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Questo gusto per il dettaglio realistico e per la descrizione di attività quotidiane non si ritrova,

tuttavia, solo negli ambienti artistici alpini, bensì anche altrove. Prendiamo l’esempio dei fratelli

Jacopo e Lorenzo Salimbeni, pittori marchigiani attivi nella prima metà del ‘400, che condivisero

la passione per la cura dei particolari narrativi di Venceslao. I Salimbeni hanno lasciato il loro

capolavoro a Urbino, sulle pareti dell’Oratorio di San Giovanni Battista, ma qui ci concentriamo su

un dettaglio figurativo facente parte di un ciclo affrescato in una chiesa di Sanseverino Marche: si

tratta di un particolare di una scena sacra animata, che rappresenta i santi Giovanni e Crotone

impegnati a distribuire l’elemosina. La narrazione è arricchita da aneddoti quotidiani che distolgono

l’attenzione dal soggetto principale, come i bambini che si azzuffano o la donna che annaffia i fiori.

È un particolare che compare anche in altri dipinti di quest’epoca, tanto che può definirsi un tòpos

tardogotico, p. e. lo troviamo anche nelle Nozze di Cana di Andrea Delitio, nel Duomo di Atri: sulla

dx, in alto, compare la donna che cura i fiori sul balcone, anche se il dettaglio più importante è un

altro, cioè il camino dove uno sguattero è addetto al girarrosto, accovacciato. Pur consapevole

della rivoluzione prospettica affermatasi a Firenze, Delitio rimase legato all’immaginario tardogotico

e proprio per un’arte come la sua Roberto Longhi coniò il termine “Rinascimento umbratile”.

6) Gentile da Fabriano.

Originario delle Marche ma di formazione lombardo-veneta in pieno Gotico internazionale; fu

conteso dai più illustri committenti dell’Italia centro-settentrionale: lavorò per Malatesta nel Broletto

di Brescia; per il Palazzo Ducale di Venezia con Pisanello, ma il ciclo dipinto andò perduto in un

incendio; e per papa Martino V Colonna con la decorazione della navata maggiore di S. Giovanni

in Laterano. Prima di giungere a Roma si recò a Firenze, dove lasciò il suo capolavoro più celebre:

 la pala con l’Adorazione dei Magi

Terminata nel 1423, ora agli Uffizi, ma destinata a una cappella in Santa Trinita su

commissione di Palla Strozzi.

Questa grande pala presenta una caratteristica che la rende innovativa rispetto ai trittici

trecenteschi fiorentini: la scena non è suddivisa in tre scomparti distinti, ma si articola in

uno spazio unitario, la cui antica tripartizione sopravvive solo nella forma tricuspidata della

tavola.

La scelta del soggetto, molto diffuso all’epoca, rifletteva l’attività di Strozzi: i Re Magi che

portano le ricchezze al Bambino sono la metafora della ricchezza terrena sottomessa alla

maestà divina. Palla Strozzi poteva così sottolineare che la sua fortuna economica non gli

impediva di prostrarsi ai piedi di Dio, offrendogli le proprie ricchezze. Gentile assecondò

questa intenzionalità sfoggiando la sua sapienza nel lavorare l’oro (ampio è infatti l’uso

della foglia d’oro), conferendogli una parvenza di naturalismo. Ad esempio, pur realizzando

un fondo dorato, lo ha lavorato in modo da suggerire la luce di un tramonto: il suo non è il

piatto oro della tradizione medievale, ma è modulato in modo da alludere a uno spazio

naturalistico (evidente anche nella stella cometa).

Peraltro, Gentile impiegò anche la pastiglia (impasto di gesso e colla), che venne

ulteriormente lavorato prima che si solidificasse con l’applicazione di oro, pietre e

ornamenti in vetro/metallo. L’uso della pastiglia in funzione di arricchimento prezioso sparì

nel corso del primo ‘500. Uno degli ultimi a utilizzarla fu Pinturicchio, che proprio per

questa ragione venne censurato nelle Vite, in quanto Vasari considerava la pastiglia come

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una pratica sorpassata: gli artisti dovevano mostrare il proprio valore non nel materiale,

bensì nel colore e nella perizia del disegno.

Analizziamo ora il dipinto dal punto di vista della spazialità: la composizione non obbedisce

a una logica prospettica rigorosa, la spazialità è empirica. Al centro e in primo piano

abbiamo il giovane Re Mago che spartisce la scena sacra (famiglia e Magi) dall’animato

corteo di animali e cavalieri. Tutta la parte superiore è occupata dal viaggio di

avvicinamento del corteo dei Magi a Betlemme che si fraziona in vari episodi e che si

configura come una pittoresca partita di caccia, con un esotico dispiegamento di falchi,

scimmie, cammelli, leopardi, ecc. Negli sproni esterni della pala, Gentile ha ricavato degli

spazi in cui ha dipinto dei fiori, che testimoniano la sua acuta capacità di osservazione

naturalistica.

In conclusione, anche nella pittura di Gentile convivono gli aspetti preponderanti del Gotico cortese

(osservazione analitica della realtà naturale, divagazione fiabesca, ostentazione di eleganza e

fasto profano, rappresentazione di umili dettagli di vita quotidiana), fondendosi nell’unità stilistica di

un linguaggio figurativo eccezionale.

7) Confronti da manuale.

Un tipico confronto da manuale è quello tra l’Adorazione dei Magi di Gentile e la predella con lo

stesso soggetto di Masaccio, che faceva parte di un polittico destinato a una chiesa pisana. Si

tratta di opere di ugual soggetto, dipinte a Firenze nello stesso periodo (il polittico di Masaccio fu

realizzato nel 1426), ma che – a dispetto di tale contemporaneità – sono agli antipodi dal punto di

vista stilistico, tanto da apparire come espressioni di due concezioni artistiche molto diverse: quella

di Gentile legata al mondo del Gotico cortese, quella di Masaccio improntata alla rivoluzione del

primo Rinascimento fiorentino. Inoltre, i dipinti hanno uno statuto molto diverso: quello di Gentile è

una pala d’altare, e perciò comporta ufficialità e solennità; mentre quello di Masaccio è

semplicemente uno scomparto di predella, vale a dire un’appendice di una pala d’altare, in cui

solitamente gli artisti ricorrono a un linguaggio più narrativo, diretto e colloquiale. Ciò che è

interessante notare è che, in questi due casi, i ruoli paiono invertiti: la pala di Gentile appare

connotata da un tono più vivacemente narrativo e da una divagazione aneddotica; contrariamente,

la predella di Masaccio adotta un tono austero ed essenziale ed evita ori, argenti, pastiglie e ornati.

Solo la sedia su cui è assisa la Madonna è impreziosita dall’oro, in gran parte perduto, e questo è

un dettaglio non pleonastico, in quanto la sua forma rimanda alla sella curulis, il seggio del

sacerdote romano (è quindi una citazione dotta, umanistica).

Analizziamo l’opera di Masaccio:

 I personaggi campeggiano sullo sfondo di un paesaggio disadorno, sotto una striscia di

cielo basso che non invita a inoltrarsi oltre con lo sguardo. Nei primi piani si stagliano i

protagonisti, minuscoli dal punto di vista del formato ma imponenti sul piano della

percezione: ognuno di loro ha la sua solida concretezza, una fisicità sottolineata dalla

rigorosa geometria degli scorci prospettici e dalle nette ombre che ciascun corpo proietta

(siamo agli antipodi dell’empirismo con cui Gentile gestisce lo spazio).

 La luce proviene da una fonte unitaria e ogni corpo si dispone nello spazio diminuendo

proporzionalmente in funzione della distanza dal primo piano.

 I personaggi sono i contemporanei di Masaccio, come denunciano le loro vesti

quattrocentesche: sono i committenti della pala, che presenziano alla scena sacra come

testimoni diretti e che sono di proporzioni identiche a quelle delle figure della scena sacra

(e, oltretutto, essendo in primissimo piano sono le figure di maggior grandezza). Masaccio

non si affidò alla prospettiva invertita del Medioevo (che diminuiva le dimensioni dei

committenti per renderli piccoli rispetto ai personaggi sacri): la rivoluzione prospettica non

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ammette scarti dimensionali che non siano motivati da concrete situazioni spaziali, quindi

ciò che è lontano appare più piccolo rispetto a ciò che è in primo piano, a prescindere da

qualsiasi gerarchia.

8) Fatti di Masolino e di Masaccio.

Masaccio (1401-1428) rappresenta uno dei casi più clamorosi di talento precocissimo, capace di

compire una vera rivoluzione. Anche suo fratello, Giovanni, detto lo Scheggia, si dedicò alla

pittura, riscotendo successo in un genere a metà strada tra l’arte e l’artigianato di lusso (dipinse

cofanetti, spalliere, letti, cassoni nuziali, ecc.). Masaccio, invece si affermò presto in campo

pittorico entrando in contatto con Brunelleschi e Donatello e, nel giro di qualche anno, tra il 1422

e la morte, realizzò una serie eccezionali di capolavori. L’opera più giovanile attribuitagli è il Trittico

di San Giovenale.

Masaccio ebbe un rapporto molto stretto con Masolino, e proprio in un saggio intitolato Fatti di

Masolino e di Masaccio Roberto Longhi definì il loro sodalizio in termini di antagonismo:

Masolino, con le sue figure e scene ancora impregnate di reminiscenze aggraziate tardogotiche,

contrapposto al giovane e rivoluzionario Masaccio, con la sua visione naturalistica fondata sulla

prospettiva, sulla saldezza volumetrica delle forme e sull’altera concretezza della narrazione. Tale

riconoscimento di contrapposizione stilistica va, però attenuato, per non rischiare di considerare

Masolino come arretrato: egli aggiornò la sua cultura figurativa assimilando i caratteri di Masaccio,

ma ne addolcì la radicalità ibridandoli con la gentile eleganza tardogotica. La sua posizione non

era dissimile da quella di Ghiberti, sostanzialmente, con cui ebbe rapporti di collaborazione.

Ghiberti era un artista di straordinaria personalità, ma rispetto alle novità sconvolgenti della triade

dei rivoluzionari rinascimentali fiorentini assunse una posizione moderata. Non rinunciò ai fluidi

ritmi eleganti, optò per un cauto riformismo, che non tagliava definitivamente i ponti con il mondo

gotico.

Si prenda in esame, ora, il confronto tra due dipinti:

→ Madonna dell’Umiltà (Masolino, 1423)

Sia la Vergine che il Bambino possiedono una loro consistenza plastica ottenuta attraverso

la modulazione del chiaroscuro, ma non hanno la massiccia fisicità delle figure di Masaccio.

La Madonna siede su un cuscino, eppure la sua posa manca di una sua fisica concretezza,

non è rappresentata in modo schietto e credibile: il contorno che la definisce è dolce, con

sinuose cadenze che si riverberano nel panneggio (elementi che richiamano il linguaggio di

transizione tra le eleganze del Gotico cortese e l’asciutta sobrietà delle novità

rinascimentali).

→ Sant’Anna Metterza (Masolino e Masaccio, 1424)

Dettagli
Publisher
A.A. 2021-2022
35 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ila.mitra di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Genova o del prof Magnani Lauro.