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IL PROCESSO DI DECOLONIZZAZIONE
Il colonialismo europeo si sgretolò in due fasi successive. La prima, '46-'51, si svolse nel continente asiatico e la seconda, '56-'63, in quello africano. Nel dicembre '65 delle 26 colonie esistenti vent'anni prima non erano indipendenti solo le portoghesi, che vi sarebbero diventate nel '75. Del grande impero britannico era rimasta solo Hong Kong che passò alla Cina nel 1997. Due anni dopo anche Macao, portoghese, tornò alla Cina. Tra prima e seconda fase vi fu una tappa fondamentale: nel 1955 si tenne la conferenza di Bandung (Indonesia), dove i responsabili di 29 paesi asiatici e africani condannarono ogni superstite forma di oppressione coloniale. Guidati da tre autorevoli leader: Nehru (India), Nasser (Egitto) e Sukarno (Indonesia) puntarono subito alla stabilità e crescita economica. Nel 1961 a Belgrado il gruppo, a cui si unì la Jugoslavia di Tito, scelse di non allinearsi.rispetto ai due blocchi impegnati nella guerra fredda. Le politiche economiche adottate distinsero i paesi ex coloniali a programmazione economica centralizzata da quelli che optavano per il libero mercato. Nel 1965, nel palazzo dell'ONU sedevano i rappresentanti di 120 paesi, 70 dei quali da poco affacciate sulla scena mondiale. Esse rappresentavano quella parte di umanità che Sauvy chiamò "Terzo Mondo". Nel 1961 l'ONU dichiarò gli anni Sessanta il primo decennio dello sviluppo dei paesi poveri e fondò il United Nations Conference on Trade and Development. Accanto alle agenzie dell'ONU fiorirono anche associazioni che misero in relazioni gruppi di paesi del Nord e del Sud del mondo. Con la presidenza Kennedy gli USA crearono l'Alleanza per il progresso per America Latina e Africa. Con la convenzione di Yaoundé (1969) l'UE strinse rapporti con 18 paesi africani, arrivata a comprenderne poi 68 da ognicontinente. PRIMA FASE DI SVILUPPO (1946-65)I paesi del Terzo mondo si impegnarono nell'avvio di progetti di industrializzazione e programmi di istruzione. Da un tasso di scolarizzazione di base, pari al 26% nel 1950, alla fine del secolo si arrivò a circa l'80%. L'accesso agli studi universitari è stato relativamente diseguale da un continente all'altro e da nazione a nazione a seconda del regime politico. Il progresso dell'istruzione superiore ha avuto andamenti esponenziali. Tra il 1948 e il '65, il terzo mondo a economia di mercato triplicò il volume delle produzioni manifatturiere con tasso annuo del 7%; si arrivò infatti alla sostituzione delle importazioni con prodotti locali. Non appena il processo di sostituzione delle importazioni fu completato, sul finire degli anni Sessanta vi fu un ovvio rallentamento della crescita delle attività manifatturiere. Un freno alla prosecuzione dello sviluppo venne anche dalla
rigidità della domanda mondiale di tessili e calzature assieme alla dipendenza della società dalle multinazionali occidentali che spostarono qui tutte le fasi delle filiere produttive svolte da manodopera poco qualificata. La creazione di imprese da parte dei governi agì da freno. Un altro fattore limitativo è dato dalla prevalente sottoutilizzazione della capacità produttiva spesso largamente sovradimensionata rispetto ai volumi assorbibili dalla domanda. Nei primi anni Sessanta, quando nel Terzo Mondo il processo di industrializzazione sembrava avviato apparve chiaro che era in corso un'inflazione galoppante. Il ritmo reale di incremento era al tempo del 2,3% annuo. Il boom demografico fu l'effetto di consistenti cali di mortalità infantile e di campagne di vaccinazione a tappeto che non tardarono a procurare crescenti deficit degli alimenti di base. Se, attorno al 1940, i prodotti agricoli del Terzo Mondo eccedevano consumi locali, dallaFine degli anni Quaranta si profilò un deficit cerealicolo annuo. I governi finanziarono politiche di miglioramento delle tecniche agronomiche, di diffusione delle macchine e di utilizzo delle sementi modificate. Alle politiche locali si affiancarono sempre più spesso programmi internazionali di aiuti di scarsa efficacia. L'esplosione della domanda di petrolio introduceva un potente discriminante fra paesi in via di sviluppo: venditori di petrolio VS altri. L'impennata della domanda di petrolio del "primo mondo" avvertì quei paesi che non ne disponevano che il divario tra i loro livelli di vita e quelli dei paesi ricchi sarebbe cresciuto. Cominciò anche un grande esodo di inurbamento che congestionò le periferie e moltiplicò favelas e bidonvilles. La scalata dei prezzi del greggio causò inflazione anche nelle nazioni del Terzo Mondo; fra il 1950 e il '70 i prezzi al dettaglio aumentarono in media dell'11% annuo.
Dal’73 all’85 i prezzi crebbero del 25%.
UNA VIA DI USCITA DAL SOTTO SCILUPPO: LE QUATTRO TIGRI ASIATICHE
All’inizio degli anni Settanta esaurita la fase delle importazioni, nel Terzo Mondo a economia di mercato prevalse il declino. Nel lontano Oriente, invece, dagli anni Sessanta prima Hong Kong e, poi, una decina di anni dopo Taiwan, Corea del Sud e Singapore imboccarono la via dello sviluppo economico tanto rapido da proiettarli nel novero dei paesi avanzati. I quattro paesi erano accomunati da alcune caratteristiche negative: privi di risorse naturali ed energetiche, densamente popolati, usciti devastati dalla seconda guerra mondiale e per la Corea del Sud c’era anche il conflitto con quella del Nord negli anni ’50. Corea e Taiwan negli anni ’30 avevano migliorato l’agricoltura e fruito di impianti industriali. Alla vigilia della seconda guerra mondiale la Corea disponeva di centrali elettriche e di fabbriche tessili siderurgiche e cementiere.
economie e apertura ai mercati internazionali. Hong Kong e Singapore, pur essendo città-stato, hanno avuto una crescita economica notevole grazie alla loro base industriale diversificata e alla bassa percentuale di contadini. Entrambe le città hanno iniziato ad esportare manufatti già prima della grande guerra e hanno continuato a svilupparsi grazie alla promozione delle produzioni industriali e dei settori tecnologicamente avanzati. Inoltre, entrambe le città hanno adottato politiche economiche e sociali volte a stabilizzare l'economia, risanando il bilancio pubblico e promuovendo la liberalizzazione delle economie e l'apertura ai mercati internazionali. Queste politiche hanno contribuito alla crescita economica di Hong Kong e Singapore, che sono diventate importanti centri finanziari e commerciali a livello mondiale.Imprese attive nell'economia globale e nel controllo della bilancia dei pagamenti per accrescerne l'attivo. La crescita economica andò di pari passo con un miglioramento dei tenori di vita e della perequazione dei redditi. A Hong Kong e Singapore dopo lo sviluppo economico la sperequazione dei redditi risulta sensibilmente superiore rispetto a Giappone, Corea del Sud e Taiwan. In tal modo si determinano un maggior potere d'acquisto diffuso, miglior sostegno della domanda e maggiore capacità di risparmio. In tutti e quattro i casi l'azione dell'amministrazione pubblica è stata tanto decisiva da poter parlare di "stato per lo sviluppo". Hong Kong fu la più precoce. Dalla metà degli anni '50 cominciò a crescere come paradiso del libero mercato. La corona inglese lo affittava a privati. Negli anni Ottanta lo stato organizzò l'istruzione, la sanità, i trasporti, i servizi sociali e i sussidi alimentari.
Negli anni 1949-'80 mentre il Pil si moltiplicava x13 la spesa crebbe di 26 volte e quella sociale di 72. Le autorità svolsero un ruolo decisivo di promozione e controllo anche nel settore bancario, borsistico e dei servizi. Il successo venne dalla crescita delle esportazioni di manufatti destinate al Regno Unito, al Commonwealth e agli USA. Il fattore fondamentale fu la flessibilità degli imprenditori manifatturieri, che derivava dal prevalere di piccole e medie imprese e da tasi di investimento costantemente elevati. Le multinazionali danno lavoro al 7/8% della manodopera industriale delle 4 tigri. La competitività delle industrie della colonia britannica passata sotto controllo cinese del 1997 e di Singapore si spiega anche con la particolare forma di stato sociale che sopporta i costi delle abitazioni degli operai mettendogli a disposizione quartieri di edilizia pubblica. Dal 1950 al '95, favoriti da un peso limitato dell'agricoltura e da dimensioni
territoriali minime, le quattro tigri realizzarono unosviluppo economico rapido e intenso. Nell'insieme, la ricchezza nazionale crebbe mediamente del 4%annuo e dal 1970 al 95 il tasso quasi raddoppiò.
LA CRISI DI FINE SECOLO, LA RIPRESA E LA CRISI GLOBALE
La crisi economica asiatica di fina anni Novanta ebbe effetti assai diversi sulle quattro tigri. Tra ottobre del'97 e giugno del '98, nella bolla speculativa immobiliare e nel crollo della sua borsa, Hong Kong bruciò 300miliardi di dollari locali. Entrò quindi in recessione, Singapore se la cavò con un declino dell'1% mentreTaiwan continuò a crescere. A Hong Kong tra il '90 e il '96 il valore degli immobili privati quadruplicò e i prezzi esplosero. Era in corso una riconversione dell'economia e le officine si spostarono di là dal confine cinese. La terziarizzazione attirò capitali taiwanesi, giapponesi e di speculatori del mondo. Nel
’97 un attacco speculativo al dollaro di Hong Kong minò la fiducia degli investitori. L’intervento della Cina popolare scongiurò il crollo ma iniziò la recessione. Singapore era ovviamente al riparo da bolle immobiliari. Il bilancio pubblico poi godeva di ottima salute e l’isola divenne importante centro di finanza e servizi mentre lo stato impediva che si abbandonasse il settore manifatturiero. La borsa di Singapore andò esente da scorrerie speculative della finanza globale e i solidi legami con le multinazionali estere fecero il resto.
La crisi coreana iniziò nel gennaio del ’97 con il fallimento di Hanbo, uno dei maggiori chaebol, specializzato in siderurgia e edilizia. Fallirono poi sei dei primi trenta gruppi del paese. A settembre le perdite erano 7,5% del Pil nazionale. Gli investitori esteri si affrettarono a liquidare le loro posizioni. Il won crollò. Per risanare la situazione si chiamò in aiuto il FMI.
rvenne intervenire per risolvere la situazione, ma le difficoltà persistettero. Le conglomerate si trovarono in una posizione di svantaggio competitivo a causa della mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo e della mancanza di una strategia di diversificazione. Inoltre, la mancanza di una cultura aziendale orientata all'innovazione e alla flessibilità ha contribuito al declino delle conglomerate. Questi fattori hanno portato alla perdita di quote di mercato e alla riduzione dei profitti. Le conglomerate hanno cercato di affrontare queste sfide attraverso fusioni e acquisizioni, ma spesso senza successo. Alla fine, molte delle conglomerate sono state costrette a chiudere o a ridimensionare le loro attività.