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CAP 2: IL FARDELLO DELLA FILOSOFIA:

Il secondo attacco portato dalla teoria, a suo modo ancor più devastante, nega la possibilità stessa di

affrontare il passato come una realtà autonoma rispetto allo storico che la studia. Mentre il primo

approccio teorico asserve la storia ai modelli delle scienze sociali, il secondo la rende succube della

psicologia e degli studi sul linguaggio che hanno prodotto particolari forme di critica testuale.

Le prime teorie attaccano la storia nel suo contenuto; le seconde la colpiscono sotto la guardia nel

momento in cui lo storico deve esprimere sé stesso con le parole.

Questo secondo attacco, in parte perché è più recente, in parte perché sferrato da autori francesi di grande

carisma, comporta una minaccia più vasta oppure è stato meno efficacemente contrastato.

I segnali luminosi lungo questa strada pericolosa sono stati accesi da alcuni filosofi, soprattutto Heidegger

e Adorno, e da ondate successive di linguistici e critici letterari, dagli strutturalisti e post strutturalisti fino ai

decostruzionisti. I nomi di maggiore spicco sono: Saussure, Barthes e Derrida.

Il fenomeno cui cu troviamo di fronte trae origine dalla reazione perfettamente legittima contro una

nozione ingenua di obiettività e dalla constatazione che la storia è scritta da storici. Purtroppo queste

critiche a una posizione estrema hanno finito per produrre un’altra posizione altrettanto estrema.

Qui si sofferma sulle conseguenze piuttosto che sulle radici di questo genere di sofismi.

Prima di occuparsi dell’estrema manifestazione dell’effetto distruttivo che la psicologia, congiunta con la

critica testuale, può avere sul lavoro dello storico, prendiamo in considerazione quelle che fino a poco

tempo fa sembravano le forme più aggiornate di questo tipo di attacco. L’una proviene dalla filosofia, l’altra

dalla critica letteraria ed entrambe hanno riscosso vasti consensi.

Il filosofo è Hans Georg Gadamer: secondo lui, la verità non è una relazione fra un individuo percipiente e

il mondo, bensì un accordo raggiunto attraverso una discussione critica. Ha affermato che quando uno

storico ricorre alla parola verità non fa che cercare di conferire al suo scrivere sul passato il

possesso astratto e probatorio di questa qualità. Ne segue che gli studi storici dovrebbero allontanarsi

dal passato per rivolgersi al presente, ma anche che, a meno che non sia in possesso di una teoria critica,

lo storico non ha i mezzi per stabilire la legittimità di questa sua pretesa. Alcuni storici quindi abbracciano

una teoria critica: un’ancora di salvezza del tutto illusoria.

Ma quando lo storico parla di verità in relazione agli scritti di Platone, Hobbes o Marx, quel che intende

scoprire è che cosa Platone, Hobbes, Marx esattamente dissero, quando e perché con le parole che

sopravvivono come loro opere. Non gli interessa trovarvi una qualche verità eterna. Per lo storico questo è

secondario o irrilevante, quali che siano i suoi sentimenti di credente in questa o quella religione. È per

questa ragione che l’intera operazione di trasferimento di tecniche di esegesi biblica-la scienza arcaica

chiamata ermeneutica- è totalmente irrilevante per la pratica storiografica, anche se recentemente se ne è

discusso a proposito dell’analisi e dell’interpretazione dei documenti storici, o testi, come i non storici

preferiscono chiamarli. L’ermeneutica è la scienza dell’esegesi, in primo luogo della Bibbia: un insieme di

principi sviluppato nel tentativo di trovare un significato coerente in un multiforme corpo di scritti, nel

presupposto che questi derivino da un solo autore-Dio- e che quindi siano portatori di un unico messaggio.

Dall’altra parte, uno studio storico di tutti i materiali che compongono le Sacre Scritture deve riconoscere

che furono prodotti e trasmessi da istituzioni umane in un lasso di tempo piuttosto lungo e che quindi

devono essere interpretati nel contesto della loro origine e scopo, col risultato che ci si allontana dalla verità

a mano a mano che si cerca di forzarli entro un’unica cornice interpretativa. L’ermeneutica è quindi la

scienza che inventa il significato, mente lo studio della storia deve scoprire il significato senza

inventarselo. Il termine ermeneutica non è solo inapplicabile alla ricerca storica ma gli è addirittura avverso;

il ricorso a essa porta lo storico a imporre un significato al materiale di cui dispone, anziché estrarlo da esso.

Per Elton la verità è ciò che risiede irrevocabilmente nel passato e stabilisce i criteri del sapere cui

aspiriamo, pur senza pensare di poterlo conseguire in un modo che soddisfi chiunque. La verità che

cerchiamo è quella dell’avvenimento e delle circostanze in cui si è verificato, non ci interessa proclamare

una verità estratta da quest’avvenimento e sostenerla grazie alle tecniche della critica testuale

Dedichiamo ora qualche attenzione all’autore del tour de force in base al quale l’esposizione storica è

considerata una forma del discorso letterario e nient’altro. Hayden White ha definito queste elucubrazioni

“metastoria”, qualcosa di vicino ma non di identico alla storia. Questa sua modesta e sincera confessione

non ha però impedito che il suo lavoro influenzasse la storiografia vera e propria. La parola sembra alludere

a una forma di ricerca che va oltre la semplice storia e che le è superiore. Dopo avere prodotto alcuni

modesti lavori di storia delle idee, egli pubblicò nel 1966 un interessante manifesto dal titolo Il fardello

della storia: per Hayden White gli storici avevano perso il rispetto di cui godevano fino a non molto tempo

prima perché non erano riusciti a identificare esattamente la loro posizione e a legittimarla teoricamente.

Gli storici non meritavano alcun rispetto intellettuale; bisognava veder chiaro nei loro deboli sforzi

per evitare di impegnarsi su uno o sull’altro termine della coppia (presunta) antagonista (stavano

suscitando una generale avversione). Gli storici, proclamo White, “dovevano ristabilire la dignità dei loro

studi per renderli consoni agli scopi e alle finalità della comunità intellettuale intesa in senso più ampio”.

Successivamente, disse che la scrittura della storia può prendere quattro diverse forme: metafora,

sineddoche, metonimia e ironia (figure retoriche caratterizzate dall’allusività piuttosto che

dall’immediatezza). Secondo Elton, White è giunto alla conclusione che gli storici ricorrono a queste forme

indirette di narrazione del passato per evitare di scegliere tra arte e scienza.

Dall’altra parte, per White storia e filosofia sono la stessa cosa, con la differenza che i filosofi esplicitano

quello che nel discorso degli storici rimane implicito. Dato che, purtroppo, nessun filosofo della storia si è

mai dedicato a risolvere un problema storico concreto lavorando da storico, quindi Elton trova questa

identificazione per nulla convincente.

Non stupisce, che i lavori di Ranke e Burckhardt devono la loro fame non «alla natura dei “dati” che

utilizzavano a sostegno delle loro generalizzazioni o alle teorie cui fecero ricorso per spiegarli», ma alla

«coerenza, compattezza, potenza di illuminazione delle loro rispettive visioni della storia». Poiché le fonti

impiegate e l’argomentazione sono irrilevanti, questi storici non possono neppure venir confutati e, se non

ci si può appellare a nessun argomento valido, ne consegue che tutte le ricostruzioni si equivalgono, ossia

non hanno nessun valore indipendentemente da chi scrive e da chi legge. Per Elton si tratta di chiacchiere

che testimoniano solo la generale mancanza di esperienza nel lavoro storiografico concreto, specialmente al

di fuori del ristretto ambito di storia delle idee.

Comunque, in una generazione ansiosa di colmare il fossato fra storia e letteratura (fosse solo per restituire

agli storici il rispetto degli studiosi di letteratura) il messaggio piuttosto oscuro di White fece breccia, e in

America il fatto che White citasse Sartre, Levi-Strauss e Foucault tra i suoi mentori contribuì al suo successo.

White non riuscì a ottenere quello che si era proposto: non riabilita lo studio della storia e non giustifica le

pretese degli storici di essere ascoltati dalla comunità intellettuale.

Ora si occupa dei discepoli- o delle vittime- dell’ultima (o penultima) moda della critica letteraria.

❖ Discorso decostruzionista: un testo non può essere mai letto come se significasse quello che

sembra dire, deve sempre essere decodificato. PAGINA 49

I decostruzionisti sono convinti di essere venuti per demolire le sicurezze filistee del mondo borghese e di

aver trovato l’arma per vincere la battaglia che il marxismo sembrava in procinto di perdere. I

decostruzionisti nascondono il loro fine ultimo dietro le teorie del linguaggio che contestano tutti i

significati comunemente accettati, perché questa accettazione significa solo sottomissione al potere

costituito. Nella comprensione di ogni testo, di ogni sequenza di parole, è il decodificatore che decide ciò

che l’autore ha voluto veramente dire, il che significa che l’unico che valga veramente la pena di leggere è

il decodificatore e non l’autore.

Skinner: cercava di stabilire dei saldi criteri per comprendere i pensatori politici del passato. Questi criteri

possono essere “decostruiti” come mere affermazioni di potere anche se sono sensati. Skinner ha più volte

detto che, se vogliamo capire ciò che Machiavelli o Hobbes volevano dire, dobbiamo ottenere una perfetta

padronanza del linguaggio e del contesto – storico, ideologico, probabilmente economico e biologico,

certamente politico, nel quale si muoveva. Poiché pensavano all’intero di un certo mondo, dobbiamo

seguirli in quel mondo. In “Foundations of Modern Political Thought” (1978): Skinner colloca i pensatori fra

il Quattro e il Seicento nell’ambito delle convenzioni mentali e delle condizioni generali di quei secoli,

rendendoli comprensibili al lettore moderno senza astrarli dal contesto. Nelle sue mani il principio

del “contestualismo” produce dell’ottima storiografia, chiara e comprensibile.

Dà risultati un po' meno soddisfacenti quando a usarlo è il suo collega John Pocock, il cui linguaggio oscuro

talvolta lo avvicina ai moderni critici del metodo contestuale, ma che in realtà ripercorre la complessità

degli autori che affronta all’interno del loro contesto storico.

Ciò che teme è proprio quello che Harlan, fedele ai suoi maestri Derrida e Barthes, coadiuvati

dall’autorevole Gadamer, ritiene sia sbagliato. Poiché da una parte il significato di ogni espressione

linguistica non può che

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Publisher
A.A. 2023-2024
19 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giorgib01 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Cadeddu Davide.