivier de Sardan, i colloqui nel campo non sono semplicemente strumenti
tecnici per raccogliere dati, ma momenti chiave di interazione sociale e costruzione del sapere.
Egli mette in guardia contro l’idea di intervista come atto neutro: ogni colloquio è carico di
implicazioni relazionali, dinamiche di potere e interpretazioni culturali. L’etnografo non è mai un
semplice spettatore, ma partecipa attivamente alla situazione comunicativa, dove il linguaggio, i
silenzi, le esitazioni e le intenzioni devono essere interpretati nel loro contesto. Il colloquio è anche
uno spazio dove emergono ambiguità, contraddizioni e persino manipolazioni da parte degli
interlocutori, che possono avere propri interessi e strategie. La riflessione metodologica di Olivier
de Sardan invita dunque a considerare i colloqui come processi complessi, che richiedono
sensibilità etnografica, attenzione alle relazioni, e capacità di ascolto critico.
05. La combinazione dei dati nella politica del campo di Olivier de Sardan
Jean-Pierre Olivier de Sardan insiste sull’importanza della triangolazione e della combinazione dei
dati per produrre un’analisi etnografica valida. Secondo lui, il ricercatore non può basarsi su
un’unica fonte o su un singolo tipo di dato, ma deve mettere in relazione osservazioni, colloqui,
documenti, pratiche, discorsi e comportamenti. La combinazione dei dati permette di confrontare
diverse versioni della realtà, evidenziare discrepanze, correggere distorsioni e approfondire la
comprensione del contesto. In questo modo si evitano generalizzazioni affrettate o letture parziali.
Olivier de Sardan promuove una prospettiva empirica e critica, dove il dato non è mai preso per
buono in sé, ma analizzato in funzione delle sue condizioni di produzione e del contesto sociale.
Combinare i dati significa dunque costruire un sapere denso, articolato e il più possibile aderente
alla complessità del reale.
05. Commentare le ansie metodologiche nella ricerca multisituata
Le ansie metodologiche nella ricerca multisituata derivano dalla difficoltà di abbandonare il modello
tradizionale dell’etnografia basata su un unico campo, stabile e definito. La ricerca multisituata, che
si sviluppa su più contesti e segue i flussi di persone, oggetti, idee o pratiche, genera una serie di
tensioni epistemologiche e organizzative. I ricercatori si confrontano con problemi di delimitazione
del campo, gestione del tempo, comparabilità dei dati e coerenza analitica. Non è semplice
mantenere una profondità etnografica su contesti molteplici, né costruire un discorso teorico che
tenga insieme esperienze diverse. A queste difficoltà si aggiungono le sfide della
rappresentazione: come narrare in modo efficace una ricerca frammentata e mobile? Le ansie
metodologiche riflettono quindi la complessità di una pratica etnografica che si vuole più adeguata
alla realtà globalizzata, ma che richiede nuovi strumenti, approcci flessibili e maggiore
consapevolezza critica.
06. George E. Marcus e la ricerca multisituata
George E. Marcus è il principale teorico della ricerca multisituata, proposta per la prima volta nel
suo saggio del 1995. Secondo Marcus, per comprendere le dinamiche della globalizzazione, non
basta più studiare una sola comunità o un luogo isolato: bisogna seguire i fenomeni lungo reti e
connessioni che attraversano contesti diversi. La ricerca multisituata è quindi un metodo
etnografico che “segue” oggetti, persone, pratiche o discorsi attraverso spazi molteplici, per
coglierne la complessità transnazionale. Marcus rompe con la nozione classica di campo chiuso e
propone una modalità di ricerca mobile, comparativa e situata. Il ricercatore diventa una figura
itinerante, che attraversa “arene” diverse e costruisce il sapere etnografico in modo processuale e
interattivo. La ricerca multisituata implica quindi un ripensamento del ruolo del ricercatore, dei
confini della cultura e delle strategie di analisi.
05. I soggetti di studio e le arene disciplinari nella ricerca multisituata
Nella ricerca multisituata, i soggetti di studio non sono più comunità locali isolate, ma attori sociali
che operano in contesti multipli, spesso transnazionali. Si tratta di migranti, esperti, funzionari,
attivisti, consumatori globali, professionisti, e altri soggetti che si muovono e agiscono tra più
luoghi. Le arene disciplinari si moltiplicano, poiché la ricerca si svilupp