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QUESTIONI E TRADIZIONI DI RICERCA
A partire da questa consapevolezza si fa strada una tradizione di ricerca differente
all’interno della ricerca sociale, che è definita come interpretativismo (dal libro) o
ermeneutico. Per evidenziare le maggior differenze tra l’approccio positivista o
empirista e quello interpretativista o ermeneutico bisogna far riferimento ad una serie
di questioni che differenziano anche le diverse tradizioni:
- Questione ontologica: riguarda il che cosa, la natura della realtà e la sua forma.
Il mondo è oggettivo e indipendente dall’interpretazione dell’osservatore? I
fenomeni sociali sono “cose in sé stesse” o “rappresentazioni di cose”? [il
positivismo crede nell’esistenza di una realtà oggettiva che è indipendente
dall’interpretazione del ricercatore: esiste e il ricercatore deve svelarla.
L’interpretativismo invece sostiene che la realtà non esiste in quanto tale ma è
sempre una rappresentazione del soggetto che guarda la realtà, quindi non
esiste una realtà esterna all’individuo];
- Questione epistemologica: riguarda il rapporto tra il “chi” e il “che cosa”, tra lo
studioso e la realtà indagata e la forma della conoscenza. [Anche in questo caso
abbiamo due tradizioni differenti. La tradizione empirista o positivista crede
nella possibilità della neutralità del ricercatore rispetto all’osservato, cioè essi
sono due realtà distinte tra di loro. L’osservatore può studiare i soggetti in modo
distaccato e neutrale. Invece per la tradizione interpretativista, essendo il
ricercatore parte del mondo sociale e quindi della persona che osserva non può
studiarlo con neutralità, ne sarà sempre influenzato. Diventa importante anche
la relazione che si crea con la persona che viene osservata];
- Questione metodologica: discende dalle prime due, cioè dal modo in cui
concepiamo la realtà e dal modo in cui concepiamo il rapporto tra ricercatore e
soggetto osservato discende il percorso di ricerca che decidiamo di
intraprendere, riguarda cioè il “come”.
Lezione 2 di metodologia del 10/11
Esistono quindi differenti tradizioni di ricerca. Andiamo ora ad approfondire le diverse
tradizioni di ricerca collegandole alle tre questioni sopra indicate.
POSITIVISMO
Nel positivismo, la questione ontologica (che poi è la questione della realtà) viene
affrontata con un realismo definito ingenuo (si parte dal presupposto che lo scienziato
deve scoprire la realtà, che è esterna agli individui). Da un punto di vista
epistemologico, lo scienziato è capace di estraniarsi completamente dal suo oggetto di
studio, c’è quindi neutralità da parte del ricercatore, che rende il suo percorso di
ricerca avalutativo. L’obiettivo nell’approccio positivista è la spiegazione, cioè scoprire
le relazioni di causa-effetto a dei fenomeni. Dal punto di vista metodologico,
l’attenzione è ad una tradizione di ricerca quantitativa, che si fonda sul metodo
sperimentale. i fatti sociali, come quelli naturali, sono cose e possono essere studiati
con lo stesso metodo. Come abbiamo visto precedentemente, però, il metodo
sperimentale ha molti limiti nella ricerca sociale.
INTERPRETATIVISMO
[Da questa consapevolezza, si sviluppa l’interpretativismo. Esso nasce dallo storicismo
tedesco (a questa tradizione appartiene lo stesso weber). In particolare nasce dalla
rivendicazione dello storicismo tedesco della distinzione fra scienze della natura e
scienze umane e sociale, una distinzione di oggetto: nelle scienze naturali l’oggetto è
inanimato, nelle scienze umane e sociali l’oggetto è un soggetto. Da questa
distinzione di oggetto deriva anche una distinzione dal punto di vista della
metodologia: non possiamo applicare il metodo che applichiamo a oggetti inanimati a
soggetti, poiché le persone vanno comprese più che spiegate, sono differenti tra loro e
non sostituibili. A proposito delle persone si parla di non fungibilità. La fungibilità è il
presupposto fondamentale su cui si basa il metodo sperimentale, cioè il fatto che gli
oggetti siano fungibili, che permette di generalizzare il risultato finale a tutti gli
esemplari dello stesso tipo. La non fungibilità mette in crisi questo presupposto. Da qui
deriva una nuova consapevolezza: se l’obiettivo delle scienze naturali è la
spiegazione, quello delle scienze umane e sociali è la comprensione.]
Dal punto di vista ontologico, secondo l’interpretativismo non esiste una realtà
oggettiva, esiste solo la realtà come rappresentazione dell’individuo, costruita
soggettivamente dall’individuo. Esistono quindi differenti realtà, tante quanto sono i
soggetti che andiamo ad analizzare. Dal punto di vista epistemologico questo si
converte nella necessità di interdipendenza tra il ricercatore e i soggetti che vengono
osservati. Un’interdipendenza dalla quale nasce la conoscenza: dalla relazione con il
soggetto si può comprendere. Dal punto di vista metodologico, quindi, ci si avvicina a
tradizioni di ricerca più qualitative, fondate sulle storie di vita, sui racconti degli
intervistati, sulle interviste dirette (la tradizione quantitative invece si fonda su
questionari che sono ovviamente uguali per tutti).
POST POSITIVISMO
Dopo il primo positivismo, c’è però una costatazione che la prima impostazione del
positivismo è troppo forte per le scienze sociali, per tutti i limiti che presenta. C’è
quindi un ripensamento rispetto ad alcuni aspetti in quello che viene definito post-
positivismo (tradizione di ricerca sempre quantitativa), che fa capo a Popper. In
particolare, dal punto di vista della realtà c’è e il ripensamento di quel realismo
definito ingenuo: questa tradizione sposa un realismo più critico, in cui viene ammessa
una realtà sociale esterna all’individuo, ma vi è la consapevolezza che questa realtà
non può essere disvelata dal ricercatore, che può solo conoscerla parzialmente. Si
critica il verificazionismo del primo positivismo e si sposa il falsificazionismo. Nella
logica della scoperta scientifica, Popper critica il primo positivismo e in particolare il
verificazionismo che c’è dietro e propone il principio del falsificazionismo: nel
verificazionismo, l’osservazione sempre a verificare le ipotesi; secondo il
falsificazionismo le teorie non devono essere verificate attraverso l’osservazione ma
falsificate.
Una proposizione, una volta formulata, per dirsi scientifica deve confrontarsi con i dati
di fatto Esempio: tutti gli oggetti di vetro, cadendo, si rompono
•Dopo aver compiuto numerose osservazioni (es.: osservo che molti oggetti di vetro,
cadendo, si rompono), applicando il principio di induzione, traggo una conclusione
generale Esempio: tutti gli oggetti di vetro che ho lasciato cadere si sono rotti >
principio di induzione tutti gli oggetti di vetro, cadendo, si rompono •Questa
proposizione (‘tutti gli oggetti di vetro, cadendo, si rompono’) si dice verificata, e
quindi scientifica, poiché ha superato il controllo empirico.
Cigno nero: non mi basta osservare che tutti i cigni sono bianchi, poiché può esserci
sempre un cigno nero in qualche luogo remoto.
Le teorie si dicono scientifiche per il fatto di essere falsificabili e non verificabili. La
teoria scientifica è quella che non è stata falsificata. Ovviamente, anch’essa, non è
vera in assoluto e non è vera per sempre, ma lo è fino a prova contraria. C’è sempre
quindi una parzialità della ricerca scientifica ed ogni teoria è vera fino a prova
contraria. ‘Verifica’ e ‘non-falsificazione’, dal punto di vista logico, non sono l’una il
contrario dell’altra: se affermo che una teoria è verificata, significa che escludo che
possa rivelarsi falsa. Se invece affermo che una teoria è non falsificata significa che
per il momento, secondo le prove condotte e i dati disponibili, essa non è falsa, senza
escludere che in futuro possa essere messa in crisi da qualche prova empirica di cui
ora non dispongo. Non è scientifica una teoria che non può essere contraddetta da
alcuna osservazione (es. in futuro il progresso tecnologico renderà tutti più felici).
Dal punto di vista metodologico, quindi:
•Lo scienziato non cerca più prove positive per la propria teoria, ma cerca in ogni
modo e con onestà intellettuale di metterla in crisi; se essa resiste, si dice che è non
falsificata
•La teoria è provvisoria: non possiamo escludere che in futuro verranno trovate prove
che ne testimonieranno la falsità
•Nel discorso metodologico, non si parla più di ‘verificare’ o di ‘verifica’ di una teoria
(o ipotesi), poiché non esiste possibilità di una prova definitiva (cioè di un riscontro
definitivo con la realtà). Si parla invece di ‘controllo’ o ‘controllare’ teorie o ipotesi
•L’oggettività positivista discendeva dal fatto che si pensava che teorie e ipotesi
coglievano la realtà “vera”; ora la realtà non è più un punto di riferimento certo, e
l’oggettività risiede nel controllo intersoggettivo, cioè nel fatto che gli asserti scientifici
devono poter essere controllati dalla comunità di scienziati (assoluto → relativo)
(secondo capitolo)
Disegno della ricerca, definizione del campo, raccolta delle informazioni
(In sintesi) Nel momento in cui decidiamo di intraprendere un percorso di ricerca
empirica il primo step è costruire il disegno della ricerca: definizione del problema
(nella maggior parte dei casi, attraverso il ricorso ad una teoria, quindi si ricostruisce
quello che viene definito lo stato dell’arte di una teoria), degli obiettivi, delle domande
di ricerca. Nella seconda fase dobbiamo costituire il campo: una volta definito il
problema (quindi il disegno di ricerca) dobbiamo definire il campo, cioè in quale
ambito spazio temporale vogliamo condurre la ricerca. Collegata alla definizione del
campo è quella dell’unità d’analisi, cioè i soggetti teorici che fanno parte della nostra
ricerca, ovvero tutti coloro che potenzialmente rientrano tra nostri intervistati (non
concretamente, in quanto questo dato è rappresentato dai casi). Il disegno della
ricerca e la definizione del campo precedono la raccolta delle informazioni, ovvero la
fase in cui concretamente andiamo a somministrare il questionario (o altri strumenti di
racc