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Titolo V nel 2001 sotto la pressione dell'assedio secessionista della Lega
Col nuovo art.114, la Repubblica è stata detta non più "ripartita", ma "costituita" da una somma di enti, trai quali lo Stato non sembra avere maggior peso non solo delle Regioni, ma nemmeno delle Città. L'art. 117 mantiene allo Stato la legislazione esclusiva in fatto di "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", lo stesso articolo assegna alla legislazione delle Regioni la "valorizzazione di beni culturali, ambientali e promozione di attività culturali". Anche quando si è provato a ribaltare l'impianto "federalista" del Titolo V del 2001 lo si è fatto non con l'intenzione di aumentare, ma semmai di diminuire il livello di tutela. Se la riforma costituzionale Renzi-Boschi, respinta dal referendum popolare del 2016, fosse stata approvata, il nuovo art.
117 avrebbe sì ricostruito l'unità naturale assegnando allo Stato la legislazione esclusiva su "tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici", ma d'altra parte avrebbe, contraddittoriamente, assegnato alle Regioni la potestà legislativa "in materia di disciplina delle attività culturali e promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici". Qui l'accentramento delle competenze sul territorio in capo allo Stato centrale non era motivato dal desiderio di una maggiore tutela, ma anzi da quello di eliminare gli ostacoli al suo consumo creati da un'opinione pubblica sempre più agguerrita. L'art. 117 avrebbe riservato allo Stato la legislazione in fatto di "produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, di infrastrutture strategiche, grandi reti di trasporto e di navigazione d'interesse nazionale". Queste norme erano state chiarite dal decreto Sblocca.Italia del governo Renzi, che la Corte ave-va giudicato incostituzionale proprio dove aveva estromesso la voce delle Regioni da mate-rie sensibili per la salute dei cittadini come le trivellazioni petrolifere: uno degli obiettividella riforma costituzionale era proprio quello di impedire, in futuro, referendum come quel-lo sulle trivelle del 2016. Non era dunque un caso che la campagna fosse stata aperta riesu-mando la più insostenibile delle Grandi opere: il ponte sullo Stretto di Messina.
Non è sbagliato dire che la discussione sul significato della “Repubblica” dell’art. 9 è statapiù orientata dal potere del cemento che non dall’amore per una democrazia più articolata ecompiuta. Nel senso di vigilanza e impegno civile, la tutela spetta a ogni articolazione dellaRepubblica: e cioè a ogni cittadino, alle istituzioni (come scuole), alle amministrazioni pub-bliche e alla stampa, quindi all’opinione pubblica.
È anche attraverso questa rete di cittadiniche si può sperare di salvare la forma – naturale, artistica, culturale – dell’Italia. È attraverso questa spontanea magistratura del territorio che la Repubblica, nonostante tutto, tutela.
La tutela Codignola affermò «Lo Stato non protegge, tutela». L’Assemblea fece suo questo punto di vista, perché se il concetto di “vigilanza” appare passivo e quello di “protezione” ha in sé qualcosa di inevitabilmente episodico, la “tutela” non è emergenziale, ma sistematica e preventiva, e ha l’obiettivo di rendere sicuro il patrimonio e di consegnarlo inalterato alle generazioni future. «La Repubblica tutela» ricorre altre quattro volte, in contesti diversi: tutela le minoranze linguistiche, la salute e il lavoro che sono – come paesaggio e patrimonio – realtà esposte e deboli, bisognose di un impegno.
del potere pubblico. In tutti questi casi la scelta della parola "tutela" significa che la Repubblica interviene perché sa bene che, lasciate ai rapporti di forza economico-sociali, queste cose tra loro diverse, ma accomunate dall'essere vitali per la coesione della comunità nazionale, sarebbero destinate a soccombere.
Il concetto di tutela del patrimonio culturale di genera all'interno della storia della letteratura artistica, cioè di quella scia di testi prodotti intorno all'arte figurativa lungo la storia. Un esempio è la lettera che Raffaello e Baldassare Castiglione indirizzarono a papa Leone X nel 1519: essa accompagnava i primi risultati della grande campagna di rilievo e disegno delle antichità romane che il pontefice aveva affidato all'artista ed è forse il primo testo dedicato alla conservazione di qualcosa che aveva perso la sua funzione storica e pratica e che ne aveva quindi assunto un'altra.
Puramente culturale. Era la nascita dell'idea stessa di patri-monio culturale. Raffaello mette in rapporto diretto il potere pubblico e la sorte del patrimo-nio: "<perché ci doleremo noi de' Goti, Vandali e d'altri nemici, se quelli li quali come padrie tutori dovevano difendere queste povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno atteso adistruggerle? Quanti Pontefici hanno atteso a rovinare templi antichi, statue e altri edificigloriosi! […] Deve dunque, Padre Santissimo, avere cura che quel poco che resta di questaantica madre della gloria e della grandezza italiana, per testimonio del valore e della virtù diquegli animi divini che con la loro memoria hanno eccitato alla virtù gli spiriti che oggisono tra noi>". Raffaello descrive le rovine di Roma con una metafora politica: esse sono "ilcadavere della patria". E questa rovina di un bene pubblico, un bene politico (cioè della po-lis, della comunità).
papa e alla sua responsabilità verso il patrimonio culturale.papa Leone X, affermando il proprio impegno ad assumere come propri non solo le leggi sulla tutela che la precedono (le cosiddette leggi Bottai), ma anche gli apparati pubblici garantiscono la tutela. Più tardi, quando si cominciò ad abbandonare il progetto della Costituzione perché sempre più incompatibile con il totalitarismo del mercato, l’argomento della lunga storia della tutela cambiò di segno, e venne letto non più come una forza, ma come un limite. Si è cominciato a parlare di una presunta “staticità” della tutela, e per correggerla si è dato vita alla categoria della “valorizzazione” del patrimonio. Quando, anni più tardi, Giovanni Spadolini ottenne di far nascere il ministero dei Beni culturali e ambientali, il decreto istitutivo lo volle preposto «alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale del Paese». Il termine alludeva al-lora agli interventi utili ad
accrescere il pubblico godimento del bene culturale; infatti, le risorse non si avranno mai semplicemente sulla base del valore etico-estetico della conservazione, solo nella misura in cui il bene culturale viene concepito come convenienza economica diventa possibile concepire una operazione in cui le risorse possono essere destinate alla sua conservazione. Un simile approccio ha legittimato una tendenza già presente nell'ordinamento, quella della scissione tra tutela e gestione del patrimonio culturale. Tempo dopo, l'art. 6 nella stesura del Codice dei Beni culturali ha chiuso fermamente le porte a un'interpretazione economicistica della valorizzazione: "La valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio [...] al fine di promuovere lo sviluppo".della cultura». Una dizione che riportala valorizzazione sotto l’ombrello di una tutela intesa come la intendeva Raffaello.
Il paesaggio oNel comma 2 dell’art. 9 l’espressione «il paesaggio e il patrimonio storico e artistico dellaNazione» non indica due cose diverse, ma una cosa unica, cioè la “forma dell’intero Paese”,la forma dell’Italia così come è stata plasmata da natura e storia. «L’Italia è stata la prima aconsiderare tutela del paesaggio e tutela del patrimonio culturale un tutto unico; è stato ilprimo Paese al mondo a porre questa duplice tutela fra i Principi fondamentali della propriaCostituzione. La diffusione capillare del patrimonio sul nostro territorio e la cultura italianadella tutela non sono due storie parallele intrecciatesi per caso, ma sono due aspetti dellastessa storia: se il nostro patrimonio è tanto abbondante e diffuso, è perché
abbiamo fino a ieri saputo conservarlo. Le regole e le consuetudini della tutela non sarebbero mai nate senza un forte senso civico innescato dalla presenza tanto intensa del patrimonio; né tale presenza sarebbe stata tanto densa se non fosse stata garantita da regole efficaci". L'approdo costituzionale rappresentava il culmine di un lento processo legislativo: nel 1909 la legge Rosadi sulle cose d'arte avrebbe dovuto occuparsi anche di paesaggio, cosa che infine avvenne nel 1922 con la legge Croce promulgata da Benedetto Croce. È questa tradizione crociana legislativa che ha in mente Marchesi quando, ispirandosi per la formulazione alla Costituzione di Weimar, propone il primo embrione dell'art. 9, in cui si parlava di "monumenti artistici, storici e naturali". Infatti, le radici in una cultura della difesa del paesaggio affiorano nella relazione che Croce premette alla legge che porterà il suo nome: "Occorre dunque unalegge che ponga, finalmente, un argine alle ingiustificate devastazioni che si vanno con-sumando contro le caratteristiche più note del nostro suolo. Un altissimo interesse morale e artistico legittima l'intervento dello Stato, poiché il paesaggio è