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SECONDA PARTE: DIETRO LA MASCHERA
Un discorso autoritario
Il linguaggio quotidiano è invaso da parole prese dal vocabolario dell’impresa:
molti servizi pubblici assumono il nome di azienda (ospedali, servizi per acqua,
gas, riuti…). La “competitività” è al centro del discorso politico, il sistema
didattico universitario si basa sui crediti, nelle scuole superiori ci sono i debiti e
così via (esempi per mostrare che la lingua svolge un ruolo sociale).
Il linguaggio non è neutrale e ha il ruolo di rappresentare la realtà e mediare il
rapporto tra questa e l’uomo. Se la conoscenza delle persone è ltrata da un
vocabolario di matrice economica il loro punto di vista è condizionato.
Alla colonizzazione del linguaggio comune si aanca l’espansione dei linguaggi
specialistici.
Il linguaggio assume così un ruolo esclusivamente operativo, strumentale, a
discapito della sua dimensione analitica e critica. Questa trasformazione è
stata negli anni Sessanta analizzata da Marcuse, che analizza l’identicazione
tra cosa e funzione: i nomi delle cose indicano al tempo stesso il loro modo di
operare, chiudendo il senso e impedendo di attribuire alla parola altri
signicati.
Il termine valutazione perde il suo signicato astratto; una precisa forma di
valutazione viene indicata come l’unica possibile. La parola merito viene
identicata con i processi in uso per misurarlo escludendo altre possibilità di
denirlo tra cui i valori morali che trascendono la dimensione operativa.
La trasformazione del linguaggio dissolve i concetti in operazioni (la cosa
identicata con la funzione è più reale della cosa distinta dalla funzione). Il
pensiero espresso da questo linguaggio ha una sola dimensione che
corrisponde a ciò che è, al mondo esistente; la dimensione relativa a un
sistema sociale diverso viene cancellata.
Scaricato da Martina (martina.cristini123sss@gmail.com)
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Il linguaggio funzionale e strumentale è anticritico, articolato in enunciati che
trovano in se stessi la propria giusticazione, senza veriche esterne. È un
linguaggio trasparente.
Trasparenza e opacità
La base della trasparenza continuamente evocata è l’informazione.
Se il linguaggio non è neutrale non lo sono neanche le informazioni che
dionde, le quali sono sottoposte a un processo di selezione e a interpretazioni;
questi sono meccanismi evidenti anche se occultati dalla retorica
dell’oggettività nel campo della valutazione. La trasparenza è uno strumento di
controllo e di orientamento anziché un dispositivo di conoscenza.
Il controllo è ecace solo se trova il consenso dei controllati; non si basa sulla
passività e l’imposizione ma utilizza tecniche di attivazione e interiorizzazione
(partecipazione solo apparente perchè non genera alcun coinvolgimento nei
processi decisionali).
Lo scopo dei controlli non è quello enunciato, cioè di attivare pratiche di
verica ma l’introduzione di modiche nelle organizzazioni controllate.
Il sistema dei controlli si nutre della sducia, la quale fa accrescere la domanda
di trasparenza.
Miti della burocrazia
La logica della trasparenza è una logica burocratica che si fonda sull’idea di
eliminare l’arbitrarietà degli interventi individuali.
La burocrazia non è solo un insieme incoerente di procedure prive di senso con
le quali ogni cittadino si scontra nella propria vita quotidiana, è anche un
sistema articolato, onnipresente, in grado di modellare le relazioni sociali.
Nel campo della valutazione e del controllo la burocrazia assume due forme
complementari: la creazione di nuove strutture (agenzie di valutazione) dotate
di regole proprie; l’incremento delle procedure burocratiche cui vengono
costrette le strutture pubbliche.
I controlli e gli apparati burocratici costruiti intorno alle nuove organizzazioni
autonome costituiscono nuove forme di centralizzazione. La burocrazia tratta i
mezzi come se fossero separati dalle cose che realizzano. Le procedure di
valutazione sono più rilevanti rispetto ai processi educativi e lavorativi. Non è
importante che i professionisti che le gestiscono non abbiano alcuna
competenza specica nel settore di applicazione. La loro preoccupazione sarà
quella di lasciare tracce della loro prestazione sul lavoro, non quella di
penetrare nel lavoro soggetto a controllo, di conoscerlo nella sua dimensione
più profonda.
La dicoltà a valutare la qualità con parametri quantitativi spinge a cercarne
sempre di nuovi, è un processo che moltiplica a dismisura gli indicatori,
nasconde l’oggetto reale della valutazione rendendola sempre più
autoreferenziale; ciò dovrebbe garantire maggiore ecienza ma in realtà
genera il suo contrario.
I miti fondativi della burocrazia sono ecienza e razionalità e pretendono di
ridurre tutto a procedure uniformi o statistiche prestabilite; ciò è lontano dalla
vita reale. Scaricato da Martina (martina.cristini123sss@gmail.com)
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Nelle mani degli esperti
L’ideologia del merito ha bisogno di esperti, a cui sono adati i processi di
valutazione; essi impongono i metodi, gli strumenti e il linguaggio da utilizzare.
Dagli anni 60 si è esteso il fenomeno della razionalizzazione della vita sociale,
prodotto della razionalizzazione burocratica che ha determinato profondi
cambiamenti culturali.
L’invadenza degli specialisti condiziona l’autonomia degli individui intesa non
come capacità di separarsi dagli altri ma come la capacità di stabilire una
relazione che è al tempo stesso identicazione e dierenziazione. Questo
comporta che gli individui riuniti intorno a questa relazione accettino il fatto
che non riusciranno a comprendersi reciprocamente in modo integrale,
trasparente.
Gli esperti sono disabilitanti anche perché il loro intervento pervasivo
impedisce la trasmissione dei saperi informali e delle competenze tra
generazioni diverse nella famiglia e tra pari; inoltre porta a non considerare
come importanti gli ideali di indipendenza e autosucienza. Ciascuno è solo
con se stesso, privo di competenze e bisognoso di aiuto. I professionisti
soddisfano i bisogni, ma prima di tutto li fabbricano.
L’Italia ha accettato in modo acritico il modello culturale angloamericano,
diondendo l’ideologia del merito in ogni ambito della vita. Gli esperti sono
divenuti indispensabili, gli insegnanti vengono espropriati della capacità di
valutare in modo indipendente e di decidere liberamente cosa insegnare; ciò
contrappone la nalità del lavoro educativo con la fedeltà a un sistema imposto
dall’esterno. Il sistema standardizzato sottrae le valutazioni alla vita quotidiana
rendendole astratte e nascondendo l’interlocutore che al tempo stesso è
indiscutibile.
Il rapporto dello studente con i sistemi valutativi è passivo, stimola al
conformismo in quanto spinge a nalizzare lo studio a obiettivi immediati e a
limitare la capacità critica per assecondare gli anonimi autori dei test.
Gli esperti attraverso i test riducono la responsabilità degli insegnanti verso gli
studenti e degli studenti verso se stessi.
Questa deresponsabilizzazione si traduce in uno stato di dipendenza
combinandosi con l’estromissione dei cittadini dal campo decisionale,
consegnato a un gruppo ristretto di specialisti che perseguono i propri scopi.
Per spezzare questa struttura di dipendenza i cittadini devono risolvere in
prima persona i propri problemi.
Illich per distinguere l’autonomia dal dominio usa il termine “convivialità”: lo
strumento conviviale è quello che lascia maggior margine di modicare il
mondo secondo le proprie intenzioni; la società conviviale è quella in cui lo
strumento sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività e non
riservato a un corpo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo.
Il rapporto tra tecnica, politica e cittadinanza in Italia è un nodo cruciale: la
tecnologia non è neutrale né un dato di fatto indiscutibile ma uno strumento a
servizio degli interessi collettivi e in quanto tale non può appropriarsi
dell’informazione estromettendo i cittadini.
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Solitudini
I dispositivi messi in campo dall’ideologia del merito (linguaggio, retorica della
trasparenza, burocratizzazione e dominio dei tecnici) hanno modellato la
cultura politica e civile dall’ultimo trentennio del Ventesimo secolo.
La penetrazione del merito nel senso comune non potrebbe riuscire se il
terreno non fosse già preparato da profonde mutazioni sociali.
In particolare due tendenze hanno portato alla colonizzazione dello spazio
pubblico: l’aermazione dell’individualismo e la rimozione del conitto.
Il processo di individualizzazione è stato stimolato dalla “cultura terapeutica”
studiata da Frank Furedi, che ne ha mostrato le implicazioni sociali: l’incapacità
di percepire la connessione tra scelte personali e l’inuenza di forze più ampie
determina la percezione dei problemi sociali come individuali che vengono
presi in carico dai terapeuti.
L’immagine di se coltivata da questo approccio è vulnerabile, passiva, a rischio,
che stimola l’accettazione incondizionata di sé e il conformismo piuttosto che la
critica e la protesta.
La cultura terapeutica è contro le relazioni informali, il senso di responsabilità,
di lealtà e di appartenenza nei confronti della comunità e degli altri: elementi
che vengono concepiti come sintomi di dipendenza dalla relazione.
A questa forma di dipendenza viene sostituita la dipendenza burocratica dalle
istituzioni, la quale sostiene un processo di infantilizzazione permanente, tratto
dominante della società contemporanea.
Il processo di individualizzazione non conduce verso una maggiore autonomia;
al contrario i vincoli tradizionali (come quello di classe) sono stati sostituiti da
quelli imposti da agenzie che plasmano l’individuo attraverso le
standardizzazioni e i controlli imposti dal mercato.
Colpevoli e vittime
L’ideologia del merito ha una visione individualista, le cui pratiche adate ad
esperti stabiliscono relazioni di dipendenza burocratica che impediscono uno
sviluppo libero della cittadinanza.
Il processo di individualizzazione prodotto dalla cultura terapeutica e l’ideologia
del merito si dividono i ruoli.
Il merito è sempre associato alla promessa di aver