RI.
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Inoltre, gli studiosi Humpries e Schneider ritenevano le misurazioni dei salari di Allen
sovrastimate.
In conclusione, si può dire che non esiste un fattore decisivo più di altri, ma è stata
più una combinazione di situazioni favorevoli all’Inghilterra.
Il “Modern Economic Growth” (MEG)
Il MEG (in Italiano “Sviluppo Economico Moderno”) rappresenta la fase delle due
convergenze già citate, e ricopre il periodo che parte dalla RI ad oggi. La definizione
di questo fenomeno fu coniata da Simon Kuznets (che tra l’altro fu anche l’inventore
del PIL) e così recita: “lo sviluppo economico di un paese è l’aumento nel lungo
periodo della capacità di un paese nel fornire beni diversificati alla sua popolazione,
grazie al progresso tecnologico, che è una precondizione, ma va abbinato ad un
progresso istituzionale e ideologico, che permettano alla società di crescere.
Sebbene alcune siano state in grado di progredire grazie a dei colpi di fortuna, come
giacimenti minerari, o una particolare posizione geografica, la gran parte ha seguito il
percorso “classico”.
Kuznets, per analizzare il MEG, ne individua 6 caratteristiche, che tutti i paesi hanno
presentato:
1. Popolazione e PIL aumentati in modo considerevole
2. Tasso di produttività elevato e direttamente coinvolto nella crescita del PIL
3. Rapida trasformazione strutturale del tessuto economico, da agricoltura a
industrie prima, e da industrie a servizi poi; nascono le imprese impersonali,
cioè costituite da società come organi direttivi
4. Rapido cambiamento del tessuto sociale, che diventa più laico e si riversa
maggiormente nelle città
5. I paesi più sviluppati nei settori di trasporto e comunicazione tendono ad
espandersi in ambito commerciale e militare, avviando un processo di
globalizzazione come mai visto prima; si gettano le basi del periodo imperialista
6. Il MEG fu un’epoca molto prolifica solo per i paesi più sviluppati, quindi Europa
Occidentale, USA e Giappone, che all’epoca rappresentavano solo un quarto
dell’intera popolazione mondiale. I restanti tre quarti, sebbene anche loro
riscontrarono dei tassi di crescita, non ressero il passo dei più ricchi
Le 6 caratteristiche, dice Kuznets, sono tutte necessarie e interconnesse tramite
rapporti di causa-effetto, e toccano le sfere economica, ideologica e istituzionale.
Il progresso tecnologico portava con sé del potenziale che i paesi ricchi dovevano
sfruttare, ma questo valore era imprevedibile; l’economista fornisce l’esempio
dell’automobile, che stravolse il tessuto cittadino, portando i ricchi ad allontanarsi dal
centro città e parallelamente alla concentrazione dei più poveri in quartieri
circoscritti.
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Il progresso porta le categorie “obsolete”, quindi contadini e artigiani, ad un
peggioramento delle loro condizioni, prerogativa che espande il senso di conflittualità
per il nuovo ordine sociale stabilito, e il compito delle autorità statali sta nella
risoluzione dei conflitti senza costi eccessivi né indebolimenti della politica.
Il MEG è quindi sinonimo di un’alternanza ciclica tra cambiamenti e conflittualità data
da disuguaglianze socio-economiche, situazione che Kuznets denomina “rivoluzione
controllata”.
La curva di Kuznets
Ogni singolo paese, durante il suo sviluppo, tende a seguire lo stesso andamento,
descritto da Kuznets con l’omonima curva. Questa curva, a forma di parabola
concava (o una U rovesciata), simboleggia appunto l’andamento dei paesi, ponendo
lo sviluppo economico alle ascisse, e la disuguaglianza sociale nelle ordinate.
Lo stesso Kuznets suddivide la curva in tre fasi temporali:
1. La parte iniziale della curva rappresenta una società preindustriale, che mano a
mano che si sviluppa aumenta la disuguaglianza
2. A ridosso del vertice della parabola, sempre sul ramo sinistro, Kuznets
denomina questo periodo come transitorio, nella quale si ha una trasformazione
strutturale della società, che privilegia la tecnologia e l’agricoltura, causando
anche una netta spaccatura tra redditi urbani e rurali
3. Quando ormai lo sviluppo è avanzato, la popolazione si adatta alla vita urbana,
e le tecnologie si diffondono anche nei luoghi rurali, che vedranno crescere
anche il loro reddito, riducendo così la disuguaglianza economica
Studi successivi a Kuznets hanno indagato sulla relazione tra sviluppo economico e
distribuzione del reddito, e si teorizza che la crescita dell’una causi una contrazione
dell’altra.
In conclusione, quindi, si può appurare che il MEG sia un processo di per sé selettivo
e conflittuale, nel quale crescita e disuguaglianza devono convivere.
La prima globalizzazione
Gli storici collocano questo periodo dal 1850 all’inizio della Grande Guerra, ed è per
definizione un processo di integrazione dei mercati nazionali su scala globale, in
modo tale che i primi diventino ora dipendenti dai secondi, perciò i prezzi di ogni
mercato dipendono dalle condizioni di domanda e offerta globale.
Un esempio concreto e attuale sono i prezzi di grano e gas naturale causati dalla
guerra in Ucraina. La difficoltà sempre maggiore a reperire questi due beni,
riducendone l’offerta, non bastava a soddisfarne la domanda, portando così ad un
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aumento dei prezzi, ai quali i paesi che si rifornivano da Russia e Ucraina hanno
dovuto diversificare le importazioni di quei beni.
L’Italia, grosso importatore di gas dalla Russia, a causa della nuova ostilità tra i paesi
ha portato il nostro Paese a diversificare le importazioni di gas rivolgendosi
all’Algeria, per contenere i costi.
Tornando ai concetti teorici, la globalizzazione comporta un’intensificazione dei
mercati nazionali, che si scambiano, a livello globale, beni economici grazie al
commercio, forza-lavoro date dalle migrazioni di massa, e anche di spostamenti del
capitale, dati dagli investimenti internazionali, fenomeni inizialmente molto
circoscritti fino a metà ‘800.
Questo fenomeno esplose tra le economie atlantiche, i cui prezzi, tassi d’interesse e
salari tendevano a convergere.
Le barriere commerciali
Il grosso ostacolo al libero commercio stava nel settore dei trasporti; i costi erano
ancora troppo alti, e le tecnologie non era poi così tanto all’avanguardia, neanche per
quanto riguarda la conservazione di beni specifici come i generi alimentari, che
dovevano affrontare lunghi viaggi; infatti, le scoperte tecnologiche del periodo
riguarderanno proprio questo settore.
Innanzitutto, il mezzo di trasporto per antonomasia della 1° globalizzazione è il treno
a vapore: teorizzato e costruito per la prima volta nel 1814 da George Stephenson,
negli anni a venire furono costruite numerose reti ferroviarie, tra cui la
Transcontinentale, che collega NYC a San Francisco, la Transiberiana, che collega la
Russia alla Siberia, così come tutte le reti a livello nazionale, soprattutto europeo,
abbattendo i costi di trasporto a livello nazionale.
Anche lo scambio di idee viaggiava alla stessa velocità delle merci, fino
all’introduzione del telegrafo nel 1850, che con la stampa commerciale introdotta
successivamente permetteva alle notizie di essere di dominio pubblico.
Le barriere naturali
Il Pianeta Terra non era esattamente disegnato per la globalizzazione. Sebbene la
rotta transatlantica non fosse un problema, altre vie come quella europea verso l’Asia
, così come quella tra est e ovest degli Stati Uniti erano lunghissime, siccome
prevedevano la circumnavigazione, rispettivamente, di Africa e Sud America.
Sebbene le linee ferroviarie stavano pian piano migliorando, il commercio via mare è
sempre stato il metodo prediletto a livello globale.
Per ovviare a questo problema, furono costruiti due canali artificiali: Suez nel 1869,
che permetteva di passare dal Mar Rosso, e Panama nel 1914, che collegava Oceano
Atlantico e Pacifico tagliando i tempi di trasporto.
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Tutt’oggi questi due stretti rappresentano degli snodi commerciali fondamentali per il
commercio marittimo globale.
Le barriere artifi ciali e il mercantilismo
Le barriere artificiali sono create dai paesi stessi, che prima del 1850 si dotavano di
misure protezionistiche in materia di importazioni, applicandoci dei dazi, mentre si
incentivavano le esportazioni nette (bilancia delle partite correnti ) per accaparrarsi i
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metalli preziosi, che al tempo erano sinonimo di potenza della nazione; questa
visione economica è detta “mercantilismo”.
La politica mercantilista poteva funzionare solo se le altre potenze non fossero, anche
se la storia mostra che sia accaduto il contrario, almeno prima della globalizzazione.
Nonostante ciò, contro ogni previsione, l’era mercantilista non fu caratterizzata dalla
stagnazione, ma anzi i commerci internazionali crebbero dal Seicento e per i 200 anni
successivi dell’1% annuo ogni anno, anche di più durante l’imperialismo. Il fatto è che
ogni paese europeo dipendeva pesantemente dalle proprie colonie, o in generale da
Paesi importatori di beni che non venivano prodotti internamente.
Il primo Paese, secondo la maggior parte degli storici, a liberalizzare il proprio
commercio, fu la Gran Bretagna con l’abrogazione delle Corn Laws, leggi che
stabilivano dazi sull’importazione di grano, in modo tale da assicurare ai proprietari
terrieri un certo margine di guadagno, e delle Navigation Laws, cioè il divieto di
attracco di nave straniere nei porti inglesi. Infine, gli inglesi stipularono con la Francia
il trattato Cobden-Chevalier, nel 1860, che è considerato il primo trattato
commerciale moderno, che abbassò i dazi doganali nei confronti tra i due paesi, e
introdussero la MFN (“clausola della nazione più favorita”): questa clausola
prevedeva che uno stato coinvolto nella clausola, in caso firmasse accordi
commerciali con paesi terzi, dovesse estenderne i vantaggi anche al paese con cui ha
stipulato la MFN.
Sebbene fu un processo iniziato dalla Gran Bretagna, quale fu il fattore che
determinò l’apertura al libero scambio per i paesi europei? Questa motivazione
necessita di un approfondimento sui vantaggi dello scambio.
Adam Smith e i vantaggi assoluti
Smith, già incontrato nel riassunto, fu notoriamente un liberalista in fatto di
economia, e fu il primo a comprovare la sostenibilità del commercio globale con la
teoria dei vantaggi assoluti.
2 La “bilancia dei pagamenti”, formata da “bilancia delle partite correnti” e “bilancia dei movimenti di
capitale”, è la somma tra questi due, per definizione è la somma di ogni transazion
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