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AVREI
- nelle preposizioni articolate la doppia L, che ricorreva solo davanti a parola iniziante
per vocale, tende a generalizzarsi a tutti i casi
- le desinenze di 1 persona plurale del presente indicativo -emo -imo (avemo, perdemo,
sentimo) lasciano il posto a -IAMO (ABBIAMO, SENTIAMO, PERDIAMO)
le desinenze di 3 persona singolare del perfetto indicativo di tipo debole, nei verbi
- delle classi diverse dalla 1 -eo, -io (perdeo, sentio) sono sostituite da -É, -Ì (PERDÉ,
SENTÌ).
- la desinenza etimologica di 2° persona singolare -e < -AS tende a scomparire
assimilandosi alla -i che era propria delle altre voci del paradigma, ossia la 2° persona
singolare del presente indicativo dei verbi delle classi diverse dalla 1° uscenti
originariamente in -ES, -ĭS, -īS e la 2° persona singolare del presente congiuntivo dei
verbi della prima classe uscenti in -ES: ti ami, che tu abbi. che tu facci
- la desinenza di prima persona singolare dell’imperfetto congiuntivo -e < -EM (che io
potesse) è sostituita da -i (che io potessi): -i < -ES
Tratti più rilevanti che si possono considerare distintivi del fiorentino in tutta la sua fase più
antica:
- il dittongamento si presenta regolarmente anche dopo consonante + r: priego, truovo
- conservazione di e tonica in iato nelle voci del congiuntivo presente di dare e stare
(dea, stea…)
- la tendenza al passaggio di e protonica a i, si ha la persistenza di e nelle forme Melano,
melanese, pregione, nepote… si trovano ancora nel corso del XIV
- an < en protonico. danari, sanatore, sanese
- il sistema consonantico comprende la variante tenue dell’affricata alveolare sorda [ts]
che ricorre in parole dotte come GRAZIA, VIZIO provenienti da basi latine con -tj-
- sussiste il grado tenue della sibilante palatale sorda che, reso di solito con la grafia <sci>
rappresenta l’esito di -sj-: bascio < basjum; camiscia < camisjam
- -GL- > GGI: tegghia < teg(u)lam; vegghiare < vig(i)lare, non ancora sostituite da teglia,
vegliare
- -NG- davanti a vocale palatale: GIUGNERE, TIGNERE
- la sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche interessa anche voci che oggi
hanno la sorda, come aguto > acuto; coverta > coperta
- evoluzione del gruppo ia, io in ie che si verifica sia in posizione atona che tonica
quando segue altra sillaba: sieno, fieno, avieno
- avverbi composti da aggettivi in -le + -mente, si ha la sincope se l’aggettivo è piano
(naturalmente); se l’aggettivo è sdrucciolo le forme sincopate ancora coesistono con
quelle non sincopate (similmente e similemente)
- tipo debole dell’articolo determinativo mschile singolare che si affianca al tipo forte lo,
può presentarsi ‘l, dopo alcuni monosillabi (che, è, e, se)
- le forme ‘l e il possono rappresentare anche il pronome atono maschile di 3° persona
singolare (che ‘l vide)
- nelle sequenze delle particelle pronominali atone l’accusativo precede in genere il
dativo (lo mi dai - me lo dai)
- fra i numerali, diece resta in uso fino alla seconda metà del XIV secolo, mentre più
tenace è la resistenza di dicessette, dicennove. Hanno e finale gli avverbi domane,
stamane.
- la 1° persona singolare dell’imperfetto indicativo esce in -a < -AM
- per l’imperfetto indicativo dei verbi della 2° e della 3° sono diffuse le desinenze -ea,
-eano (avea, aveano), affiancate in qualche caso da -ia, -iano che tendono a passare a
-ie, -ieno (avia, aviano)
- per la 1° e 2° persona plurale dell'imperfetto indicativo dei verbi della 2 e 3 classe soo
d’uso normale le desinenze con assimilazione -avamo, -avate: avavamo, avavate
- per la 2° persona singolare del presente congiuntivo dei verbi della 2,3,4 classe, la
desinenza -i (che tu abbi, che tu facci), resta dominante, anche se a essa si affianca la
moderna desinenza -a, analogica alla 1 e 3 persona.
- alla 3° persona plurale del perfetto indicativo ci sono una molteplicità di esiti:
-nei perfetti deboli si hanno desinenze primitive: -aro, -ero, -iro < -arunt,
-erunt, -irunt (amaro, perdero, sentiro) affiancate pero da -arono, -erono, -irono
(amarono, perderono, sentirono)
-per i perfetti forti, accanto all’uscita -ero < -erunt, si hanno diverse forme in
-ono (dissono) e qualcuna in -oro (ebboro).
- Paradigma di essere: la 2° persona singolare del presente indicativo è sè, che come ha
dimostrato Castellani, rappresenta la norma nel fiorentino medievale. Al futuro, in
alternativa a sarà, saranno, si possono avere le forme sintetiche fia, fie, fiano, fieno che
continuano il futuro di Fio (fiet, fient)
CAPITOLO 3: Dante e il volgare: premessa
Dante, il più grande poeta italiano, nasce e si forma nella Firenze della seconda metà del
1200 (ricordiamo infatti che la sua data di nascita si colloca nel maggio del 1265), il periodo in
cui la città è al massimo della sua espansione economica e sociale e il volgare va
impadronendosi di tutto.
L’espansione e lo sviluppo fiorentini, come abbiamo visto nel capitolo precedente, non sono
solamente commerciali e finanziari, ma anche culturali: Firenze, fortunatamente, è una città
con un altissimo livello di alfabetizzazione, non solo in latino, ma anche il volgare -> il volgare
era la lingua, insieme al francese e al provenzale, che i mercanti fiorentini adoperavano di più
e con maggior disinvoltura.
Anche Dante affida gran parte della sua produzione al volgare, con una fiducia in questa
nuova lingua decisamente grande e proprio per questo incompresa da molti.
Al volgare sono affidate, oltre alla Commedia, anche la Vita Nova, il Convivio e le Rime (senza
contare il Fiore e il Detto d’Amore, la cui paternità dantesca è ancora contestata), le opere
creative, insomma, dove Dante ha modo di esercitare la sua virtù poetica ed esprimersi.
Al latino sono affidati il De vulgari Eloquentia, il De Monarchia, le varie Epistole e il minore
Quaestio de aqua et terra. Opere fortemente tecniche, insomma, meno pervase di quella vena
creativa che invece percorre tutte le altre.
L’unica eccezione sono le Egloghe, dove il latino tuttavia risponde a un fine pratico: Dante lo
utilizza per rispondere al proponente Giovanni del Virgilio, che scriveva in latino.
La fiducia di Dante nel volgare viene accompagnata e sostenuta in ogni momento da una
riflessione tecnica, che non sostituisce affatto la libera produzione letteraria, ma piuttosto la
sostiene “dalle basi”. Questo atteggiamento è stato definito da Gianfranco Contini il “perpetuo
sopraggiungere della riflessione tecnica accanto alla poesia, l’associazione di concreto poetare con
l’intelligenza stilistica”.
Questa tendenza alla speculazione e alla teorizzazione del volgare trova la sua
rappresentazione più grande nel capolavoro del De Vulgari Eloquentia, un vero e proprio
trattato sull’eloquenza volgare, la più importante delle sue opere latine.
Lo strettissimo legame che lega la concreta produzione poetica di Dante alla speculazione
teorica rende impossibile (e scorretto e fuorviante) attuare una separazione rigida tra poesia e
teoria linguistico/letteraria.
Anche se, non si può negare che il De Vulgari Eloquentia meriti di necessità una trattazione a se
stante, per il semplice fatto che è un testo veramente unico per impostazione, argomento e
datazione (è un testo molto precoce per i suoi tempi!).
Analizzeremo la produzione dantesca prendendo come punti di riferimento privilegiati
proprio il De Vulgari Eloquentia e la Commedia, senza dimenticarci di dare un’occhiate anche al
resto della produzione dantesca che precede il poema sacro.
Concludiamo facendo una precisazione importante, che dovrà presto diventare un mantra da
tenere a mente in ogni situazione in cui si parla di Dante: ad oggi, di Dante non possediamo
alcun autografo. Si capisce bene che questo rappresenta un particolare di non secondaria
importanza: non possedere nemmeno una copia autografa delle opere dantesche,
specialmente della Commedia, rende ricostruire la veste linguistica dell’autore un compito
estremamente difficile, che finisce per lasciare numerose incognite aperte e per condurre a
situazioni di aporia spesso imbarazzanti. Bisogna stare attenti a fare affermazioni per quanto
riguarda la “lingua di Dante”, perchè quella che leggiamo quanto è veramente lingua dantesca
e quanto, invece, è la lingua dei copisti che nei secoli hanno realizzato le varie copie delle sue
opere? Già con i siciliani avevamo visto che i copisti medievali non fossero famosi per i loro
scrupoli filologici.
In ogni caso, queste sono le nostre edizioni di riferimento:
- Petrocchi, per la Commedia
- Mengaldo, per il De Vulgari Eloquentia
Altri strumenti utili: l’Enciclopedia Dantesca.
CAPITOLO 4: La legittimazione del volgare nella “Vita nuova” e nel “Convivio”
1.”Vita nuova”: troviamo il principio della tradizione che lega la poesia volgare al tema
amoroso, dove si inquadrano anche l’inizio della carriera artistica di Dante e il suo primo
contatto con il volgare.
Il ragionamento si sviluppa in un confronto tra poesia e prosa, a cui si riconosce una dignità e
una funzione autonoma:
- poesia (latina e volgare): è attribuita maggiore libertà espressiva
- prosa: ha il compito di aprire la ragione che è sottesa alla poesia.
2.”Convivio”:è un’opera incompiuta, nata per offrire un commento alle canzoni dottrinarie. La
difesa e l’esaltazione del volgare nel Conviviò è più ambia e incisiva che nella Vita Nuova.
Quasi tutto il primo trattato (V-XIII) è dedicato a difendere il commento per non essere stato
scritto in latino (nella lingua dei dotti).
La legittimazione del volgare è fondata su 3 ragioni:
1. COERENZA INTERNA DELL’OPERA: non sarebbe stato lecito usare nel commento a
queste canzoni una lingua (latino) che, rispetto a quelle liriche, fosse sovrana per
nobiltà, per vertù, per bellezza
2. PUBBLICO: il latino avrebbe esposto le canzoni solo ai litterati, mentre il volgare dalli
litterati e non litterati è inteso e le avrebbe poi esposte a gente d’altra lingua, si come a
Tedeschi e Inghilesi e altri.
3. POTENZIALI DOTI DEL LATINO: proprio perché scritta in prosa mostra la gran boutade
del volgare, meglio della poesia condizionata da accidentali adornezze.
Tutto il cap. XI è costituito da un’invettiva contro i malvagi uomini d'Italia, che commendano lo
volgare altrui e lo loro proprio dispregiano, dove è evidente la volontà di promuovere un
atteggiamento culturale nuovo (si ricordi che il maggiore esperimento di prosa didattica
anteriore al Convivio è il Treso