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LA SOVRANITA' POPOLARE
Come va interpretata l'affermazione della sovranità popolare nell'art.
1 Cost.?
Il comma 2 dell'art. 1 Cost. afferma che la sovranità appartiene al popolo, che
la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione: è usato il verbo
“appartiene” per dire che il popolo è il titolare in senso giuridico della
sovranità, ne mantiene continuativamente il possesso e non può rinunciarvi
(può naturalmente delegarne l'esercizio).
Una simile affermazione della sovranità popolare va letta innanzitutto nel senso
che il popolo costituisce la fonte di legittimazione di ogni potere costituito:
l'organizzazione dello Stato e degli altri enti politici territoriali deve basarsi su
tale principio. Inoltre, nel
contesto storico dell'Italia che aveva appena superato il fascismo, porre il
principio della sovranità popolare alla base dell'ordinamento costituzionale
significava voler sancire nel modo più solenne il rovesciamento
dell'impostazione statolatra che si era affermata nel Ventennio. Tuttavia,
attribuire la sovranità al popolo non vuol dire che lo Stato come persona
giuridica non mantenga la sua posizione di supremazia all'interno
dell'ordinamento: lo Stato è uno degli strumenti (ma non il solo) della volontà
popolare. Ci sono altri strumenti attraverso i quali il popolo fa valere la sua
volontà: gli enti dotati di autonomia riconosciuta dalla Costituzione (le regioni e
gli enti locali); i soggetti sovranazionali (l'Unione europea); il libero associarsi in
partiti politici e in altre organizzazioni (ad es. i sindacati); gli istituti di
partecipazione popolare, tra i quali quelli di democrazia diretta e quelli di
democrazia partecipativa.
Cosa stabiliscono le norme costituzionali sul diritto di voto?
L'art. 48 Cost. disciplina il diritto di voto.
Il comma 1 stabilisce che sono elettori tutti i cittadini che abbiano la maggiore
età: qui si riprende l'identificazione tra cittadinanza ed elettorato, che è stata
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rimessa in discussione recentemente. Ci si chiede se le persone che non hanno
la cittadinanza, ma risiedono stabilmente nel nostro territorio, non debbano
essere considerate membri della società e quindi vedersi riconosciuto il diritto
di voto. Secondo chi sostiene questa tesi minoritaria, l’art. 48 al comma 1 si
limiterebbe a garantire il diritto di voto dei cittadini, senza che ciò ne impedisca
l’estensione, con legge ordinaria, a coloro che cittadini non sono. Già adesso
per le elezioni comunali, la legge estende l’elettorato attivo (coloro che votano)
e l’elettorato passivo (coloro che si candidano) a tutti i cittadini non italiani
dell’UE.
Il comma 2 stabilisce che il voto è circondato da una serie di garanzie: la
Costituzione vuole che il voto sia personale (espresso da ciascun cittadino di
persona), uguale (non sarebbe legittimo il voto plurimo o multiplo, cioè
consentire a particolari categorie di elettori di esprimere un voto che vale più di
uno o di votare più volte), libero (deve essere esente da qualsiasi forma di
costrizione) e segreto (è il presupposto di un voto libero, al punto che è vietato
portare all'interno delle cabine telefoni cellulari o altre apparecchiature che
permettono di fotografare la scheda votata). Il comma 2
definisce il voto come un “dovere civico”: è il frutto di un compromesso che
permise di superare delle aspre contese durante il dibattito sulla materia
elettorale nel periodo costituente. Si disputava fra chi concepiva il voto come
un diritto del cittadino e chi come un dovere il cui mancato adempimento
avrebbe addirittura comportato sanzioni. Nel 1993 fu soppresso il riferimento al
voto come obbligo: il voto è qualificato ora dalla legge come un dovere civico e
un diritto di ogni cittadino, il cui libero esercizio deve essere garantito e
promosso dalla Repubblica. Il comma 3 disciplina in
forme speciali l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero:
questi ovviamente hanno sempre goduto del diritto di voto, ma la distanza
dall'Italia rendeva eccezionalmente oneroso il suo esercizio, dovendo tornare
nel comune di iscrizione nelle liste elettorali. L’unica soluzione è apparsa il voto
per corrispondenza, il quale tuttavia, anche con tutte le possibili garanzie, non
può assicurare interamente la personalità del suffragio.
Il comma 4 prevede specifiche limitazioni al diritto di voto per indegnità
morale, per chi non ha capacità di agire o per pena accessoria in caso di
sentenza penale definitiva: la legge prevede che non godano dell’elettorato
attivo e passivo coloro che sono sottoposti alle misure di sicurezza previste dal
codice penale, coloro che sono sottoposti a misure di prevenzione e coloro che
sono condannati all’interdizione dai pubblici uffici.
Quali sono le cariche elettive nel nostro ordinamento?
Il fatto che sovrano sia considerato il popolo comporta che quella parte del
popolo cui l'ordinamento riconosce la capacità di partecipare alle decisioni
collettive (il corpo elettorale) lo può fare, oltre che in forma diretta, anche e
soprattutto attraverso l'elezione dei propri rappresentanti.
Nel nostro
ordinamento il corpo elettorale elegge: i membri del Parlamento europeo
spettanti all'Italia; i deputati e i senatori; i presidenti delle regioni e i consiglieri
regionali; i sindaci e i consiglieri comunali; i consiglieri circoscrizionali (nei
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comuni in cui siano previste le circoscrizioni) e i consiglieri municipali (in caso
di fusione di più comuni e istituzione del municipio sub-comunale). Per i
presidenti delle province, i consiglieri provinciali, i sindaci e i consiglieri delle
città metropolitane è stata invece introdotta l'elezione indiretta.
Cosa si intende per formula elettorale? E come si distinguono le
diverse formule?
Per formula elettorale si intende un meccanismo per trasformare in seggi i voti
che il corpo elettorale esprime: le diverse formule si distinguono in base
all'elezione di organi monocratici (composti da una sola persona) o all'elezione
di organi collegiali (composti da una pluralità di persone).
Quando si tratta di
eleggere una sola persona, si può stabilire che vince chi ottiene più voti, cioè la
maggioranza relativa. In alternativa si possono stabilire delle condizioni: ad
esempio, che vince chi prende non solo più voti di qualsiasi altro candidato, ma
almeno una certa quota minima dei voti complessivi. Se questa quota è fissata
nella metà più uno, il sistema si chiama allora della maggioranza assoluta.
Nell'ipotesi in cui nessun candidato la raggiunga, si procede a un secondo turno
e si deve stabilire anche quali dei candidati del primo turno partecipano al
secondo. Quando si tratta di eleggere un organo collegiale, si può in
teoria immaginare una formula che permetta a una parte sola di vincere: ad
esempio, si fanno votare liste di candidati e quella che ottiene più voti elegge
l'intero organo. Ma ciò andrebbe contro il principio del pluralismo che
caratterizza lo Stato liberaldemocratico. Al contrario, ci si attende che l'organo
collegiale sia rappresentativo della collettività, sotto il profilo territoriale e sotto
il profilo politico: si cerca di fare in modo che non tutti gli eletti siano
espressione dello stesso territorio o appartengano allo stesso partito. Questa
capacità di rappresentare può essere ottenuta, a seconda del numero di forze
politiche in campo e della distribuzione dei consensi degli elettori, sia con
formule maggioritarie sia con formule proporzionali. Le formule
maggioritarie sono quelle in base alle quali chi prende più voti conquista
l’intera posta in palio, che si tratti di un solo seggio o di più seggi. Esistono due
varianti: plurality a turno unico, in cui il seggio lo vince chi ottiene più voti in
ciascun collegio uninominale; majority a doppio turno eventuale, in cui il seggio
lo vince chi nel collegio ottiene la metà più uno dei voti, per cui se nessuno
consegue questo risultato, si procede a una seconda votazione fra i primi due o
fra coloro che hanno riportato un certo numero di voti.
Le formule proporzionali, invece, sono quelle che ripartiscono i seggi da
assegnare in proporzione ai voti ottenuti da ciascun partito: in questo caso, più
che il contesto politico, è la formula matematica che garantisce il risultato
proporzionale.
I fautori delle formule maggioritarie sostengono che queste favoriscono la
governabilità, mentre i critici sostengono che ciò avvenga a discapito della
rappresentatività. I fautori delle formule proporzionali, invece, sostengono che
queste siano le uniche che garantiscano la rappresentatività, ma i critici
affermano che si creano in questo modo assemblee frammentate e incapaci di
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sostenere il governo.
Esistono infine dei sistemi elettorali misti che cercano di unire i vantaggi di
entrambi evitandone gli svantaggi.
Come funzionava la legge elettorale del 2005 per Camera e Senato?
Abbandonato il sistema uninominale maggioritario, nel 2005 si decise di
tornare a un sistema a base interamente proporzionale (come prima del 1993),
ma fortemente corretto da un premio di maggioranza. Le formule elettorali
erano identiche per entrambe le Camere, ma applicate ad ambiti territoriali
diversi. Alla Camera, ripartiti i seggi proporzionalmente, chi avesse ottenuto più
seggi degli altri avrebbe ottenuto comunque 340 seggi. Si alterava così la
proporzionalità della ripartizione inizialmente effettuata. Nel caso del Senato,
invece, l’attribuzione di un premio nazionale non era compatibile con l’art. 57.1
Cost. che vuole il Senato eletto a base regionale: per questo fu prevista una
pluralità di premi regionali (il 55% dei seggi assegnati ad ogni regione).
Dunque, mentre alla Camera la lista o la coalizione più votata otteneva una
maggioranza certa (340 seggi su 630), al Senato l’esito era casuale, frutto della
sommatoria dei premi distribuiti regione per regione. Era quindi possibile che il
vincitore alla Camera non vincesse anche al Senato, con i conseguenti problemi
per la governabilità.
Cosa ha affermato la Corte costituzionale nelle sentenze del 2014 e
del 2017 sulle leggi elettorali delle Camere?
Con la sentenza del 2014 la Corte costituzionale incise radicalmente sul
sistema elettorale del 2005, producendone uno diverso. La sentenza confermò
che non esiste un modello di sistema elettorale imposto dalla Costituzione: il
Parlamento può scegliere il sistema che ritiene più idoneo. La Corte ritenne
tuttavia che dall'ordiname