Le tematiche macro si riferiscono a lunghi intervalli di tempo, a vaste estensioni
di spazio e a grandi masse di persone.
Le teorie microsociologiche sono interessate all’analisi delle azioni individuali
colte nello specifico sociale, ossia in quanto relazionate rispetto ai singoli individui e
alla loro intenzionalità con riferimento ad un determinato contesto di relazioni sociali.
La microsociologia si occupa di piccoli segmenti di spazio e di tempo e di
piccole quantità di persone; i temi sono diversi e vanno dall’analisi della realtà
ricostruita sulla base dei significati attribuiti dei singoli attori sociali (teorie
fenomenologiche), all’analisi delle situazioni micro-conflittuali (teorie del
micro-conflitto o interazionismo simbolico) connesse ai rapporti di dominio tra
attori. La fenomenologia e l’interazione simbolica esaminano le azioni
interindividuali nei minimi dettagli.
L’etnometodologia rientra nell’ambito di questa prospettiva di analisi, ha come oggetto
le azioni sociali individuali; il compito dell’etnometodologo è di investigare sulle
linee di azioni seguite e sulle loro giustificazioni.
Nell’ambito della microsociologia troviamo le teorie della scelta razionale (scelte
in base alle utilità individuali) e dello scambio sociale (scelte in base all’utilità del
vantaggio del sociale).
Le teorie mesosociologiche le troviamo in un ambito di convergenza tra teoria
macro e micro in cui troviamo interessi per lo studio di temi e problemi che sono
fondamentali in partenza per la teoria sociologica come lo studio delle reti e delle
organizzazioni.
L’analisi delle reti consiste nell’individuare quei legami esistenti tra individui e
“qualsiasi altra unità sociale, come le organizzazioni”; questo consente di descrivere la
rete di relazioni sociali entro cui ogni individuo è inserito. L’analisi delle
organizzazioni ci dice che la società è fatta di organizzazioni, nella vita quotidiana
ognuno di noi entra ed esce da contesti organizzativi; le organizzazioni
rappresentano il luogo in cui si incontrano le dimensioni micro (agire individuale di
interazioni di gruppo) e le dimensioni macro (aspetti strutturali di cui si
compongono le organizzazioni).
Teoria del microconflitto (interazionismo simbolico)
Le teorie sociologiche possono essere classificate in funzione di tre livelli di
complessità:
1. in base all’oggetto e ai problemi di studio: si individuano varie sotto discipline
classificate sulla base del contenuto (sociologia della famiglia, ambientale ecc.).
2. in base al metodo di indagine: si hanno approcci di studio basati sull’impiego
del ”metodo matematico, statistico, comparativo, sperimentale”. 3. in base ai
paradigmi: si individuano prospettive/paradigmi teorici alternativi.
L’insieme di queste distinzioni danno un ulteriore distinzione tra teorie
macrosociologiche, teorie microsociologiche e a queste va aggiunta una terza
classificazione rappresentata dalle teorie mesosociologiche.
Le teorie microsociologiche sono interessate all’analisi delle azioni individuali
colte nello specifico sociale, ossia in quanto relazionate rispetto ai singoli individui e
alla loro intenzionalità con riferimento ad un determinato contesto di relazioni sociali.
La microsociologia si occupa di piccoli segmenti di spazio e di tempo e di
piccole quantità di persone; i temi sono diversi e vanno dall’analisi della realtà
ricostruita sulla base dei significati attribuiti dei singoli attori sociali (teorie
fenomenologiche), all’analisi delle situazioni micro-conflittuali (teorie del
micro-conflitto o interazionismo simbolico) connesse ai rapporti di dominio tra
attori.
La fenomenologia e l’interazione simbolica esaminano le azioni interindividuali nei
minimi dettagli.
L’etnometodologia rientra nell’ambito di questa prospettiva di analisi e ha come
oggetto le azioni sociali individuali; il compito dell’etnometodologo è di investigare
sulle linee di azioni seguite e sulle loro giustificazioni. Nell’ambito della
microsociologia troviamo le teorie della scelta razionale (scelte in base alle utilità
individuali) e dello scambio sociale (scelte in base all’utilità del vantaggio del
sociale).
Il termine interazione simbolica si deve a Blumer: esso sostiene che l’interazione
umana è basata sull’uso di simboli significanti; la particolarità sta nel fatto che gli
esseri umani interpretano e definiscono le azioni l’uno dall’altro.
La loro risposta non si riferisce direttamente alle azioni reciproche, ma invece è
basato sul significato che essi attribuiscono a tali azioni. Nell’interazionismo
simbolico ciò che risulta privilegiato sono sia le componenti soggettive della vita
sociale nell’interazione faccia a faccia, sia come questa interazione risulta modificata
attraverso il continuo slittamento dell’interpretazione durante l’interazione stessa.
Inoltre, nell’interazionismo simbolico l’analisi è centrata sui componenti di
interazione.
Teoria del conflitto (Marx)
La teoria del conflitto si sviluppa inizialmente nell’ambito della tradizione Marxista:
da un lato vi fu un tentativo degli studiosi non marxisti di sviluppare una teoria non
marxista; dall’altro le revisioni all’interno del marxismo portarono all’abbandono di
certi temi fondamentali sul primato dell’economia.
Nella posizione originaria della teoria, il conflitto nasce dal fatto che gli individui
nella società industriale sono divisi in classi con valore diversi e contrapposti; il
conflitto è una condizione continua legata al rapporto tra classi e dove il
mutamento sociale è la conseguenza.
Oggi si hanno visioni diverse: Dahrendorf teorizza che la fonte principale del
conflitto sia l’autorità, la lotta tra chi ha il potere e chi no.
Gli elementi essenziali sono:
1. la dominazione, il conflitto e la coercizione (obbligare), che sono gli elementi
fondamentali di una società;
2. la struttura sociale si basa sul dominio di alcuni gruppi su altri
(insegnanti su studenti);
3. ciascun gruppo ha interessi comuni opposti a quelli degli altri gruppi
(imprenditori vogliono più profitti, ambientalisti, no inquinamento);
4. quando gli individui diventano consapevoli dei propri interessi, l’intensità del
conflitto dipende da vari fattori:
- accentramento del potere da parte di qualcuno e totale esclusione degli altri;
- possibilità di acquisire potere da parte di coloro che ne sono esclusi; - possibilità
di formare gruppi politici.
È interessante la prospettiva di Simmel e Cojer in quanto, per loro, il conflitto
deve essere visto anche come costrizione di legami sociali: - crea tra i
contendenti un’interazione in cui ognuno non può restare indifferente all’azione
dell’altro;
- consolida i legami di solidarietà all’interno dei gruppi in conflitto e rafforza l’identità;
- può produrre un interesse a non annientare l’avversario la cui presenza
contribuisce ad evitare il nascere di conflitti interni;
- tende a produrre regole di gioco che ne indicano la potenziale distruttività;
- induce alla ricerca di alleanze.
I metodi della ricerca sociale
La ricerca sociale può essere sia di tipo quantitativo che qualitativo. Nel primo
caso i fenomeni sono descritti sulla base della correlazione tra variabili e della
costruzione dei modelli interpretativi in grado di spiegare e prevedere
comportamenti e cambiamenti sociali.
Nel secondo caso lo studio è centrato sulla descrizione delle interazioni e delle
relazioni sociali; la conoscenza è legata alla descrizione e all’interpretazione
delle motivazioni che implicano l’azione. Nella ricerca quantitativa si arriva alla
costruzione dei modelli in cui i
fenomeni studiati sono spiegati in termini di variabili.
Nella ricerca qualitativa il processo d’indagine si sviluppa in classificazioni e
tipologie in una limpida applicazione del paradigma interpretativa. Rientrano nell’ambito
della ricerca sociale con metodi quantitativi la maggior parte delle indagini basate
su tecniche statistiche.
Per i metodi qualitativi non esiste una realtà sociale assoluta, i fenomeni e i fatti
sociali si creano a partire dalle interpretazioni che ne danno gli individui; tali
interpretazioni sono l’oggetto specifico della ricerca. I sociologici che adottano
questi metodi ritengono che la soggettività umana non possa essere ridotta ad
un’espressione standardizzata di dimensioni quantitative. La ricerca qualitativa si
distingue da quella quantitativa per il diverso grado di sviluppo del processo di
indagine.
Nella ricerca qualitativa le ipotesi iniziali non sono definite, il rapporto con la teoria è
meno stretto, il disegno della ricerca si mantiene più flessibile rispetto a quella della
ricerca quantitativa, la raccolta dei dati non è standardizzata e i metodi di rilevazione
dei dati sono basati su interviste libere, storie di vita, autobiografie, ecc.
Secondo i suoi sostenitori, la ricerca qualitativa sarebbe espressione di una
sociologia ”individualistico - interpretativa” che studia dal basso l’interazione
sociale, osservando direttamente e in modo informale la situazione sociale in cui
avviene l’interazione.
La ricerca quantitativa, al contrario, sarebbe espressione di una sociologia
positiva o scientifica e di impostazione oggettivistica che costruisce i dati ricorrendo
a procedure formali e impersonali che non consentono di cogliere la dimensione
individuale e soggettiva dell’interazione sociale.
La scelta dei metodi di ricerca è effettuata in funzione:
- all’oggetto della ricerca;
- alla situazione empirica entro cui l’oggetto è collocato;
- agli obiettivi conoscitivi, descrittivi o esplicativi cui tende la ricerca;
- al grado di generalizzabilità attesa dei risultati della ricerca; - alle ipotesi che la
ricerca intende verificare.
I metodi quantitativi e qualitativi sono utilizzabili a volte in modo esclusivo e altre
in modo complementare.
Confini tra economia e sociologia
Quando l’economia si era affermata come disciplina, in particolare con la “grande
sintesi” di Adam Smith, lo studio dei fenomeni economici non era isolato dal
contesto sociale.
Negli sviluppi successivi, però, l’economia si liberò progressivamente dai riferimenti
ad aspetti culturali e istituzionali, concentrandosi più sullo studio delle “leggi” del
mercato, isolato analiticamente dal contesto sociale. Questo percorso raggiunse il suo
culmine con la “rivoluzione marginalista” degli anni 1870.
Prende così forma un
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