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Clinton esprimevano un sostegno alla richiesta di dimissioni correlato positivamente con
l’importanza che assegnavano allo scandalo. La stessa relazione risultava attenuata fra i
sostenitori. L’interpretazione fa riferimento al fatto che coloro che, già prima della vicenda
Lewinsky, apprezzavano il Presidente, si trovavano nella necessità di evitare la dissonanza
cognitiva che avrebbe comportato sostenere le sue dimissioni, anche se certi della sua relazione
con la Lewinsky, e lo facevano semplicemente sminuendo l’importanza dello scandalo.
Sulla stessa linea, era già stato mostrato che, all’epoca del Watergate, coloro che avevano votato
per Nixon alle precedenti elezioni erano meno propensi a credere al coinvolgimento del Presidente
rispetto a coloro che non lo avevano votato, ma soprattutto più portati a sminuirne l’importanza. Le
persone tendono a rifiutare nuove informazioni incongruenti con quelle già possedute o a
distorcerle in modo da preservare la propria posizione e la coerenza delle proprie credenze. Così i
sostenitori di un politico che cada in uno scandalo, per evitare la dissonanza cognitiva, finiscono
per sminuire l’importanza dell’accaduto.
4. Riparare i danni dello scandalo: le strategie comunicative
La personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica facilitano la diffusione degli scandali e
la focalizzazione dell’attenzione del pubblico su di essi, poiché, il candidato è al centro della
comunicazione e rappresenta il «prodotto da vendere» agli elettori. Per gli attori politici, e per le
istituzioni che rappresentano, è quindi fondamentale gestire la propria reputazione, preservando
quel credito morale che essi tentano di guadagnare presso la comunità attraverso la
manifestazione di comportamenti positivi. Da questo punto di vista, gli obiettivi principali del
discorso politico sono 3: (a) proporre un’immagine positiva di sé stessi e/o della propria parte
politica; (b) attaccare gli avversari politici; (c) difendersi dagli attacchi degli oppositori. Per i
protagonisti di uno scandalo, lo scopo comunicativo principale sarà dunque quello di evitare di
«perdere la faccia» e di limitare i danni reputazionali. Le strategie a disposizione sono diverse.
Le tipologie proposte partono tutte dall’idea che gli scandali comportino per l’accusato la gestione
di 2 aspetti: la responsabilità per l’azione scandalosa e l’offesa all’audience provocata dall’azione
scandalosa. Quadro riassuntivo delle diverse strategie di riparazione, con esempi del loro utilizzo
da parte di politici italiani. La prima risposta è la negazione della responsabilità, il cui scopo
principale è quello di respingere, o quantomeno ridurre, l’attribuzione di responsabilità per l’evento
di cui l’individuo o l’organizzazione sono accusati. Una seconda categoria è la scusante, che
raggruppa tutte quelle tattiche che hanno come obiettivo l’elusione o la minimizzazione della
gravità della propria responsabilità per l’evento. Fanno parte di questa categoria, ad esempio
quando: il politico ammette la negatività dell’evento, ma nega di esserne l’unico o il totale
responsabile. Il terzo insieme di risposte è costituito dalle tattiche che mirano alla riduzione della
percezione di offesa nei confronti dell’audience. Le giustificazioni sono un esempio: quando cioè
un politico ammette di essere il responsabile dell’evento, ma ne contesta la negatività. A questo
scopo, il politico si impegna in un’attività comunicativa di reframing dell’evento in modo da ridurre
la negatività percepita. Fanno parte di questa categoria anche altre tattiche, quali il rinforzo, che
consiste nel fare leva sui sentimenti positivi che l’audience provava per l’accusato ricordando
quanto di buono egli ha fatto in passato, e il superamento, che mira alla riduzione degli aspetti
negativi e dei danni provocati dal comportamento trasgressivo sottolineando i benefici che però
tale azione ha portato. Un’ulteriore categoria di strategie riabilitative della reputazione è costituita
dalle concessioni: racchiude tutte quelle tattiche che mirano a ristabilire un’immagine positiva
dell’accusato attraverso la piena accettazione della responsabilità dell’evento e delle conseguenze
negative. Fanno parte di questo tipo la mortificazione, vale a dire il chiedere perdono per la propria
trasgressione, la messa in atto o la promessa di azioni correttive per il futuro, l’offerta di
ricompense alle vittime e l’espressione di sentimenti di dispiacere e compassione per il danno
causato. Infine, un’ultima strategia con cui l’attore politico accusato di aver trasgredito può
rispondere è con l’attacco degli accusatori o contrattacco: riduzione della veridicità dell’accusa
attraverso la riduzione della credibilità della fonte delle accuse.
L’efficacia delle strategie di riparazione
Sono pochi gli studi che hanno tentato di confrontare l’efficacia delle diverse strategie riabilitative
della reputazione. Benoit e Drew hanno testato, attraverso un esperimento, l’appropriatezza
(rispetto all’offesa subita), e l’efficacia (nel ripristinare la «faccia dell’offensore») di 14 diverse
tattiche di ripristino della reputazione. Gli studiosi hanno chiesto a ciascuno dei 202 partecipanti di
immaginarsi in una situazione di interazione con un ipotetico amico che metteva in atto un
comportamento negativo inatteso potenzialmente lesivo della sua reputazione (ad esempio si
scordava di passare a prendere l’amico, oppure rovinava una giacca che gli aveva prestato).
Ciascun partecipante doveva poi valutare appropriatezza ed efficacia risolutiva di tutte le 14
tattiche proposte. Dai risultati è emerso che la mortificazione (scusami, è colpa mia) e la messa in
atto di azioni correttive (farò smacchiare la giacca e te la restituirò pulita) erano valutate dai
partecipanti come più appropriate per sanare il torto subito e più efficaci nel «ripristinare la faccia»
dell’amico offensore rispetto a tutte le altre tattiche. Tuttavia, nella realtà, è difficile che l’offensore
scelga di utilizzare una sola strategia di riabilitazione. In scenari complessi, come quelli politici, è
probabile che vengano messe in atto diverse strategie contemporaneamente. La loro efficacia ed
appropriatezza potrebbe quindi variare di molto a seconda delle combinazioni di tattiche utilizzate.
I risultati nel complesso mostrano che l’accettazione della propria responsabilità e la richiesta di
perdono sono state le strategie che hanno limitato i danni. La mortificazione da parte dell’accusato,
secondo gli autori, è una tattica molto più efficace rispetto alla negazione dell’evento o alla
negazione di responsabilità, perché è ciò che le persone si aspettano da parte di un leader che
abbia compiuto azioni non corrette.
Gli autori Sheldon e Sallot, hanno chiesto ai partecipanti di leggere un presunto articolo di giornale
che riportava un incidente reputazionale che ricalcava esattamente una gaffe realmente
commessa qualche anno prima da un deputato degli USA, attribuendola ad un politico fittizio.
Hanno poi manipolato la strategia riabilitativa utilizzata dal protagonista, confrontandone 3: nella
prima condizione egli chiedeva perdono per le proprie parole (mortificazione), nella seconda
ricordava i numerosi provvedimenti e azioni da lui attuate in passato in favore dei diritti delle
minoranze (rinforzo), nella terza prometteva di dimostrare al paese attraverso i fatti di essere un
promotore dei diritti civili (promessa di azioni correttive). Inoltre, nello studio veniva manipolata la
storia dei comportamenti precedenti (positivi o negativi) messi in atto dal finto politico.
Diversamente da quanto atteso, gli autori non hanno trovato effetti di interazione tra la strategia
difensiva scelta dal politico e la valenza positiva o negativa della sua storia passata, anzi
quest’ultima non esercitava nemmeno un’influenza indipendente sulla valutazione finale del
protagonista. In linea con gli studi di Benoit e colleghi anche in questo esperimento emergeva che
la richiesta di perdono influenzava positivamente la reputazione del protagonista più delle altre due
strategie. Mentre la valutazione da parte dei partecipanti della competenza del politico non era
influenzata dal tipo di strategia riabilitativa messa in atto.
In un esperimento recente, Johnson combina mortificazione e promessa di azioni correttive e le
confronta con le tattiche della negazione e attacco dell’accusatore. Il paradigma sperimentale
prevedeva la costruzione di uno scenario fittizio, in cui un sindaco veniva accusato di avere una
relazione sessuale con una sua collaboratrice. Nella condizione di controllo i partecipanti, studenti
universitari, leggevano un articolo di giornale che dava notizia dello scandalo. In una condizione
sperimentale l’articolo di giornale aggiungeva che il sindaco ammetteva la relazione, accettava la
responsabilità del fatto per il quale si dichiarava profondamente dispiaciuto, e si scusava con i
cittadini, i membri del consiglio comunale e la sua famiglia promettendo azioni correttive in futuro.
In una seconda condizione sperimentale, il sindaco negava con forza di aver avuto questa
relazione e, dichiarandosi arrabbiato per la vicenda, attaccava in maniera decisa i propri accusatori
(i mass media). I risultati hanno mostrato che quest’ultima strategia sortiva il maggior effetto
persuasivo. I partecipanti nella condizione negazione e attacco degli accusatori erano più propensi
a considerare il sindaco una persona dallo spiccato senso etico e che si preoccupa per la propria
famiglia, mentre erano meno inclini a giudicarlo in modo negativo rispetto ai partecipanti nell’altra
condizione. La tattica della negazione e attacco provocava un effetto anche sull’intenzione di voto
dei partecipanti e sulla richiesta di dimissioni. In questa condizione, gli studenti erano per il 21%
più disposti a votare per il sindaco in futuro e per il 13% più propensi a rispondere no alla domanda
se egli avrebbe dovuto dimettersi, rispetto ai partecipanti nell’altra condizione. Questi risultati
suggeriscono quindi che i maggiori effetti riparatori derivano da una smentita decisa, laddove sia
possibile, in combinazione con l’attacco degli accusatori, piuttosto che dall’ammissione con offerta
di scuse e promessa di azioni correttive. Sulla stessa linea, alcuni studi hanno mostrato che, se le
persone sembrano apprezzare un politico che non reagisce in modo negativo ad un accusatore,
tendono però a percepirlo come un leader più debole rispetto a chi invece contro-attacchi.
Anche i segnali di comunicazione non verb