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Capitolo 5: Repubblica Italiana e Balcani
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, ci fu l'epilogo di ogni ambizione politica italiana nel Sud est dell'Europa. L'Italia era un paese sconfitto, mentre la regione balcanica fu soggetta della nuova egemonia sovietica ad eccezione della Grecia che rimase coinvolta in una guerra civile interna. Mosca innestò un profondo cambiamento delle istituzioni e la rigida imposizione della sovietizzazione e stalinizzazione della zona.
La Jugoslavia fu il paese dove il modello sovietico venne imposto con più determinazione, rapidità e violenza. Con l'ascesa del partito comunista jugoslavo, sotto la guida di Tito (Josip Broz), il nuovo stato jugoslavo aveva l'obbiettivo di regolare i conti con la sconfitta Italia, allargando i confini occidentali della Jugoslavia socialista. Nelle regioni orientali italiane la guerra fu inizialmente accolta con favore, poiché era l'occasione di regolare i conti.
con il vicino slavo e, non a caso, la politica di occupazione militare italiana fu caratterizzata da una crudezza nei confronti degli slavi. Non è un caso dunque se, sconfitta l'Italia, le conseguenze non si fecero attendere. Centinaia di vittime si registrarono nell'autunno istriano del '43, conseguenza di una sommaria giustizia popolare dalle forze titine nei confronti di fascisti e coloro che per etnia o ceto sociale potessero rappresentare un ostacolo all'annessione alla regione della Jugoslavia. Addirittura nel 1945 le forze jugoslave erano già a Trieste, occupando nel giro di poco tempo Gorizia e Fiume. Furono i giorni del terrore titino, dove si contarono giorni di terrore con numerosi soprusi. Spinti dalla volontà degli alleati, le truppe jugoslave iniziarono il ritiro oltre la linea Morgan. Nel frattempo nel '48, la Jugoslavia di Tito venne espulsa dal Cominform e parve che lo stesso potere di Tito fosse in bilico. LoScisma jugoslavo e la fine dell'appoggio sovietico non valse a salvare l'Italia dalla perdita dei territori come l'intera Istria, Zara e Fiume e diverse zone nella Dalmazia, dove il nuovo ordine jugoslavo passò ad un esclusione nazionale e di classe. La conseguenza di questa esclusione fu un'onda di esuli provenienti dalle comunità italiane istriane. Il grosso dell'esodo delle genti giuliane e istriane si concluse nel 1956. Questo esodo segnò la scomparsa di un gruppo nazionale che aveva segnato l'evoluzione storica e sociale di quei territori.
La fine della guerra rappresentò una significativa sosta dei rapporti tra mondo balcanico e italiano. Sembrò quasi un successo il fatto che l'Italia riuscì a mantenere le proprie ambasciate nella regione, nonostante l'URSS ne chiese lo smantellamento. Per l'Europa balcanica furono anni di ferro e gli scambi non solo politici ma anche economici e culturali.
tra Italia e Balcani furono ridotti al lumicino. Trieste, tornata in madrepatria nel '54, rappresentò uno dei confini tra il mondo occidentale e quello comunista. Anche l'Albania tornò ad essere una terra sconosciuta per l'Italia. Per gran parte del ventennio seguente, i rapporti tra Italia e il mondo comunista orientale si limitarono a relazioni politico-diplomatiche, anche dato dal fatto che l'Italia, che si preparava al boom economico, fosse poco interessata agli avvenimenti oltre Adriatico. Nella politica italiana, il PCI era uno dei più grandi detrattori del comunismo jugoslavo e balcanico in generale, e con gli avvenimenti ungheresi e di Praga, si cercò una autonomia politica indipendente da Mosca, la cui attrazione sembrava essere sostituita da quella per la Cina di Mao. In Albania era presente il comunismo di Hoxha, ben visto da diversi gruppi comunisti italiani. Nonostante tutto però, i Balcani erano usciti dagli orizzonti italiani solo.in parte. Ancora si ricordavano le esperienze belliche in Jugoslavia e sul fronte albanese tramite le memorie di chi le aveva vissute. Nella maggioranza dei ricordi affioravano come terre pericolose con gente infida. Tuttavia vennero pubblicate anche memorie che mettevano sotto una luce più autentica quell'esperienza. Basti ricordare il libro, La guerra più lunga, del medico catanese Benanti che dopo l'8 settembre divenne non solo testimone della resistenza albanese, ma anche della rivoluzione comunista di Hoxha e del suo duro regime. Tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta le relazioni politico-diplomatiche tra l'Italia e il mondo comunista andarono normalizzandosi soprattutto in ambito commerciale e accademico. Nei nuovi equilibri di questa fase della guerra fredda l'Italia riuscì a trovare nei Balcani un ruolo di una certa importanza sia nei confronti degli alleati della Nato che dei partner dellaComunità europea. Il quadro più interessante fu rappresentato dai rapporti con la Jugoslavia. Quest'ultima tentava con l'operato di Tito di creare una terza via per quei paesi non allineati. Questo tentativo aiutò a smussare i rapporti con Roma. Del resto chiudere la questione del confine orientale era una necessità sentita da entrambi i paesi. Dopo la normalizzazione tra i due paesi, l'Italia divenne il vettore per aprire la Jugoslavia all'influenza dei costumi occidentali. A partire dalla metà degli anni sessanta fino agli anni ottanta ci fu un grande flusso di turisti jugoslavi che affollavano Trieste alla ricerca di beni introvabili in patria. Un fenomeno che facilitò l'aumento di rapporti reciproci. Nel corso dei primi anni settanta i negoziati ebbero una accelerazione: nel 75 i ministri degli esteri d'Italia e Jugoslavia, Rumor e Minic, firmarono ad Osimo il trattato che regolarizzava la questione dei confini.
tra i due stati.Il rapporto dell'Italia con il resto dei Balcani non fu uguale a quello con la Jugoslavia. I rapporti con la Greciadittatoriale furono freddi, l'Italia divenne l'approdo di molti esuli politici greci. Ma dopo la caduta del regimemilitare i rapporti tornarono a rinsaldarsi. Un legame particolare univa l'Italia all'Albania, dato che Roma ful'unica capitale occidentale a intrattenere relazioni diplomatiche con il regime di Hoxha. Nell'Italia l'AlbanialOMoARcPSD|7830802ricercava un partner commerciale più che necessario. E, come in Jugoslavia, anche in Albania i rapporti italoalbanesi furono caratterizzati dall'enorme importanza acquisita dalla ricezione in moltissime localitàalbanesi dei programmi televisivi della Rai.Gli anni sessanta e settanta furono testimoni di una rinnovata vivacità nei contatti tra Italia e Romania.Assistemmo all'instaurazione di rapporti bilaterali cordiali che siAllargarono agli scambi culturali e turistici. Ceausescu, dittatore rumeno, sembrava incarnare il modello del politico capace di costruire ponti e dialoghi tra Est e Ovest. Il nostro paese fu inondato come altri di libri e scritti del Conducator che rappresentavano la propaganda di Causescu sul culto della personalità che aveva cominciato a caratterizzare la vita interna romena. Tuttavia negli anni ottanta con l'accentuazione del carattere tirannico del regime comunista, quegli spazi di apertura tra Italia e Romania tornarono a chiudersi. Di tutt'altro tenore furono i rapporti tra Italia e Bulgaria, alleato più fedele dell'URSS. Oltre al tentato assassinio di Berlinguer nel 1973 a Sofia, la Bulgaria in Italia era un paese sconosciuto e venne alla ribalta solo per la pista bulgara riguardante il tentato omicidio a papa Giovanni Paolo II. I tempi, con la seconda metà degli anni ottanta, stavano cominciando a mutare. Iniziò la crisi dei.
Regimi comunisti nella regione balcanica. La Grecia nel frattempo aderì alla Cee, dando vita anche ad intensi rapporti politici ed economici con l'Italia. La transizione bulgara alla democrazia e all'economia di mercato venne appoggiata dalle istituzioni del nostro paese, mentre la rivoluzione romena venne seguita con attenzione e degli aiuti umanitari vennero offerti dall'Italia per migliorare le condizioni arretrate del paese danubiano. Ebbe inizio anche un imponente flusso migratorio dalla Romania verso l'Italia. Nel '91 con il collasso del regime comunista albanese, si ebbe un flusso migratorio di grandissime proporzioni dall'Albania all'Italia. Lo stesso anno l'Italia diede il via all'operazione Pellicano che permise all'esercito italiano di rimettere piede in Albania e portare soccorsi umanitari, consentendo la stabilizzazione del paese. La fine del regime comunista in Jugoslavia portò al riemergere di conflitti etnici e nazionali.
La diplomazia di Roma cercò di far sì che l'Italia non fosse spettatrice di questi eventi. Con l'"iniziativa adriatica" l'intenzione era di anticipare le conseguenze della crisi jugoslava ed evitare un conflitto armato e porre le condizioni per la nascita di un nuovo stato. Quello italiano però più che un piano politico sembrava una dichiarazione di buon auspicio. Alla proclamazione di indipendenza di Slovenia e Croazia seguì tanta violenza in diverse regioni che accompagnò l'emancipazione politica delle due repubbliche e velocizzando il processo di dissolvimento. Il dado era tratto e l'Italia scelse di riconoscere le nuove due repubbliche. Nel giro di pochi mesi la politica dello status quo e filoserba era stata abbandonata a favore dell'indipendenza croata e slovena e nella convinzione che l'Italia ne avrebbe ricavato vantaggi economici e politici. Incapace di dettare una propria linea politica,l'intervento umanitario in Albania. L'obiettivo era ripristinare l'ordine e fornire assistenza umanitaria alla popolazione colpita dalla crisi. Durante la missione Alba, l'Italia inviò truppe militari per stabilizzare la situazione e contribuire alla ricostruzione del paese. L'intervento italiano fu accolto positivamente dalla comunità internazionale e contribuì a ristabilire la stabilità in Albania. Nonostante i successi della missione Alba, l'Italia continuò ad affrontare sfide nella regione balcanica. Nel 1999, la crisi del Kosovo portò a un nuovo intervento militare della NATO, al quale l'Italia partecipò attivamente. L'Italia ha svolto un ruolo significativo nella stabilizzazione dei Balcani occidentali, contribuendo alla promozione della pace e della sicurezza nella regione. La partecipazione italiana a missioni internazionali come Alba e l'intervento nel Kosovo dimostrano l'impegno del paese nel mantenere la stabilità e promuovere la pace nei Balcani.stabilizzare il paese. La missione fu un successo.
La seconda metà degli anni novanta coincise con una ripresa dell’interesse italiano nei confronti dei Balcani.
Se Croazia e Slovenia erano coinvolte in un sistema politico che aveva nella Germania il punto di riferimento,la Serbia parve agli occhi