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Ricompensa per il comportamento leale verso il padrone, l'affrancamento era concesso in genere ai

meticci nati da unioni tra padroni e schiave e a schiavi neri che prestavano servizio domestico. In tal

modo, nel mondo coloniale francese sorse una categoria di affrancati, i cosiddetti libres de couleur,

che aumentò progressivamente costituendo, alle soglie della rivoluzione francese, un gruppo

cospicuo dal punto di vista quantitativo. Gli emancipati, che godevano del diritto di proprietà, si

dedicavano in genere al commercio e all'artigianato, oppure svolgevano funzioni di caposquadra

nelle piantagioni o, ancora, erano arruolati nelle truppe incaricate di mantenere l'ordine coloniale. Il

loro statuto peggiorò in seguito, quando di fronte alla loro crescita, si tentò di limitare le possibilità

di affrancamento. D'altronde, malgrado la legge, essi furono rapidamente vittime di discriminazioni,

impossibilitati di fatto ad accedere a varie funzioni (professioni giudiziarie, per esempio, nonché al

grado di ufficiale). Soltanto nel corso della rivoluzione francese la loro condizione sociale sarebbe

mutata.

Benché non siano mancati studiosi che abbiano giudicato severamente il Code noir, definendolo il

testo giuridico più mostruoso che tempi moderni abbiano prodotto, occorre sottolineare che esso era

in linea con il rigore previsto dalla legislazione coeva della Francia, così come degli altri Stati di

antico regime, e che le norme sarebbero addirittura peggiorate nei decenni successivi. Tale codice,

elaborato per le Antille, fu poi esteso con alcune varianti alla Guyana, all'isola di Bourbon e alle

Mascarene, nell'Oceano Indiano e quindi, in seguito, nella Louisiana.

Vari furono gli inasprimenti soprattutto in merito all'emancipazione. Se il testo del 1685

riconosceva al padrone di almeno vent'anni il diritto di affrancare il proprio schiavo, nel 1713 si

impose il consenso scritto al governatore e dell'intendente; nel 1724 l'età del padrone venne elevata

a 25 anni e l'affrancamento fu subordinato a ulteriori consensi; si vietò ai bianchi di sposarsi con i

neri, pena punizioni e ammende arbitrarie, e si proibì sia i bianchi sia i neri liberi ogni forma di

concubinato fra gli schiavi. Mentre nel 1685 si imponeva gli schiavi emancipati il dovuto rispetto

verso l'ex padrone, e nella versione del 1779, lo schiavo liberato che avessi infranto questa norma

tornava schiavo.

Nelle colonie spagnole le prime ordinanze dirette a regolamentare la schiavitù vennero elaborate

negli anni 20 del Cinquecento dei consigli municipali, poco dopo l'arrivo di schiavi africani

all'inizio del secolo. Fu il governatore di Hispaniola, Nicolàs de Ovando, a emanare misure volte a

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reprimere eventuali insurrezione nell'isola, poi estese ad altre colonie. Si trattava di provvedimenti

presi a livello locale in risposta a problemi specifici, e mancò una legislazione generale secondo il

modello degli slaves code americani e del code noir francese.

Gli sforzi di sistematizzazione del governo centrale datano però al secondo Settecento, ossia l'età

dell'assolutismo illuminato, il cui obiettivo era quello di razionalizzare il sistema legislativo e di

centralizzare il potere ai danni dei corpi privilegiati, compresi quelli presenti nelle colonie. Tali

sforzi rispondevano all'esigenza di governare una manodopera servile che aveva conosciuto una

progressiva crescita nel tempo, ma di cui allora si temeva il declino, a causa di vari fattori, tra cui il

sistema di gestione della tratta, i numerosi affrancamenti e soprattutto il fenomeno del marronage.

Nelle colonie spagnole e portoghesi l'affrancamento era un fenomeno piuttosto frequente:

dall'emancipazione incondizionata da parte del padrone, alla liberazione subordinata a determinati

obblighi (come prolungamento del servizio per un certo numero di anni), sino alla manomissione

attraverso pagamento. Ciò ha spinto una parte della storiografia a sostenere che sia esistito un

modello spagnolo meno severo di quello britannico, un'ipotesi che non trova però un consenso

generale tra gli studiosi.

Occorre tuttavia sottolineare, tra le caratteristiche tipiche dell'America Latina, il diverso peso ha

avuto dalla resistenza degli schiavi nel mondo coloniale iberico: si poteva attuare una resistenza

passiva, rompendo il ritmo del lavoro o rifiutando per esempi di concepire figli, condannati a

schiavitù sicura (frequenti i casi di infanticidio, ma anche di suicidio), oppure visitare l'integrazione

restando legati alle proprie tradizioni religiose, malgrado l'imposizione forzata del battesimo.

Forme di resistenza per eccellenza rimase il marronage, se con il piccolo m. si intende la fuga

individuale, con il grande m. si indicano fughe che coinvolgevano migliaia di schiavi e che

portavano alla costituzione di veri proprie contro società. Essere marron (dallo spagnolo cimarron,

ossia colui che vive sulle cime) significava fuggire per entrare in comunità clandestine organizzate

spontaneamente in zone inaccessibili.

Vani comunque furono i tentativi di creare una legislazione sul modello del codice francese. Del

1783 la corona spagnola, attraverso il consiglio delle Indie, incaricò l'audiencia (tribunale) di Santo

Domingo di elaborare un codice ispirato a quello francese. Ne fu prodotto il Còdigo negro carolino,

dal nome dell'allora sovrano Carlo III, approvato soltanto a livello locale, poi superato dal

regolamento per le Indie nel maggio 1789, varato in corrispondenza con la legge sulla libertà del

commercio degli schiavi, in cui confluirono anche i codici precedenti. Questo provvedimento, in

nome della religione, dell'umanità e del bene dello Stato, mirava a migliorare il trattamento degli

schiavi anche al fine di evitare effetti di massa e prevedeva ammende per i proprietari che di mal

trattassero. Nelle colonie il regolamento fu accolto dalle proteste dei proprietari schierati contro

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qualsiasi regolamentazione del sistema e la monarchia cedette alle richieste del potente gruppo di

pressione, segno della sua sostanziale debolezza. Il regolamento sarebbe stato applicato soltanto a

Portorico dal 1826, fino alla soppressione della schiavitù sull'isola nel 1872, e a Cuba dal 1842 al

1886.

4. La schiavitù nell'Europa del Settecento

La presenza di schiavi africani, che aveva segnato profondamente la penisola iberica sin dalla prima

età moderna, coinvolse nel Settecento altri Stati europei, in cui la schiavitù era formalmente proibita

soprattutto in Gran Bretagna in Francia, dove pure schiavi neri non erano mancati nei secoli

precedenti, il fenomeno assunse allora dimensioni più visibili in seguito alla rimpatrio di coloni,

capitani e ufficiali della marina. In Francia i nuovi arrivi furono favoriti dall'esso della guerra dei

sette anni: i francesi, usciti sconfitti, persero la maggior parte dei territori nordamericani, tra cui il

Canada, e furono così spinti a rimpatriare. Difficile quantificare il fenomeno, che sfuggì di fatto

ogni tentativo di registrazione imposto dalla legge. Gli studiosi ipotizzano per il Settecento la

presenza di circa 4000-5000 neri e persone di colore sul suolo francese, circa lo 0,25% della

popolazione, e una cifra approssimativa oscillante tra i 15.000 e i 30.000 individui sul suolo inglese,

circa l'11%, di cui quasi la metà concentrata a Londra (tuttavia, la stima è resa difficile dal fatto che

in Gran Bretagna non si impose l'obbligo di registrazione chiusa parentesi. Si tratta di numeri non

paragonabili a quelli che caratterizzano il continente americano, tuttavia la presenza di schiavi neri

in terra europea è un fenomeno degno di attenzione.

Riguardo alla Francia, le fonti disponibili relative all'ingresso di schiavi non rinviano a numeri

particolarmente elevati, ma mostrano un incremento dopo il 1763. A Nantes gli arrivi ammontarono

a 57 nel 1762-63, a Bordeaux nello stesso anno furono 32 gli individui registrati come “negro

appartenente a...”. A Parigi, negli stessi anni, risultano ufficialmente 159 schiavi. Frequente la

compravendita di schiavi sul suolo francese, anche se nonostante l'abbondanza di documenti che mi

attestasse la presenza, si tratta piuttosto di eccezioni. L'arrivo di schiavi fu accompagnato dal

consolidarsi di una legislazione volta a regolamentare la loro condizione giuridica. Il Code noir non

aveva affrontato la questione relativa alla madrepatria: l'unico cenno riguardava infatti gli

affrancati; se esso legalizzata ufficialmente l'esistenza della schiavitù nelle colonie, va subito detto

che, con il progressivo aumento di schiavi in madrepatria e sotto la spinta dell'ideologia

colonialista, il principio secondo cui il suolo francese rendeva liberi fu messo in crisi. Una prima

svolta fu rappresentata dall'editto del re concernente gli schiavi neri delle colonie, del 20 ottobre

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1716, frutto delle pressioni degli ambienti coloniali durante la reggenza di Filippo d'Orleans.

L'editto autorizzava l'arrivo di schiavi in Francia: concedeva infatti a coloni ufficiali della marina la

possibilità di introdurre per un periodo limitato a un anno al fine di educarli alla religione cattolica e

di far loro apprendere un mestiere da spendere poi nelle colonie. Si sottolineava che così schiavi

non avrebbero acquisito la libertà per il solo fatto di entrare in Francia. I padroni dovevano però

rispettare le formalità imposte (permesso del governatore coloniale prima della partenza e

registrazione presso la cancelleria dell'ammiraglio nel porto di arrivo). In caso contrario, lo schiavo

era libero, e libro diventava anche se, dopo un anno, non tornava nella colonia. Esplicito inoltre era

il divieto di vendita di schiavi in madrepatria. Tale editto fu registrato solo in alcuni paludamenti,

ma non in quello di Parigi, al quale finirono per rivolgersi gli schiavi allo scopo di ottenere

l'emancipazione. Ciò portò a una spaccatura all'interno del paese tra la regione negri era atlantica e

la Parigi della libertà. Si configura nel contempo una situazione di fluidità giuridica: sebbene la

schiavitù non avesse un riconoscimento legale, di schiavi giungevano in Francia, spesso senza il

rispetto delle norme di registrazione.

Il provvedimento successivo fu la Dèclaratopn royale del dicembre 1738, nata dalla constatazione

che un gran numero di coloni continuava a introdurre schiavi in madrepatria non ai fini di una loro

istruzione religiosa o professionale, ma allo scopo di impiegarli come servitori domestici. La

maggior parte degli schiavi infatti non veniva rinviata nelle colonie. Il provvedimento ribadì che gli

schiavi giunti in Francia non erano affatto liberi e che dovevano essere rimpatriati entro tre anni; si

complicò l'iter burocratico per il loro ingresso si stabilì che in caso di

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Publisher
A.A. 2012-2013
64 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Dende1980 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Mazzolini Renato.