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LA FASE INTERMEDIA
Anni inquieti, (420-416), pagina 209
Apparve subito chiaro che la pace appena stipulata era poco salda.
Ad Atene si scontravano due visioni:
- Da una parte troviamo infatti fautori di un’egemonia bipolare Sparta-Atene, che
univa ai buoni rapporti tra le due polis. Il principale esponente di questa linea è
in questa fase Nicia.
- Dall’altra parte quanti propugnavano l'obiettivo di un’egemonia globale sul
mondo greco, favorevoli ad una continuazione a oltranza del conflitto. A
sostenere queste idee con la sua personalità e con il suo fascino fu un parente
di Pericle, Alcibiade.
Alcibiade fu il promotore di un’alleanza con Argo, Mantinea e L’Elide. L'iniziativa finì
male, con la disfatta a Mantinea nel 418, contro l'esercito spartano.
Successivamente Alcibiade riuscì a convincere gli ateniesi a intraprendere una grande
spedizione in Sicilia, destinata a cambiare le sorti del conflitto, ma non nella direzione
sperata.
La spedizione in Sicilia, (415-413), pagina 210
La Sicilia e in generale l'occidente, erano da lungo tempo presenti negli obiettivi
dell'ambiziosa politica estera atteniese.
La spedizione che partì nell’estate del 415 ebbe come pretesto per intervenire l'alleata
di Atene, Segesta, preoccupata delle minacce della rivale Selinute.
Su proposta di Alcibiade, gli ateniesi inviarono un contingente di circa 130 navi, il
comando della spedizione venne affidato allo stesso Alcibiade.
L'importanza della Sicilia stava nell’approvvigionamento di grano e nel desiderio di
Atene che l'isola non cadesse sotto l'influenza spartana. La Sicilia sarebbe stato un
trampolino di lancio per il dominio, non solo sull'isola stessa, ma su tutto l'occidente,
Cartagine compresa.
Poco prima della partenza, però avvenne un episodio inquietante, durante la notte,
vennero mutilate le statue di Hermes che abbellivano i crocicchi di Atene. In qualche
modo si trovò il pretesto per incolpare Alcibiade.
Al giovane stratego, fu comunque permesso di partire, salvo poi ritornare in patria per
essere processato. Alcibiade preferì fuggire e la spedizione intanto continuò, privata
del suo ideatore, nelle mani di Nicia, un mediocre generale.
L’obiettivo primario delle mire ateniesi era la più grande delle città della Sicilia,
Siracusa. Nicia iniziò l'assedio, reso difficile dalle potenti fortificazioni di cui la città era
dotata, le cose in un primo tempo, sembrarono mettersi bene e Siracusa sembrava sul
punto di soccombere, quando nell’estate del 414, fu inviato da Sparta un brillante
generale, Gilippo, che prese in mano la situazione e risollevo il morale dei siracusani.
Nicia chiese rinforzi che furono prontamente inviati, con oltre 70 navi al comando di
Demostene. Ulteriori indecisioni portarono al disastro. Dopo una sconfitta nelle acque
del porto di Siracusa, Nicia e Demostene tentare una fuga via terra, ma furono
raggiunti e l'esercito massacrato, nell’estate del 413. Molti furono i morti, molti gli
ateniesi presi prigionieri e ridotti in schiavitù.
Paradossalmente, nella Siracusa trionfante si instaurò ben presto un regime
democratico, sotto la guida di Diocle, una forma di governo simile a quella che,
secondo i detrattori, stava portando alla rovina l'avversaria Atene.
Terminava così nel peggiore dei modi l'avventura siciliana.
Gli ultimi anni di guerra e la vittoria di Sparta: Alcibiade un grande doppiogiochista,
pagina 211
I concitati anni finali della guerra, che si svolgono quasi interamente nelle acque
dell’Egeo, hanno come protagonista Alcibiade.
Lo abbiamo lasciato in fuga per evitare il processo a cui si sarebbe sottoposto in patria.
1. Alcibiade riuscì a giungere a Sparta, dove non ebbe difficoltà, per le sue doti
camaleontiche, ad ambientarsi, cambiando frangente aiutò gli spartani dove
fornì due eccellenti consigli, l'invio di Gilippo a Siracusa e l'occupazione stabile
del suolo attico, con la creazione di un avamposto nella fortezza di Decelea.
2. Allontanatosi poi successivamente anche da Sparta e recatosi in Asia minore, lo
stesso Alcibiade iniziò un complicato gioco diplomatico presso i persiani, per
spingerli ora verso Atene ora verso Sparta.
È questa seconda opzione che in successive fasi, ha finalmente successo, ed è a ben
vedere, l’evento che decide la guerra. I persiani, infatti forniranno agli spartani e ai suoi
alleati, le risorse finanziarie per armare costosissime flotte senza le quali la resistenza
di Atene avrebbe potuto protrarsi all'infinito.
È questo il primo caso, particolarmente evidente di quella ingerenza persiana negli
affari della Grecia, basata non tanto sul potenziale militare, quanto su enormi
disponibilità finanziarie.
3. Nello stesso tempo Alcibiade cambiando di nuovo sponda, gioca tutte le sue
carte per riuscire a rientrare ad Atene. (Negli anni in cui fu a Sparta Alcibiade fu
comunque decisivo per il crollo di Atene).
In un primo tempo favorirà la rivoluzione oligarchica del 411, subito dopo, appena in
tempo, virando verso i democratici e accreditandosi come fautore della restaurazione
democratica.
Gli avvenimenti degli ultimi anni di guerra sono davvero tumultuosi. Atene ha gli
spartani alle porte a Decelea, numerosi focolai di rivolta tra gli alleati, una situazione
finanziaria drammatica, senza contare che la peste, gli anni di guerra e i morti in Sicilia,
avevano notevolmente ridotto il numero degli abitanti e dunque dei potenziali soldati.
Nonostante ciò, la città pare in grado di riprendersi in modo quasi prodigioso e
sconfiggere ripetutamente gli inesperti spartani in battaglie navali nella zona
dell’Ellesponto.
4. In quest'ultima battaglia, decisivo fu nuovamente il ruolo di Alcibiade, che dalla
parte degli ateniesi, pur formalmente privo di potere, ottenne la vittoria.
L' euforia di questi successi portò addirittura al rifiuto delle proposte di pace spartane.
Poco tempo dopo nell’estate del 408, Alcibiade fa ritorno in patria, accolto come un re
da un enorme folla festante, viene anche eletto stratego con pieni poteri per l'anno
successivo.
5. Ma è sufficiente una sconfitta di poco conto nelle acque dell’Egeo, vicino a
Nozio, nel 407, per far cacciare di nuovo Alcibiade, che non rientrerà più ad
Atene e di lì a pochi anni, verrà assassinato a tradimento dai persiani.
Lo scontro costituisce anche uno dei primi successi di Lisandro, eccellente generale e
ambizioso politico, vero protagonista del trionfo finale spartano.
Gli ateniesi hanno in questi anni ancora la forza per conseguire un’altra vittoria presso
le isole Arginuse, ma l'anno dopo nell’estate del 405, Lisandro sorprende la flotta
ateniese in secca a Egospotami, distruggendola.
È veramente la fine. Lisandro entra nel Pireo e prende possesso di un Atene stremata
e affamata.
Corinzi e Tebani proposero la distruzione della città. Ma le condizioni dettate dagli
spartani furono assai più miti:
- distruzione della flotta, all'infuori di 12 navi,
- abbattimento delle mura,
- instaurazione di un regime oligarchico.
La motivazione ufficiale fu rispetto per la polis che aveva così tanto contribuito alla
salvezza della Grecia nelle guerre persiane.
CAPITOLO 19
LA SICILIA E LA MAGNA GRECIA, NEL 4 SECOLO, (405-337)
Per Magna Grecia, si intende un vasto territorio in Italia meridionale, nella quale si
stabilirono le colonie greche. Comprende i territori dell’attuale Puglia, (area di
Taranto), Calabria, e della Campania meridionale.
La Sicilia era esclusa da questo gruppo, sempre chiamata con questo nome dai Greci,
(Sikelia).
Siracusa, Taranto e i popoli non greci, pagina 217
Le vicende di Sicilia e di Magna Grecia, a partire dalla fine del 5 secolo, sono segnate
dal rapporto tra le fondazioni greche e le popolazioni che circondarono le polis, più
ancora di quanto non fosse avvenuto nel passato.
In Sicilia, i greci ci riescono, pur tra mille difficoltà e una serie di guerre, a mantenere
lo status quo, nei confronti dei cartaginesi. È il massimo risultato che il potenziale delle
città greche di Sicilia può ottenere, malgrado la guida carismatica di Dionisio I. Per
espellere i cartaginesi dall'isola, bisognerà aspettare più di un secolo e l'intervento dei
romani.
La situazione in Magna Grecia, meno conosciuta nei particolari è ancora più
drammatica, qui nel giro di meno di un secolo, i greci perdono il controllo di gran parte
delle città da loro fondate, la crescita di importanza delle popolazioni indigene è un
fenomeno di grande peso che esula comunque dalla nostra trattazione.
A Taranto, la principale tra le città della Magna Grecia, così come del resto nella stessa
Siracusa, si registrarono, nel corso della prima metà del quarto secolo, tentativi di
interazione fra il potere politico militare e le teorie filosofiche, attraverso il governo
illuminato di Archita a Taranto e quello decisamente più fallimentare di Dione a
Siracusa.
Dioniso I, e la guerra contro i Cartaginesi pagina 217
Dioniso I ottenne la fiducia dei siracusani quando era poco più che ventenne e riuscì a
mantenere il potere per quasi quarant'anni.
Ad approfittare della vittoria sugli ateniesi, più che i siracusani furono i cartaginesi, i
quali per la prima volta dopo ben 70 anni, compirono nuovamente una spedizione in
Sicilia, conquistando in successione Selinute, Imera e Agrigento. La situazione a
Siracusa era comprensibilmente drammatica.
Fasi della guerra:
1. Dioniso, approfittò del panico e riuscì a farsi nominare comandante dell’esercito
a pieni poteri. L'anno seguente, i cartaginesi pur nettamente superiori sul piano
militare, accettarono di interrompere la guerra, causa di una pestilenza che
aveva colpito l'esercito. Il loro controllo su buona parte della Sicilia venne
confermato nel trattato di pace, ma in compenso fu riconosciuto il dominio di
Dionisio su Siracusa.
In pochi anni, Dionisio consolidò il suo controllo sulla città e sulla Sicilia orientale, per
poi intraprendere, nel 400, spettacolari preparativi in vista di una nuova guerra contro
Cartagine, il risultato di tale sforzo fu l'allestimento di una flotta di ben 300 triremi e di
un grosso esercito.
2. Il conflitto ripresa effettivamente nel 397, con la conquista di Mozia da parte di
Dio Dionisio, grazie al dispiegamento delle più moderne tecnologie d'assedio. La
reazione cartaginese fu però efficace, un esercito al comando di Imilcone, giunse
fino a stringere d'assedio la stessa Siracusa, quando una nuova pestilenza
scoppiata nelle file puniche lo costrinse a far ritorno in Afri