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Anche in Germania vi sono progressi rallentati e diversi da regione a regione → ES nel
Palatinato si diffondono le colture della patata e delle piante foraggiere per incrementare
l'allevamento. Altrove, come in Sassonia, la pratica del maggese, conosce alti e bassi legati a
varie ragioni di ordine economico e sociale, scomparendo all'inizio dell'Ottocento.
In Russia non vi è alcun progresso tecnico: le sue pianure restano il regno del latifondo dedito
alla cerealicoltura estensiva mediante tecniche assai arretrate. L'aumento della produttività si
traduce in pratica nell'ulteriore sfruttamento della manodopera servile che non può per legge
abbandonare la terra che lavora (istituto detto della servitù della gleba).
Nelle Province Unite i metodi di coltivazione utilizzati ormai da secoli prevedono che i campi
siano suddivisi in tre parti e coltivati seguendo cicli di tre anni in cui si alternano varie colture e
il periodo di riposo. Il principale problema dell'agricoltura è infatti legato all'impoverimento del
suolo da parte delle coltivazioni. L'unico concime utilizzato è quello di provenienza animale,
che risulta però insufficiente a ricostituire la fertilità dei terreni impoveriti. Si rende perciò
necessario produrre molto foraggio per alimentare il bestiame che fornirà il concime e quindi si
cercano sistemi di coltivazione più efficaci. Nel corso del Seicento ci si dedica alla coltura di
piante foraggiere, che costituiscono non solo un alimento per il bestiame, ma sono anche in
grado di rigenerare la fertilità del suolo e quindi di ripristinarne la capacità produttiva.
La stretta connessione fra l'agricoltura e l'allevamento consente di raggiungere molti benefici: i
terreni vengono resi più fertili e il bestiame produce latticini da destinare all'esportazione e
concime per i campi. I rendimenti agricoli, ossia il rapporto fra terreno coltivato e prodotto
ottenuto, non aumentano in misura particolarmente significativa. Infine anche il livello della
produttività, vale a dire il rapporto fra lavoro e produzione, nelle Province Unite non è
sufficiente a consentire un decollo dell'agricoltura paragonabile a quello inglese.
Le “enclosures” e la rivoluzione agricola in Inghilterra
Già nella seconda metà del XVII secolo, a causa della flessione dei prezzi dei cereali e alla
stabilità di quelli della carne e dei prodotti derivanti dalla zootecnia, i proprietari terrieri
inglesi cominciano a puntare sul miglioramento dell'allevamento bovino. Essi hanno quindi
bisogno di quantità sempre maggiori di foraggio e ricorrono alle tecniche agricole di rotazione
continua, sviluppate nelle terre fiamminghe. Il sistema ideato nelle campagne fiamminghe, che
abolisce il maggese, si diffonde in Inghilterra nel corso del XVIII secolo → esso è noto come
“sistema di Norfolk” (dal nome della contea in cui viene adottato per la prima volta) e prevede
la divisione dei terreni in quattro parti, in cui si alterna la coltivazione di grano, rape, orzo e
trifoglio. In questo modo, aumenta la superficie coltivabile senza interruzioni, grazie alla
scomparsa del maggese; viene ricostituita la fertilità dei campi grazie alle piante foraggiere
che servono a fissare nel terreno gli essenziali elementi azotati di cui esso ha bisogno, e infine
queste stesse piante forniscono un nutrimento di buona qualità per il bestiame. Quest'ultimo,
essendo di buona qualità, a sua volta, fornisce una maggior quantità non solo di letame da usare
nella concimazione, ma anche di carne e latte. Tale rotazione quadriennale consente infine di
introdurre nel ciclo anche alcune piante dette «industriali» perché forniscono materia prima per
le manifatture tessili (ES il lino) o per l'illuminazione.
L'adozione su larga scala delle nuove tecniche apre la strada a una crescita dei rendimenti.
Per la prima volta, allevamento e agricoltura non sono più incompatibili e l'ampliamento delle
terre arabili non avviene a scapito di quelle destinate all'allevamento e viceversa. Si inaugura
così un circolo virtuoso che alcuni studiosi hanno definito rivoluzione agricola e che porta
l'Inghilterra a diventare esportatrice di cereali sui mercati europei. I profitti ottenuti con il
commercio sono reinvestiti nell'ampliamento delle proprietà e nel miglioramento delle
coltivazioni.
Le conoscenze agronomiche alla base di questo sviluppo sono presenti da tempo anche in altre
realtà europee. Tuttavia, in Inghilterra esse si trasformano in innovazioni. Nelle campagne
inglesi si verifica il processo delle recinzioni (enclosures) dei terreni.
Il principale ostacolo allo sviluppo di un'agricoltura progredita e orientata al mercato è
rappresentato dalle forme tradizionali di sfruttamento della terra su base comunitaria.
Tradizionalmente i terreni agricoli europei sono “aperti” (open fields), cioè non possiedono
recinzioni che ne indichino l'appartenenza a un privato; i campi sonо coltivati secondo criteri
stabiliti dalla comunità, anche perché la loro proprietà è spesso frammentata tra diverse
persone. Infine su di essi gravano i diritti collettivi di cui godono i membri delle comunità. Nel
Settecento, la coltivazione dei campi secondo criteri comunitari sono sempre più sentiti come
una limitazione intollerabile da parte del ceto di medi e grandi proprietari terrieri inglese,
particolarmente attento ai guadagni che le nuove tecniche possono fornire. Il processo di
recinzione prevede l'accorpamento delle proprietà, con la conseguente abolizione dei diritti
collettivi, e la distribuzione delle terre comunitarie. L'intera proprietà viene recintata e dà vita a
un'azienda agricola che può essere gestita direttamente dal proprietario o data in affitto. Tutto
ciò solleva notevoli resistenze all'interno delle comunità rurali inglesi, ma i medi e grandi
proprietari hanno la legge dalla loro parte: è infatti sufficiente possedere la maggioranza del
valore delle terre per ottenere dal Parlamento il diritto alla recinzione. In questo modo, due o tre
possidenti sono in grado d'imporre la propria volontà in zone rurali anche abbastanza estese.
Dal punto di vista economico, la principale conseguenza delle enclosures settecentesche è la
creazione delle condizioni ottimali per la formazione di aziende agricole di ampie dimensioni
dedite alla produzione non più per l'autoconsumo, ma per la vendita sul mercato grazie
all'impiego delle nuove tecniche agricole. Esse possono cominciare a fare affidamento su
attrezzi agricoli migliorati (ES la seminatrice, inventata nel 1701).
Grazie agli elevati rendimenti che l'impiego della rotazione continua e l'integrazione fra
agricoltura e allevamento garantiscono alle grandi aziende agricole, l'Inghilterra, a partire dal
1730, può permettersi non solo di sfamare una popolazione in crescita, ma anche di esportare
cereali nel resto d'Europa.
Dal punto di vista sociale, le recinzioni causano la drastica contrazione del ceto dei piccoli
proprietari e dei coltivatori diretti → secondo una stima, solo il 20% della terra inglese è
coltivata direttamente dai suoi proprietari. Per tutti coloro che vengono di fatto espulsi dalle
campagne recintate si aprono tre possibili strade: l'impiego come braccianti nelle nuove aziende
agricole, la migrazione verso le città alla ricerca di migliori condizioni di vita e infine la
riduzione in stato di povertà.
Le nuove colture: verso il mutamento delle abitudini alimentari europee
L'abbandono della cerealicoltura estensiva avviene in alcune regioni europee a vantaggio
dell'introduzione di nuove colture provenienti dall'America. La fortuna del mais parte dalla
penisola iberica → nel XVIII secolo la sua coltivazione incontra un successo relativamente
rapido in virtù del fatto che dà rendimenti notevoli. Esso presenta inoltre il grande vantaggio di
costare la metà o anche meno del grano: ecco perché, durante il Settecento e l'Ottocento,
diventa un prodotto essenziale per l'alimentazione dei contadini della pianura padana. La
ragione del successo del mais va cercata proprio nella sua capacità di adattarsi alle condizioni
assai diversificate dell'agricoltura italiana dell'epoca. Nel XVII secolo la nuova coltura si
diffonde nel Veneto, fra Sei e Settecento conquista la Lombardia e il Piemonte, fino a
raggiungere durante il Settecento la Toscana. Qui, grazie al consumo di esso i produttori
agricoli possono riservare alla vendita in città il prodotto più apprezzato, il grano.
In virtù degli alti rendimenti il mais ben presto comincia a diventare la base alimentare per
buona parte della popolazione contadina, al punto che si impone progressivamente una
gerarchia all'interno dei consumi di cereali: i contadini sono costretti a nutrirsi prevalentemente
di mais sotto forma di pane oppure di polenta. Questo fenomeno coinvolge anche le città: le più
povere e le più piccole devono ricorrere in misura sempre maggiore al mais, mentre le più
grandi e ricche difendono con energia le loro tradizionali abitudini di consumo di grano.
Più lenta, ma dalle conseguenze economiche e alimentari assai importanti è l'introduzione della
patata, un altro prodotto originario del Sud America → si diffonde con grande lentezza nel
Seicento → suscita, infatti, grande diffidenza in quanto si teme che causi malattie e viene
impiegato solo come cibo per gli animali. Solo nella seconda metà del XVIII secolo la
coltivazione della patata comincia ad attecchire, perché alcune cattive annate dei cereali
obbligano la popolazione a nutrirsi di essa → il suo successo è notevole nei Paesi Bassi, in
Irlanda, Inghilterra e Germania settentrionale. L'affermazione definitiva della coltivazione della
patata nel resto del continente avviene solo durante l'Ottocento.
Cominciano ad affluire in Europa prodotti agricoli coloniali che migliorano il tono
dell'organismo e lo sostengono nelle fatiche del lavoro → si tratta del tabacco, del cacao, del
caffè e del tè. Questi tre ultimi prodotti, che si diffondono nel continente soprattutto nel corso
del Sei e Settecento, sono consumati sotto forma di bevande dalle fasce agiate della società. Tra
gli strati meno abbienti cresce invece il consumo di alcolici (vino, rum, acquaviti, vodka, birra).
Cresce pure il consumo individuale di alimenti già presenti nel continente europeo → ES il
burro o lo strutto, usati in Europa settentrionale; l'olio, utilizzato in Europa meridionale. Anche
il consumo di carne può aumentare in quelle aree europee in cui si verifica un miglioramento e
una razionalizzazione delle tecniche di alle