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DIGITAL COMPOSITING

Il digital compositing consiste nella sovrapposizione di layer distinti che concorrono

all’immagine definitiva. Questa tecnica consente agli artisti di unire elementi come attori,

sfondi, animazioni e altro ancora per creare un’immagine composta finale. Il digital

compositing si basa su un lavoro di manipolazione dell’immagine, che avviene tramite dei

passaggi quali:

- Elaborazione del colore;

- Correzione del colore;

- Correzione del gamma;

- Swapping dei canali;

- Filtri spaziali come il blurring (sfocatura delle immagini per generare effetti di sfondo

e di ombre) e lo sharpening (serve ad ingrandire determinati oggetti).

Matte compositing / imagine matte

Fra tutte le pratiche di sovrapposizione dei layer quella che connota maggiormente la

tecnica del digital compositing è l'imagine matte cioè lo scontorno dell'immagine. È una

tecnica che serve a miscelare i livelli sovrapponendoli per addizione e per sottrazione

lasciandoli opachi come una silhouette ritagliata in carta e sovrapposti gli uni sugli altri per

creare un'immagine definitiva, ricca di elementi che appartengono a origini distinte. Questa

operazione di maschera e di ritaglio dell'immagine può essere gestita:

- dai software;

- da un layer indipendente che, sovrapponendosi agli altri livelli, veicola l'informazione

di ciò che deve passare come segnale ed essere trasparente, consentendo la visione

del livello sottostante oppure di ciò che deve risultare opaco non consentendo il

passaggio del livello inferiore;

- da un canale specifico dell'immagine, chiamato solitamente Alpha Channel, che dà

informazione su quali pixel, per il loro valore e la loro posizione, rispetto al quadro

generale, dovranno essere lasciati visibili e quali risulteranno trasparenti.

Pseudo 3D compositing

Lo pseudo 3D compositing è una tecnica utilizzata nella grafica computerizzata

per creare l’illusione di profondità e tridimensionalità in un’immagine o in una

sequenza video, senza utilizzare effettivamente modelli 3D. In pratica, questa

tecnica coinvolge l’uso di più livelli di immagini 2D sovrapposti per creare

un’immagine o una sequenza che sembra avere una profondità tridimensionale.

10 - ROTOSCOPING

Il rotoscoping è una tecnica d’animazione utilizzata per creare un movimento

animato disegnando manualmente fotogramma per fotogramma sopra un filmato live-action,

per ottenere un’animazione fluida e realistica. Offre agli artisti un maggior controllo sul

movimento e sull’aspetto degli oggetti animati, consentendo loro di ottenere risultati più

realistici e dettagliati.

Ma così come era nel digital compositing, anche per il rotoscoping la pratica di

sovrapposizione di mascherini differenti che seguono un profilo non lineare, è una pratica

datata: ormai nel linguaggio di settore quando si parla di scontorno delle immagini e di

sovrapposizione sincronizzata dei layer si usa il termine keying o posizionamento in chiave

in cui il contorno dato dalla sovrapposizione delle immagini cambia costantemente e non è

omogeneo e può essere: chiave di croma, chiave di luma, chiave a differenza di matte, etc.

Con rotomation o matchmation intendiamo tecniche utilizzate nell’industria

cinematografica e dell’animazione. La differenza è che il matchmation si concentra

principalmente sul fatto di riprodurre con precisione i movimenti e le espressioni degli attori

umani nei personaggi animati, mentre nel rotomation gli animatori utilizzano le riprese dal

vivo come riferimento per animare personaggi o oggetti al computer grafica.

Nell'ambito del rotoscoping esiste un'altra pratica importante, poco gratificante per chi la

deve attuare, svolta dalla figura professionale che si occupa della rimozione dei cavi e degli

strumenti per consentire agli attori di agire azioni contrarie alle leggi della fisica newtoniana:

si tratta del wire and rig removal, pratica consueta di rimozione, in fase di post produzione, di

cavi, di supporti e di strumenti utilizzati in fase ripresa per consentire il movimento e l'azione

di un attore all'interno di una determinata scena.

TRACKING VIDEO e MATCH MOVING

Tutti questi strumenti informatici dedicati allo scontorno porteranno alla composizione finale

dell’immagine: la pratica del tracking video o, più in generale del match moving, è una

tecnica per integrare elementi digitali, come effetti speciali o personaggi animati con le

riprese dal vivo. È fondamentale per creare effetti speciali spettacolari e scene d'azione

dinamiche nei film e nei video.

Il match moving si compone di due lavorazioni distinte e autonome ciascuna delle quali può

costituire il prodotto finale o essere propedeutica a quella successiva. La prima è la pratica

di tracking bidimensionale, quando gli algoritmi informatici dedicati sono in grado di

riconoscere il movimento di determinato un pixel bidimensionale dell'immagine per forma,

per colore e per contrasto e lo seguono all'interno dello schermo riproducendo il movimento

sulla base del tempo in cui esso evolve. La fase successiva, se necessaria, è quando il

prodotto deve essere abbinato a elementi modellati tridimensionalmente, tramite un

sofisticato algoritmo.

Il tracking video e il rotoscoping, in origine, non erano lavorazioni utilizzate in fase

post-produttiva ma in fase produttiva: esse sono legate all'invenzione del motion control

utilizzato per la prima volta per la realizzazione di Star Wars (1977) al fine di consentire

l'abbinamento sincrono di background e soggetto poiché la cinepresa in due shot differenti

riproduceva la stessa dinamica di movimento. Adesso è un lavoro che viene fatto a

posteriori, in fase post-produttiva, da un tecnico sensibile e capace che sappia riconoscere il

percorso del movimento e sappia individuare determinati pixel che:

- il pixel non deve risultare chiuso o disturbato da oggetti che ne possano offuscare il

percorso;

- i pixel non devono avere un forte contrasto affinché l'algoritmo non li confonda fra

loro;

- ogni pixel deve avere un colore specifico e distinto dagli altri per evitare che si

confondano;

- il tracking deve monitorare un'area intorno al pixel che non sia troppo vasta affinché

la procedura di elaborazione del movimento non impegni troppa memoria hardware.

11 - STEREOSCOPIA e CINEMA

STEREOSCOPICO

Già l'etimo della parola stereoscopia dice molto: stereos vuol dire spaziale, tridimensionale,

scopia deriva dal greco okonía e significa osservazione, grafia, descrizione disegnata

dell'immagine. Per Stereoscopia si intende una tecnica per creare l’illusione di profondità

tridimensionale nelle immagini o nelle sequenze video. Coinvolge quindi la creazione di due

immagini separate, una per l’occhio sinistro e una per l’occhio destro, che vengono quindi

proiettate su uno schermo in modo da essere viste separatamente dagli occhi dello

spettatore. Questo crea l’illusione di profondità tridimensionale.

La stereoscopia è una tecnica antica, associabile all'invenzione della fotografia, ed è

attribuita a Charles Wheatstone il quale diede anche una spinta ai sistemi commerciali e

ludici legati a questa nuova tecnica. L’età dell’oro del cinema stereoscopico si situa negli

anni ’50 e ’60, con la possibilità di ottenere immagini stereoscopiche attraverso procedimenti

anaglifici, quale l’utilizzo di occhiali passivi dotati di due filtri di colore differenti. Questa

tecnologia negli anni a venire cadrà ma verrà riscoperta alla fine degli anni ‘70 e negli anni

’80, con l’invenzione del sistema IMAX 3D, la stereoscopia comincerà a diffondersi.

I passaggi per la progettazione stereoscopica sono

- Tener conto della distanza interassiale degli occhi;

- Individuare il piano della stereopsi sulla quale la visione umana riproduce

un’immagine 3D.

Mentre i princìpi fondamentali del cinema stereoscopico sono:

1. Percezione della profondità: gli occhi umani sono posti leggermente distanti tra loro,

il che consente al cervello di percepire la profondità confrontando le immagini viste

da ciascun occhio.

2. Immagini separate: vengono create due immagini separate, una per l’occhio destro e

una per l’occhio sinistro;

3. Fusione delle immagini: quando gli spettatori vedono le due immagini separate, il

cervello fonde automaticamente le due immagini per creare un’unica immagine 3D.

12 - DISPOSITIVI OTTICI: RealD e XPAND 3D

I dispositivi ottici utilizzati nelle sale cinematografiche possono essere attivi e passivi, a

seconda del tipo di tecnologia cui sono legati e se questa garantisce l'occlusione della vista

alternativamente a una o all'altra immagine. I dispositivi utilizzati sono soprattutto due:

- RealD

- XPAND 3D

Il sistema RealD è quello più interessante per la qualità e il comfort che garantisce nella

visione, è un sistema passivo legato all’utilizzo di occhiali a lenti polarizzate. La proiezione

digitale ReaID offre, in modo sincronizzato, due immagini differenti l’una dall’altra che

devono essere lette e tradotte dalle rispettive lenti polarizzate. Lo svantaggio del sistema

RealD è però che necessita degli silver screen, schermi capaci di non annullare la

polarizzazione dell’immagine. L’altro sistema è XPAND 3D ad occhiali attivi: in questo caso

non si assiste a nessuna polarizzazione ma ad un’occlusione alternata dell’immagine sinistra

e destra attraverso un occhiale ad infrarossi sincronizzato. Nel caso dell’XPAND 3D, lo

svantaggio sta nello strumento cui si serve, ovvero dell’occhiale a cristalli liquidi che ha un

costo molto elevato e va usato in sala con dispositivi di sincronizzazione efficaci.

Un’evoluzione che cerca di compensare questi costi e questi svantaggi è il sistema Dolby 3D

nel quale, anziché usare occhiali polarizzati, allo spettatore è offerto un occhiale a lenti

dicroiche, realizzato con speciali procedimenti chimici rispettivamente nei colori

fondamentali: rosso, verde e blu.

13 - REALTÀ AUMENTATA

Per realtà aumentata si intende una tecnologia che sovrappone elementi digitali, come

immagini e suoni, al mondo reale, creando un'esperienza ibrida in cui gli oggetti digitali

coesistono con l'ambiente circostante. Il primo tentativo di creare una realtà aumentata

avviene con la nascita del Sensorama, ideato e brevettato dall'ungherese Morton Heilig nel

1957, che non era altro che un apparecchio meccanico che mirava a coinvolgere non solo la

vista e l'udito, ma anche l'olfatto e il tatto dello spettatore. Infatti in sala cinematografica,

solitamente un ciclorama a 360 gradi, veniv

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
21 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher susannaprt di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Tecnologie multimediali per il cinema e la televisione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Guglielmo Marconi di Roma o del prof Morreale Domenico.