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La famiglia Benvenuti
Con entra in scena un tipo di telefilm, di produzione italiana, in cui non viene offerta in consumo la vicenda di un errore, ma viene presentato un nucleo familiare alle prese con l’esperienza quotidiana, immerso nella cronaca di tutti giorni. Nel corso degli anni 70 l’infelicità pubblica finisce per prevalere sulla felicità privata, faticosamente costruita nel decennio precedente tra migrazioni, consumi e televisori: incertezza e conflittualità diventano le cifre di lettura dominanti. In questa stagione la Rai si muove con cautela, cercando di adeguare ai tempi la propria missione dell’Odissea Famiglia Benvenuti Quelli della domenica pedagogica. Nella scia e della – ma anche di(1968), innovativo varietà che lancia a Paolo Villaggio, Cochi e Renato, Ric e Gian – potenzia la propria capacità produttiva: sono 39 i telefilm realizzati e messi in onda nel 1968 (erano solo 9 nel 1965). - Secolarizzazione La fine di Bernabei,parallela a quella del suo padrino politico Fanfani, arriva con l'esito del referendum che nel 1974 sconfigge il tentativo della Democrazia cristiana di abrogare per via popolare la legge sul divorzio. A determinare una maggioranza così ampia è il voto delle donne: alto effetto lungo e sotterraneo del '68 che segnala un processo chiamato secolarizzazione, cioè la perdita di importanza delle istituzioni religiose nei tempi e nei modi della vita quotidiana.
Il mutamento demografico è una svolta che non riguarda solo l'Italia. Anzi il belpaese mutua in ritardo e in misura ridotta una trasformazione che cala dal Nord Europa. Divorzi, matrimoni senza carta, riduzione del numero di figli, metodi contraccettivi, aumento dell'età alle nozze, figli illegittimi, rappresentano i fattori principali di una transizione demografica in atto dalla metà degli anni '50 che annulla gli effetti della baby boom generation.
La televisione italiana matura nel
Corso degli anni 70 una inavvertita ma crescente scissione interna. Il dopo Bernabei apre infatti una lunga e contrastata stagione di passaggio da una tv di tipo pedagogico-educativo alla industria del divertimento. Da un lato, il tono dell'informazione e la censura sui programmi di intrattenimento rimangono fedeli a una linea tradizionalista e clericale di difesa. Dall'altro, il messaggio della pubblicità marcia al passo dei tempi e disegna un modello di famiglia nucleare. La cultura del narcisismo attraversa tutto l'Occidente rovescia nella corsa ai consumi privati il senso civile della convivenza. Partecipazione e condivisione del vivere sociale non passano più attraverso forme collettive di uso del tempo libero, bensì attraverso l'ostentazione di status symbol personali di cui entra far parte anche la cura del proprio corpo.
Il ciclo della politica. Nei decenni successivi questo cambiamento generazionale appare sostanzialmente irreversibile.
ecatalizza una nuova soggettività individuale, destinata a manifestarsi in Italia (ma non solo) su un doppio livello. Da un lato, essa coinvolge le cellule sociali primarie, come la famiglia, trasformandole da unità di risparmio in unità (anche) di consumo. Le prime subordinano richieste e interessi individuali, le seconde mettono in discussione l'unità familiare secondo logiche di confronto sia sessuale sia generazionale. I media, in particolare la televisione, si prestano a un'estensione della merce a stile di vita: compro dunque sono. Il messaggio pubblicitario non veniva visto come un semplice messaggio di vendita, ma come un'estensione del prodotto stesso. La pubblicità e il marketing aggiungevano valore al prodotto.Esiste però anche il rovescio della medaglia. Non avere un certo prodotto genera senso di esclusione e la pubblicità è abile nel suscitare tali emozioni.
Un atteggiamento di maggiore diffidenza nei
Confronti dei media e della comunicazione commerciale che sembra distinguere il pubblico italiano le quadro europeo. Italiani e olandesi condividono un atteggiamento negativo nei confronti della pubblicità ritenuta ingannevole e responsabile di superflui bisogni indotti. La disaffezione verso la pubblicità insieme a quella verso la televisione, si concentra nelle classi di età più giovane e sembra indicare il peso specifico della boom generation e del '68 nel mutamento di opinione.
Exit Dietro le quinte di un palcoscenico occupato pressoché totalmente dal conflitto politico, la modernità italiana si svolge nel segno contraddittorio di un nuovo individualismo che viene dal '68 e si declina nelle forme vistose della mobilitazione collettiva e della secolarizzazione culturale. A raccogliere questa disaffezione per la politica è l'andamento dell'attenzione per i telegiornali, da sempre il genere più seguito dal pubblico televisivo.
Tra 1976 e 1987, prima che inizi l'epoca deinotiziari delle emittenti private, l'audience media dei tre telegiornali di prima serata quasi si dimezza punto a perdere terreno è soprattutto il Tg1 mentre Tg2 e Tg3 conquistano pubblico. Il conduttore (es. Lily Gruber) si colloca di tre quarti, si alza in piedi, dialoga con inviati ed esperti: l'effetto prossemico è di passare dalla parte dello spettatore, di invitarlo ad entrare nello spazio dello studio televisivo. Il movimento offre l'illusione di una comunicazione più interattiva.
Frustrata da una politica incapace di riforme e sempre più parassita, la trova nuove strade per proseguire la propria mutazione individualistica. Una di queste strade è quella che si apre con le radio e le televisioni private. La stagione delle radio libere in cui la programmazione si fonda su due pilastri: la musica rocca e la filosofia dell'eccesso, fondata sul baby boom generation.
Contributo attivo degli ascoltatori alle trasmissioni attraverso le telefonate in diretta (sul secondo canale radiofonico della Chiamate Roma 3131, Rai del 1969). Quasi completamente diverso appare il ciclo delle televisioni private, che prende avvio con Telebiella nel 1971. Assai meno legate a una filosofia della partecipazione e della democrazia dal basso, molto meno centrate sulla musica, le tv libere italiane sono opera di singole figure imprenditoriali quasi sempre lontane dall'editoria e dall'industria ma rigorosamente attinente all'incentivo del profitto. Una lunga fase di Far West durante la quale le televisioni private proliferano su tutto il territorio nazionale.
La riforma della Rai non è una strada solo italiana. In tutta Europa gli anni '70 vedono la rottura del monopolio e l'apertura ai privati del mercato televisivo. Vengono infatti meno le ragioni tecnologiche e politiche che hanno a lungo giustificato l'esclusività della presenza
statale nel settore in una fase di costruzione delle infrastrutture e di formazione del pubblico: motivi costituzionali di pluralismo informativo e culturale premono ormai in direzione di una liberalizzazione regolata. Nella programmazione della Rai si inverte un ciclo dei contenuti informativi a tutto vantaggio di quelli spettacolo, che salgono più del 10% dal 1970 al 1981. Tra il 1977 e 1983 il drastico ridimensionamento dei programmi scolastici qui da una tendenza più generale alla riduzione delle funzioni di servizio pubblico e all'aumento della dimensione di intrattenimento. La televisione pubblica si adegua preventivamente al mood di spoliticizzazione introdotto dalle televisioni private. Nel corso degli anni 90 l'offerta televisiva di Rai e Fininvest si stabilizzerà su questi stessi livelli, con lo spettacolo che copre il 40-50% della programmazione in entrambi le reti. L'apertura pluralistica post-riforma si traduce anche in una parziale masignificativa liberalizzazione del palinsesto. Il telegiornale appare leggermente meno paludato: più dirette e esterne, più approfondimenti, mezzibusti meno ingessati. Nuovi programmi movimentano la scena: domenica Bontà loro(1976), (1976, inaugura la versione italiana della talk show e anticipa Portobello simbolicamente il cosiddetto "riflusso") e (1977). In questo spazio appartato lo spettatore vive l'illusione tutta passiva di una partecipazione empatica e pettegola alla collettività nazionale. Per la prima volta il pubblico degli spettatori comuni entra in scena, con i grammi e le gioie della sua vita privata quotidiana. L'intrattenimento assume la forma di un'interazione con il pubblico. Sono le tappe di avvicinamento alla neotelevisione: quelle in cui il pubblico si riconosce e dice "<<siamo proprio noi>>". La programmazione asseconda il tempo sonnacchioso della famiglia italiana: l'accensione del
mezzoprevale sulla scelta del programma, attenzione cala a livello di compagnia secondaria del relax dagiorno di festa. Nella 1974 Raymond Williams conia il termine <<flusso>> per indicare questainedita capacità della televisione di accompagnare le vite quotidiane, di accomodarsi in mezzo allefamiglie, di sprigionare un rumore di fondo.
Dietro queste scelte invasive, che rompono i vincoli pedagogici e moralistici degli anni 60, affacciauna nuova filosofia aggressiva, protesa alla conquista di quote sempre maggiore di pubblico. Lapresenza del monopolio spinge la Rai ad accrescere la propria presenza sul mercato pubblicitario, inCarosellomodo da restringere gli spazi della concorrenza. A farne le spese è che nel 1977interrompere le trasmissioni a tutto vantaggio di una disseminazione di spot, più brevi e senzavincoli di contenuto e qualità del testo, per tutto l’arco del palinsesto giornaliero. Laprogrammazione si espande in tutte le fasce
orarie rimaste libere allo scopo di innalzare il tempo percentualmente destinabile alla comunicazione commerciale. Per la Rai è una trasformazione epocale. La paleotelevisione del monopolio rispondeva infatti a criteri politici di alfabetizzazione e unificazione culturale del paese. La neotelevisione della libera concorrenza risponde al criterio commerciale di procurare spettatori agli inserzionisti pubblicitari. All'unità familiare si sostituisce la frammentazione dei pubblici secondo generi di programmi e di prodotti reclamizzati. E quindi, secondo le scienze del marketing, si sostituisce un flusso televisivo continuo e il sovraffollamento degli spot. La moltiplicazione dell'offerta televisiva genera a domanda e aumento del consumo. La conseguente urgenza di un intervento legislativo non solo in senso antitrust ma anche a tutela della qualità del servizio televisivo, sia pubblico sia privato, in termini di offerta culturale e informativa. Solo nel 1995 si
licitari in televisione sono aumentati in modo esponenziale, portando ad una saturazione degli spazi pubblicitari e ad una diminuzione della qualità dei contenuti trasmessi. Questo fenomeno ha generato una crescente insoddisfazione da parte dei telespettatori, che si sono sentiti bombardati da pubblicità invadenti e ripetitive. Per contrastare questa situazione, un gruppo di cittadini ha promosso una petizione per chiedere la limitazione degli spazi pubblicitari in tv. Dopo aver raccolto un numero significativo di firme, la petizione è stata accolta e si è deciso di indire un referendum per permettere ai cittadini di esprimere la propria opinione in merito. Il referendum sarà un'occasione importante per discutere e valutare la questione della pubblicità in televisione. Sarà possibile votare a favore o contro la limitazione degli spazi pubblicitari, e il risultato del referendum sarà vincolante per le autorità competenti. La limitazione degli spazi pubblicitari potrebbe portare ad una maggiore qualità dei contenuti televisivi, permettendo ai telespettatori di godere di programmi più interessanti e meno interrotti da pubblicità. Allo stesso tempo, potrebbe avere un impatto negativo sull'economia dei canali televisivi, che dipendono in larga misura dagli introiti pubblicitari. Sarà quindi fondamentale valutare attentamente i pro e i contro di questa proposta, tenendo conto sia delle esigenze dei telespettatori che degli interessi delle emittenti televisive. Il referendum rappresenta un'opportunità per tutti i cittadini di partecipare attivamente al dibattito e di contribuire alla definizione delle politiche in materia di pubblicità televisiva.