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III
La teoria e storia della storiografia sono diventati una branca di studio a sé stante negli anni che sono
trascorsi dagli iscritti di Carr e di Elton sviluppando propri concetti e un gergo specialistico che hanno reso la
materia spesso impenetrabile ai non addetti.
C’è anche chi ha sostenuto che la natura della spiegazione storica è argomento da lasciare ai filosofi. Come
arriviamo alla conoscenza del passato, che cos’è la casualità storica, come si definisce un fatto storico, se
esite una cosa come la verità o l’obiettività storica, sono tutte questioni che la maggior parte degli storici
ha allegramente lasciato da parte come superflue distrazioni dall’essenziale lavoro d’archivio.
Pochissimi storici hanno la competenza necessaria per discutere la teoria storiografica un livello accettabile
per un filosofo. Uno dei pochi autori del XX secolo che si muoveva altrettanto a suo agio nella storia e nella
filosofia fu Collingwood, che ha scritto sia la Oxford history of Roman Britain, sia il famoso trattato filosofico
su the idea of history, ma non c'è niente che faccia pensare a una qualsiasi relazione fra i due scritti.
Alcuni apologetici della postmodernità tendono a proclamare di aver già vinto la controversia e che ormai
è vano che gli storici cerchino di opporsi. Ma il fatto è che le repliche degli storici ad almeno alcune delle
loro critiche hanno costretto certi teorici del postmoderno a cambiare posizione su qualche aspetto
cruciale, esattamente come quelle critiche hanno obbligato a cambiar posizione gli storici. Quello che
abbiamo davanti, in altre parole, non è più un dialogo fra sordi ma un autentico dibattito. Gli storici stessi
hanno un contributo non trascurabile da portare alla discussione: la teoria della storia è una faccenda
troppo importante per lasciarla ai teorici puri. Chi fa lo storico di mestiere ha altrettanto diritto di
chiunque altro di rifletter e scrivere intorno a questi temi e l’esperienza diretta del lavoro di ricerca storica
dovrebbe permettergli di portare contributi diversi da quelli di chi questa esperienza non l’ha vissuta.
Cap.1 La storia della storia
Per quanto potessero concordare sulla necessità di precisione rispetto della verità, in tutte le epoche gli
storici hanno avuto idee molto variegate sugli scopi cui devono servire queste cose e sulla spiegazione da
dare dei fatti che presentavano.
Nel medioevo e all’inizio dell'età moderna molti di loro vedevano la propria funzione come quella di
cronisti degli effetti che dispiega nel mondo la volontà divina. Le cose in ultima anali avvenivano perché Dio
lo voleva, e la storia umana era il terreno dove si scontravano le forze soprannaturali del male e del bene.
Gli storici razionalisti dell’Illuminismo hanno sostituito a questa spiegazione basata sulle forze umane, ma
anch’essi consideravano il proprio lavoro come una sorta d’illustrazione morale. Nelle massime opere
dell'epoca, per es Decline and Fall of the Roman Empire di Gibbon, gli attori sono qualità morali anziché
esseri umani e la lezione fondamentale è che superstizione, fanatismo e fede religiosa, tutti abomini per il
razionalismo illuministico sono forze pericolose che hanno abbattuto un grande impero. Scrivere storie
equivaleva a insegnare filosofia mediante esempi: la natura umana è un dato universale, immutabile e
astorico.
Col romanticismo, gli storici abbandonarono questa linea di pensiero. Sotto l'influsso di scrittori come
Walter Scott cominciarono a trovare interessante il passato proprio perché è diverso. Col romantcismo lo
scopo della storia era a conoscere meglio il passato come cosa da costudire amorosamente.
Il capofila fu lo storico tedesco Leopold von Ranke, che cominciò a lavorare a una storia universale, di cui
aveva completato 17 volumi al momento della sua morte. Si era convertito allo studio della storia quando
aveva scoperto che il romanzo di Walter Scott, Quentin Durward, era storicamente inesatto: decise quindi
di applicare allo studio testi storici i metodi che aveva preso dalla filologia classica per rendere impossibili in
futuro simili imprecisioni. Il contributo di Ranke agli studi storici fu triplice:
1. Primo, servì a istituirli come disciplina separata, indipendente dalla filosofia o dalla letteratura.
2. Secondo lo storico a suo avviso doveva riconoscere che “ogni epoca è immediatamente presente a
Dio”. In altri termini Dio, nella prospettiva dell'eternità, non fra distinzione fa periodi storici che
sono tutti allineati davanti ai suoi occhi. Ciò significa che il passato non si può giudicare col metro
del presente, ma deve essere visto nei termini suoi propri: cercare di capire il passato con come lo
capivano quelli che vi vivevano dentro. In ogni tempo, compreso il presente, tutto quanto esiste
dev’essere accettato come espressione dell’ordine divino.
3. Terzo (forse più importante) Ranke introdusse nello studio della storia moderna i metodi che di
recente i filologi avevano messo appunto nello studio della letteratura antica e medievale, per
determinare se un testo è autentico o corrotto da interpolazione successive, se è davvero
dell'autore cui viene attribuito e quale delle versioni esistenti è la più attendibile. Anche gli storici
dovevano sgombrare il terreno da false contraffazioni esaminando i documenti, dovevano diffidare
delle fonti secondarie come i libri di memoria o le storie più tarde ma affidarsi alle fonti primarie.
Soltanto raccogliendo, criticando e verificando tutte le fonti disponibili potevano mettersi in
condizioni di ricostruire esattamente il passato. Le questioni di autenticità e attribuzione
continuano ad avere un'importanza vitale nella ricerca storica.
L'applicazione delle tecniche filologiche alle fonti storiche fu una grande conquista.
I principi di Ranke sono ancora oggi la base su cui poggia tanta parte della ricerca e dell’insegnamento. Le
materia complementari dei dipartimenti di storia in molte università inglesi, per esempio, forniscono una
preparazione di base nella critica delle fonti.
Le contraffazioni, come il deprecabile caso dei diari di Hitler, scoppiato oltre dieci anni fa, sono purtroppo
ancora comuni: per smascherare la falsità dei diari di Hitler è bastato esaminare l’età della carta su cui erano
scritti, che risaliva agli anni ’50. Falsificazioni e testi aggiustati abbondano nelle raccolte a stampa di
documenti e in altre pubblicazioni su temi come le origini della Prima guerra mondiale e il Terzo Reich.
Qualunque mezzo usino, gli storici devono ancora oggi impegnarsi nel lavoro di scavo alla maniera di
Ranke: indagare la provenienza dei documenti, ricostruire i motivi degli autori e le circostanze in cui li hanno
scritti, analizzare i rapporti con gli altri documenti sullo stesso tema. Tutto questo rientro fin dal XIX secolo
nella formazione di base degli storici.
La critica delle fonti, quando fu introdotta nella ricerca storica, era considerata una procedura scientifica e
la sua adozione legittimò la storia come professione a sé stante
Molti di quelli che propugnavano il metodo scientifico si dimenticavano poi di usarlo nella pratica. Pollard,
fondatore dell'Istitute of Historical Research all'università di Londra, nato proprio per introdurre un
programma di formazione storica per laureandi di storia, fece scarso uso di manoscritti nel suo lavoro
sull'epoca Tudor, preferendo attingere piuttosto alle trascrizioni e sommari forniti da una compilazione
come i Calendars State Papers afflitta da errore e lacune, compromettendo gravemente l’attendibilità
dell’opera
Perfino Ranke era criticabile secondo i criteri da lui stessi introdotti con tanto vigore, i suoi scritti erano
imbevuti di metafore. La persuasione di scrivere una storia oggettiva gli veniva in gran parte dal fatto di
basare ampiamente il proprio lavoro sui dispacci degli ambasciatori veneziani presso le varie capitali
europee, documenti che a loro volta davano un'impressione di resoconti neutri e aderenti ai fatti. (le sue
fonti parziali, selettive e ristrette e infine uno scarso uso di materiale archivistico).
Rendersi conto che i fondatori della storiografia scientifica troppo spesso avevano trascurato di seguire i
loro stessi precetti non impedì negli anni precedenti la I guerra mondiale di continuare a decantare le virtù
del metodo scientifico, al contrario stimolò semplicemente un maggior impegno.
Nel 1903 Bury dichiarava che “La storia è una scienza, ne più ne meno… la storia non è una branca della
letteratura… ma rivestire la storia della società umana in un ambito letterario non rientra nel ruolo dello
storico in quanto storico, più di quanto un astronomo sia tenuto a presentare in forma artistica la storia delle
stelle”. Bury per evidenziare la contrapposizione fra storia come letteratura e storia come scienza
chiamava in causa l’esempio in quello che definiva “il più grande storico vivente”; il tedesco Mommsen. La
statura di Mommsen risiedeva a suo avviso non nell’avere scritto un testo diffusissimo di storia romana, che
gli aveva dato semplicemente la reputazione di uomini di lettere, ma nella dettagliata compilazione critica
delle iscrizioni latine e negli studi specializzati sul diritto romano. Quello era l’ambito in cui aveva applicato
il metodo scientifico e da qui partiva la legittima rivendicazione della sua vera grandezza di storico. Era
questo l’esempio, faceva intendere Bury, che gli altri avrebbero dovuto seguire.
II
Trevelyen, subentra alla cattedra di Bury (morto nel 1927). T scriveva che “la crociata che Bury e altri
stavano muovendo alla trattazione artistica ed emotivamente partecipe dell’intero passato dell’umanità,
aveva avuto un tale successo da minacciare l’annichilimento completo dei pochi superstiti ancora convinti
che la storia fosse un’arte.” Se la storia altro non è che una cronaca di nudi fatti ordinati secondo principi
scientifici allora “letteratura, emozioni e pensiero speculativo” sarebbero stati messi al bando dalle
considerazioni della razza umana intorno al proprio passato.
Nella sua lunga carriera, ha fatto molto per colmare l’abisso tra gli storici di mestiere e il vasto pubblico che
leggeva “english social history”.
Trevelyan ammetteva che raccogliere fatti e prove sono operazioni scientifiche ma non lo era la scoperta
delle cause ed effetti di tali eventi.
Questo giudizio riecheggiava i principi originali di Ranke, il quale aveva fatto una distinzione fra i principi
rigorosi della critica e delle fonti e il metodo intuitivo necessario per stabilire le interconnessioni fra quegli
eventi e penetrare l’essenza di un’epoca. Era quest’ultima operazione a fare per Ranke e