Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il montaggio nel cinema classico e l'entrata in scena della star
Il montaggio assume un ruolo decisivo in quel momento fondamentale per la costruzione divistica del cinema classico che è l'entrata in scena della star. Oltre a essere ritardata nel tempo, la prima apparizione del divo in un film hollywoodiano è caratteristicamente frammentata. Ci sono in sostanza due grandi alternative di montaggio in questo senso, a seconda che si proceda dalla messa in scena del corpo a quella del volto o dalla messa in scena del volto a quella del corpo. Il procedimento retorico più comune consiste nel passare dal corpo al volto. Tra i tanti esempi possibili, l'entrata della svampita modella interpretata da Marilyn Monroe in Quando la moglie è in vacanza (The Seven Year Itch, 1956) di Billy Wilder, prima una indistinta silhouette dietro una porta a vetri, poi una presenza in carne e ossa sempre più intrigante via via che si concede alla macchina da presa in figura intera, in piano americano e finalmente, dopo un ulteriore strategico...
allargamento di prospettiva, in un efficacissimo primopiano. Largamente minoritario, ma altrettanto interessante, è il modello alternativo, che punta sull'effetto sorpresa che un inatteso primo piano può veicolare. Uno tra i più celebri esempi di questo tipo è sicuramente l'entrata in scena di Rita Hayworth in Gilda (1946) di Charles Vidor. Quando il baro professionista Johnny Farrel, invitato a casa dal losco biscazziere per il quale lavora, riconosce nella moglie di questi proprio la sua passata fidanzata, c'è uno stacco diretto dalla ripresa dei due uomini al primo piano di Hayworth. Infine, il montaggio entra prepotentemente in gioco nella costruzione divistica se si considera come la presenza della star sia spesso accompagnata dalle inquadrature estatiche di altri personaggi intenti a guardarla. Lo studioso Paul Warren afferma che lo statuto divistico di un certo attore si possa misurare, all'interno del film in cui recita, dal numero diinquadrature direazione (reaction shot) che gli sono dedicate". Pensiamo all'inizio di Sentieri selvaggi (The Searchers, 1956) di Ford, un western promosso dalla Paramount essenzialmente come un film di John Wayne: il cowboy solitario Ethan Ewards (Wayne) stacavalcando in direzione della casa di suo fratello dopo anni di lontananza e i componenti della sua famiglia, uno dopo l'altro, ne riconoscono le fattezze man mano che viene loro incontro. La teoria di Warren è tanto più interessante se si prendono in considerazione le sequenze esplicitamente performative di tanti film hollywoodiani (esibizioni canore, danzanti o di abilità varia), costruite in modo sistematico sull'alternanza tra le inquadrature del divo e quelle del suo pubblico filmico, a sua volta proiezione simbolica del pubblico in sala. Per esempio, quando Marlene Dietrich canta vestita da uomo Quand l'amour meurt in Marocco (Morocco, 1931) di Joseph Von Sternberg. Il montaggio interpreta un
Ruolo decisivo nella messa in scena della star, regolando il tempo di esposizione, stabilendo il cambiamento di punto di vista e, soprattutto, disegnando l'architettura generale degli sguardi interni ed esterni alladiegesi, degli sguardi dei personaggi e degli spettatori, talvolta strategicamente coincidenti. Il corpo del divo viene spezzato nel cinema classico secondo modalità e principi di montaggio ricorrenti che potrebbero essere descritti in termini di montaggio divistico. Il montaggio divistico non rifiuta le convenzioni di scrittura del montaggio narrativo regolate dal continuity system, ma le interpreta in modo caratteristico. Tutte queste forme di montaggio sono rigorosamente disciplinate dal sistema dei raccordi, in particolare dal raccordo di sguardo e, nel caso di scene di dialogo, dal raccordo di direzione degli sguardi, ma non si può affatto sostenere che veicolino il racconto in modo trasparente, secondo la missione istituzionale del cosiddetto montaggio invisibile.
L'immagine del divo tende piuttosto a rallentare lo sviluppo della narrazione e a opacizzare la rappresentazione. Il montaggio divistico, giocando deliberatamente con i desideri e con le aspettative del pubblico, tende a catalizzare l'attenzione dello spettatore sulla star proprio a discapito del lineare fluire del racconto filmico, sbalzando sempre lo spettatore oltre il testo.
Montaggio critico. Il cinema moderno
Il ricambio generazionale del personale tecnico-artistico, l'affacciarsi di nuovi pubblici, il riassetto del sistema dei media innescato dall'avvento della televisione, la diffusione di nuove e più performanti tecnologie di produzione, a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta, hanno contribuito al mutamento delle pratiche di realizzazione e di consumo e al rinnovamento delle forme di scrittura del cinema mondiale. Con l'etichetta "cinema moderno" la storiografia di settore ha descritto il cinema internazionale del secondo dopoguerra.
La "modernità" del cinema moderno risiede nel portare sempre avanti, con il racconto e attraverso il racconto, una riflessione variamente articolata sul cinema stesso e sulle sue facoltà riproduttive affabulatorie, ovvero sulla sua peculiare vocazione a raccontare storie di definizione attraverso le immagini del mondo reale. Il cinema moderno è un cinema che parlando di altro parla anche di sé e parlando di sé parla anche di altro. Le pratiche di montaggio del cinema moderno sono qualificabili come critiche al montaggio classico. Il cinema moderno sperimenta logiche di montaggio che, pur nel loro porsi come alternative al montaggio invisibile, restano fortemente indebitate con la tradizione hollywoodiana. Gli esponenti del neorealismo cinematografico italiano (1945-1948) rompono per primi le convenzioni del cinema classico alla ricerca di un rapporto più immediato con il mondo reale. I rappresentanti francesi della Nouvelle Vague (1959-1963) fannodella infrazione linguistica ilperno di un'estetica metacinematografica. I migliori registi delcinema d'autore internazionale degli anni Cinquanta e Sessantaperseguono forme di montaggio differentemente anticlassiche qualielementi fondanti di una stilistica personale. Gli interpretidella New Hollywood (1967-1975), infine, inglobano lesgrammaticature nel tessuto del racconto per fini eminentementeespressivi. Il montaggio critico del cinema moderno è il primomontaggio autoreferenziale, il primo metamontaggio della storiadel cinema.
Il Neorealismo e la crisi della forma classicaIl Neorealismo cinematografico italiano si può definire come unacomune sensibilità artistica, qualificabile in prima istanza come"realista", condivisa da un gruppo di registi, critici e teoricimossi e ispirati alla stessa maniera dalle difficili condizionipolitiche, economiche e sociali degli anni della ricostruzione. Iltermine "neorealismo" non descrive più
di quattro anni di cinemaitaliano, compresi tra il 1945 del celebre film di RobertoRossellini Roma città aperta e il 1948 di Ladri di biciclette diVittorio De Sica e La terra trema di Luchino Visconti.Un'accezione così ristretta del termine sintonizza il cuore dellaproduzione neorealista alle decisive scansioniextracinematografiche della liberazione dal nazifascismo da unlato (1945) e della sconfitta del fronte democratico popolare alleprime elezioni politiche del dopoguerra dall'altro (1948). Sitende oggi a riconoscere in tanti testi il funzionamento di unacomplessa retorica realista che non si esaurisce affatto inelementi pur importanti come le riprese in ambienti esistenti, lapartecipazione al cast di attori non professionisti o l'attenzionenarrativa alla storia recente del paese. Il presunto realismodelle opere chiave del neorealismo non deriva in altre paroledall'intrusione della realtà "bruta" nel cinema, quanto,soprattutto, daun gioco prestabilito e consapevole di effetti direale. Per quanto riguarda i codici associativi, tre sembrano essere in particolare le direzioni anticlassiche o postclassiche battute dal neorealismo. La prima soluzione, che potremmo definire "montaggio brusco", è una tecnica di montaggio fondata sullo scarso impiego di inquadrature di transizione e di connettivi. Il risultato è una scrittura aspra e spigolosa riconducibile innanzitutto allo stile di Rossellini. Prendiamo Paisà (1946). Il film ripercorre in sei episodi l'avanzata alleata dal sud al nord Italia. Nell'episodio siciliano Carmela, una povera isolana vittima del conflitto a fuoco tra i due eserciti stranieri, ha guidato una truppa di americani in una vecchia torre normanna a strapiombo sul mare e, mentre la maggior parte dei soldati sta esplorando la struttura, passa alcuni momenti in intimità con uno di questi, esposta verso l'esterno, nei pressi di un finestrone di.roccia. Improvvisamente l'uomo contrae il viso in una smorfia di dolore: è stato centrato da un cecchino, ma lo spettatore non fa a tempo a vederlo accasciarsi che Rossellini ha già staccato sul primo piano del soldato tedesco nell'atto di abbassare la canna del fucile. Il cambiamento di tono non poteva essere più radicale. La scenografia naturale, la colonna sonora e l'andamento della conversazione tra i due giovani lasciavano pensare più alla concreta possibilità di un idillio sentimentale che a un epilogo tragico.
La seconda tipologia di montaggio, definibile come "montaggio debole", consiste in un'applicazione eterodossa del sistema dei raccordi codificato dall'industria cinematografica hollywoodiana. Dipende in larga parte dal maggior "posto" riservato tipicamente nell'inquadratura neorealista all'ambiente, al paesaggio, anziché alla figura umana. Relativizzando la centralità figurativa
Del personaggio classico si allenta infatti anche il funzionamento di alcuni raccordi fondamentali come il raccordo di direzione e il raccordo di movimento, raccordi che sulla continuità di rappresentazione della figura umana sono evidentemente organizzati. Non c'è esempio migliore in questo senso di Ladri di biciclette, il dramma dell'attacchino comunale Antonio Ricci di fronte al furto della propria bicicletta, strumento indispensabile all'espletamento del suo lavoro quotidiano, che lascia largo spazio alle vedute di Roma. Così, alle numerose riprese de-drammatizzate dei protagonisti, che deambulano in campo lungo per una città quanto mai fredda e indifferente nell'improbabile ricerca della bicicletta rubata, corrispondono, sul piano del montaggio, raccordi fragili e approssimativi, spesso gravati da