Gerardo Guerrieri nella scena italiana del secondo novecento
Prologo
Gerardo Guerrieri è una figura chiave della scena teatrale del nostro paese tra gli anni 40 agli anni 80 del secolo scorso, scomparso drammaticamente nel 1986 e da tempo finito nel dimenticatoio, tranne alcune lodevoli eccezioni, ad esempio il volume composto dalla figlia Selene nel 2016. De Marinis ha deciso di occuparsene per tre ragioni principali: 1) perché Guerrieri rappresenta da sempre una figura per lui molto cara, che lo ha accompagnato fin dall'inizio del suo percorso nel teatro, essendo, insieme ad Alessandro d'Amico e Ferruccio Marotti, curatore di "Tutto il mondo è attore", un volume che proponeva una serie di interviste con specialisti di varie discipline sulle tematiche dell'attorialità e delle sue radici e che rappresentò una miniera di stimoli e suggestioni per lui; e perché Guerrieri fu il critico teatrale del "Giorno", quotidiano che de
Marinis acquistavaregolarmente. 2) Per riparare al peccato di omissione di non aver citato, nella sua monografia sulNuovo Teatro, la straordinaria attività del Teatro Club, sviluppata da Guerrieri insieme alla mogliea partire dal 1957 e che ha avuto un ruolo molto importante nella promozione del nuovo del nostropaese. 3) Perché il libro curato da Selene Guerrieri l'ha spinto a riconsiderare questa meravigliosafigura.
Premesse e ipotesiSecondo de Marinis, l'attore, nel bene e nel male, ha a che fare con quasi tutte le scelte decisivedi Guerrieri. L'attore come problema ha avuto un ruolo non secondario nella sua "lungafuoriuscita dalla regia" negli anni 50; l'attore nelle sue più svariate espressioni è stato il veroprotagonista della Teatro Club; ancora l'attore è stato l'elemento a cui ha dedicato le sue migliorienergie anche quando decise di ritirarsi dietro le quinte di un'attività prevalentemente
conoscitiva.Il problema della scena italiana era principalmente quello di dare vita a un attore nello stesso tempo popolare e nuovo e per fare questo c'era bisogno di una scuola; Guerrieri si pone nel ruolo di precocissimo portavoce di questa coscienza, cercando di dar vita ad attori nuovi, in genere non popolari, senza più legami con la tradizione, ma ha sempre incontrato difficoltà a coniugare il popolare con la ricerca.
Primo tempo: la scelta della regia
"L'attuale generazione conosce Guerrieri come sagace studioso e critico pungente e di grande quelli anni 40, fu per noi quasi un personaggio magico... Ci insegnò a come guardare risorse, ma ine come accostarsi al teatro. Gerardo era inquietante e fascinoso con certi schietti abbandoni a toni di vera amicizia" (D. Fabbri)
Questa testimonianza offre diversi spunti: Fabbri ci conferma che Guerrieri a vent'anni era già un maestro per la sua generazione e suggerisce indirettamente che
glisviluppi successivi della sua carriera possono anche essere letti come un volontario recedere da una posizione di preminenza e visibilità assoluta, che forse non aveva cercato e che andando avanti gli diventò faticoso sostenere, al punto da decidere di abbandonare la regia. Un'altra indicazione preziosa è quella relativa al modo di fare regia di Guerrieri insieme agli attori. Guerrieri non aveva scelto la regia per primeggiare o mettersi in mostra. In una lettera non datata e con destinatario "Insomma ignoto, delinea "il ritratto di un dilettante 1940": che potevo fare allora? Il regista, per tutti questi motivi. Mestiere che cerca una comunicazione, che insieme è nascosto, dietro l'attore e dietro il testo, riparato cioè non esposto. Quello di Guerrieri con gli attori fu un rapporto difficile sin dall'inizio, molto diverso da ciò che "Difficile la riflessione di Fabbri potrebbe farci immaginare. MariaGrazia Berlangieri: rapporto con gli attori, studenti dilettanti o maturi attori di tradizione, difficilmente plasmabili a un'idea di direzione nuova che, in particolare Guerrieri, inseguiva con tenacia". Fin dall'esordio, egli cercò "di liberare la recitazione da caricature ed eccessi". Già nel 1941 egli lamenta il fatto che, a causa della fretta, delle incomprensioni e dei volontari rifiuti, gli fosse venuta meno la cooperazione degli "attori, il che è la maggior disgrazia che possa capitare: Il contegno tenuto dagli attori (vecchia generazione) è difficile immaginare a chi non abbia assistito: essi erano meravigliati del modo con cui la cosa veniva impostata e protestavano di non essere abituati a recitare nel modo che "La veniva loro suggerito". Il modo consisteva in questo: nostra predilezione andava ai toni bassi e freddi, a un accento sospeso e rapido, alla necessità di non espandere i movimenti ma di.trattenerli, alle lunghe pause di una recitazione sensibilissima ad ogni variazione e vibrazione. Ogni attore finì così per recitare per conto suo". Come nota la Berlangieri, queste considerazioni denotano la conoscenza del metodo Stanislavskij. Nel 1946, come critico dell'Unità, Guerrieri si lascia andare ad un'osservazione che vuole essere autocritica: "applicare ai grandi testi dell'antichità il linguaggio dei gesti della traduzione psicologico-realistica con l'intenzione di renderle più comprensibili è un errore, e debbo convenire che è stato il nostro errore più comune".
Secondo tempo: il progressivo distacco dalla regia
Gli inediti degli anni 50, raccolti da Geraci nelle Pagine di teatro, si rivelano preziosi per indagare le motivazioni che portarono Guerrieri al distacco dalla regia. Tra queste, sicuramente le delusioni ricevute dagli attori e le sue difficoltà a lavorare con loro.
Scrivendo
per "La Repubblica" un articolo per la morte di Luchino Visconti nel 1977, Guerrieri parla del "regista conte" ma è come se parlasse anche di sé e della sua assoluta incapacità a porsi "Il come un vero regista. suo rapporto con gli attori era un misto di imperiosità e adorazione. Era un rapporto eclettico, un investimento di libido, era quel che in scena si trasformava nella recitazione isterica o parossistica di quegli anni. Poi c'è l'altro lato del rapporto: adorazione idolatrica: l'attore è il feticcio che gli permette di esprimersi, con il quale si identifica. Perché Visconti era prima che regista, attore, in una rappresentazione dove viveva tutti i personaggi. E proprio a tavolino in quel primo contatto fisico con gli attori nasceva in lui lo scatto nevrotico che le portava improvvisare in palcoscenico davanti ai suoi attori, ogni giorno spettatori". Insomma Visconti è stato quello cheluinon avrebbe mai potuto essere o forse non aveva voluto essere.A proposito dell'abbandono della regia, sono le Pagine di teatro degli anni 50 essereparticolarmente rivelatrici. Parlando delle prove di Zio Vania: "una prova così dà il succo delteatro qui. Registi, buoni operai e attori borghesi, pochi e fiacchi. Lavorare con loro non è eccitante. Ilvedere mi dava quel senso di noia e di impotenza che ti dà il lavorare con attori simili... Dovevo subire"Vedogli attori, la loro lentezza, la loro pigra maschera di viltà da rispettare". che il teatro non ha storia.Sono cambiato io, ma non il teatro e loro fanno le stesse cose per me ormai noiose, come in un giocointerminabile.""Io odiavo il teatro perché odiavo il conformismo, odiavo il piegarsi alla media in cui consiste ilcombattimento...teatro e avrei voluto fare del teatro un campo di Il bisogno di piacere mi ha domato,portandomi al conformismo
della regia, dei costumi, delle cose che piacciono, delle scenografie,e ancora "Eccodell'occhio cioè e non del pensiero" perché mi interessava la memoria emotiva, perché le cose visive non mi colpivano, non mi interessavano. Io volevo far vedere a teatro i conflitti interni, come si verificavano davvero, produrli, fare in modo che si verificassero. Per questo ad un certo punto mi interessò più guardare la vita, cogliere le caratteristiche dei drammi veri tra la gente, Visconti..." anziché gonfiare artisticamente come 12 anni dopo, in una lettera a Paolo Grassi, torna sulle ragioni del suo ritiro dalla regia: "ho pochi rapporti con gli attori, con i quali non sono mai riuscito a parlare in modo decisivo, a guidarli. Ci sono altri elementi per spiegare la mia reticenza e ritiro. Primo fra tutti il bisogno di contenuti nuovi, di argomenti nuovi, di un dialogo nuovo", che però poteva venire soltanto "tra
me e un altro che si stia occupando di altre zone, sti esplorando, stia portando avanti un discorso "non teatrale": cioè il bisogno di fare un discorso "non teatrale", al di fuori del teatro convenzionale... Di fare delle ricerche e di approfondire, scoprire, sotto i pregiudizi e luoghi comuni".
Terzo tempo: Guerrieri studioso dell'attore
Il debutto di Guerrieri come studioso fu precoce e consistette inizialmente nella preparazione dei due voci estremamente impegnative per l'Enciclopedia dello spettacolo: Stati Uniti d'America e Attore. Poi saranno soprattutto Stanislavskij e la Duse ad assorbirlo, altre figure in cui rispecchiarsi, identificarsi.
Secondo Meldolesi, per quanto riguarda della Duse si può parlare di un "percorso" che "guidò Guerrieri fino a riconoscersi nell'arte della Duse; lei, la divina portatrice di angoscia, e lui, il solitario geniale, similmente in cerca del proprio stare al mondo contro le
Attese dell'opinione pubblica, dediti alla più alta sincerità con se stessi". Secondo de Marinis non è invece è stato notato a sufficienza quanto Guerrieri se si è "rispecchiato nel grande russo. Così lo descrive nell'introduzione a La mia vita nell'arte: Uomo continuamente in crisi, genio testardo, ingenuo, a volte infantile, pronto a tutte le novità, umilissimo nel confessare di non essere affatto un genio, ricercatore e sperimentatore modello". Nel 1961, Guerrieri è il primo ad ospitare in Italia il Living Theatre, al Teatro Club. Con Julian Becke Judith Malina nasce un sodalizio forte, che comincia a ripagarlo delle tante delusioni patite con gli attori. E non sarà un caso se proprio a contatto con il Living e i suoi straordinari attori non-attori, che Guerrieri sperimenta un nuovo strumento di indagine critica, quello dell'intervista, di cui diventerà nel tempo un autentico maestro.
Intervista che unisce curiosità umana, prospettiva critica e indagine antropologica. È ammirevole il modo in cuiScarica il documento per vederlo tutto.
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