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FORME E IDEE DELLA LEADERSHIP NELLA STORIA
L'antichità greco-romana
Nei classici ellenici sono già state avanzate risposte che ancora meritano attenzione. Come
esempio valga la critica, in Platone e in Aristotele, del demagogo, che Weber, considererà poi
come il capostipite, nel bene e nel male, dei moderni capi-partito e leaders della democrazia;
Aristotele ha però delle riserve sull'elezione popolare diretta dei capi politici, che invece la linea di
pensiero contemporanea nelle scienze sociali, da Weber a oggi, giudica soluzione vincente e
appropriata nella democrazia moderna. Nella Politica di Aristotele si trova anche la più netta
argomentazione contro la decisione di un solo uomo e a favore della deliberazione collettiva come
dialetticamente più ricca e affinata. Se poi ci eleviamo al piano di un discorso più generale è
Platone che per primo ha affermato in modo radicale, il "principio della leadership", sostenendo
che vi è chi, essendo nato e formato per ciò, deve "comandare, governare e guidare" gli altri
seguendo un criterio di utile collettivo, comunitario, verso il quale è personalmente responsabile.
Il tramonto della civiltà della polis coincide con l'irruzione in Occidente, per opera di Alessandro e
dei suoi successori, del modello della monarchia orientale assoluta e collegata al divino mediante
la divinizzazione del regnante. La religione, dunque, appare come riferimento di legittimazione del
potere personale. Roma è ovviamente il centro di altre grandi esperienze politiche della civiltà
occidentale. Roma repubblicana, innanzitutto, le cui istituzioni (senato, consolato, tribunato,
dittatura), con le forme relative di leadership, hanno costituito un riferimento per i secoli a venire. E
a chiudere la vicenda repubblicana è stato il fenomeno del 'cesarismo', sostanziato di potere
personale sostenuto dall'esercito e dal popolo, che rappresenta un riferimento importante anche
per lo studioso della leadership. Lo sviluppo dell'Impero romano deve essere qui ricordato
principalmente per 2 aspetti. 1) l'estensione all'intero Occidente dell'esperienza orientale introdotta
da Alessandro, con la costituzione a Roma di un potere personale assoluto e totalizzante. 2) il
culto dell'imperatore si confonde con il culto della personalità grazie all'istituto della divinizzazione,
con il concorso degli intellettuali del tempo.
Il Medioevo
Nell'ambito di una religione monoteistica come quella giudaico-cristiana non vi era spazio per la
divinizzazione del re o dell'imperatore, ma soltanto per l'idea di una ispirazione o di un mandato
divino. E in effetti la Bibbia aveva sviluppato questo concetto, applicandolo sia ai profeti sia ai re:
Mosè appariva come l'eletto per una missione divina, e da Dio direttamente ispirato. Con la
diffusione del cristianesimo e con la grande potenza acquisita dalla Chiesa di Roma, il principio
della grazia divina ha poi costituito, in Occidente, l'alta legittimazione del potere imperiale e
monarchico, dando perfino luogo all'attribuzione di qualità straordinarie, miracolose, ai re di
Francia e d’Inghilterra. Considerando tutte queste esperienze storiche di imperatori, re e messia e
di peculiari figure come Giovanna d'Arco, vien fatto di pensare che la religione giudaico-cristiana
ha costituito per la leadership carismatica (nel senso di Weber) la fonte di ispirazione,
determinando al contempo la forma in cui si è manifestata nei secoli. L'altra grande creazione del
Medioevo è rappresentata dal fiorire della civiltà comunale e della democrazia comunale, che
riprende e applica il principio di maggioranza nella scelta elettiva dei governanti e nelle
deliberazioni degli organi del Comune, e dei parlamenti. E la leadership collegiale si impone contro
ogni forma di monocrazia. Dagli studiosi nostri contemporanei Machiavelli è considerato il primo
importante autore che dia alla leadership un grande rilievo nella storia, specialmente nel Principe,
ovvero colui che si sarebbe assunto il grande impegno di fare l'Italia.
L'età moderna
Anche alcuni sovrani della storia moderna e contemporanea, come Guglielmo II, hanno richiamato
l'attenzione. Non si deve dimenticare, che anche ai tempi della monarchia assoluta era emersa
con evidenza l'importanza dei ministri e dei consiglieri, dei consigli, dei parlamenti, che
partecipavano alla gestione dello Stato o su essa influivano: le grandi individualità che hanno
ricoperto quei ruoli, come il ministro cardinale Richelieu, sono diventate anch'esse oggetto di
ricerca. La Rivoluzione inglese del ‘600 rappresenta l'inizio di un'epoca nuova anche nella
prospettiva di questi studi. La Great Rebellion e il regicidio aprono la via al primo episodio
cesaristico moderno, cioè la dittatura personale di Cromwell, che nutre un forte 'senso di missione'
ispirato dalla Bibbia e dalla cultura della Riforma, e, d'altro canto, si appoggia al favore dell'esercito
e di una parte della popolazione. Con la Glorious Revolution di fine secolo comincia invece la
storia della monarchia costituzionale, ed è qui da rilevare come gli studiosi che vanno elaborando
la concezione del nuovo Stato distolgano l'attenzione dalla leadership: Locke consegna al 'potere
legislativo' la posizione centrale nello Stato, mettendo in subordine il 'potere esecutivo'. Tuttavia
proprio nel paese in cui si avvia la costruzione dello Stato moderno, l'Inghilterra, il nuovo ruolo del
parlamento è accompagnato dalla formazione di due partiti e delle rispettive leaderships.
La Rivoluzione americana e la Convenzione (1787) che ne coronò l'esito vittorioso, d'altro lato,
diedero agli Stati Uniti la trama costituzionale su cui ha potuto svilupparsi in modo originale una
repubblica presidenziale, con un presidente eletto dal popolo e sempre più potente. Così le due
democrazie anglosassoni, con il premier e il presidente rispettivamente, si sono assicurate una
leadership personale forte nella sua progressiva istituzionalizzazione, al contrario dei maggiori
Stati continentali europei che nel XIX secolo hanno sviluppato il modello della democrazia
parlamentare privilegiando il parlamento e il 'presidente del Consiglio' - un primus inter pares.
Democrazia e totalitarismo
Dopo la Rivoluzione francese del 1789 che viene indicata come l'evento che segna la fine del
vecchio ordine e l'inizio del nuovo, l'Europa ha conosciuto anche sviluppi illiberali e
antidemocratici. La Francia stessa ha vissuto con i due Bonaparte esperienze di 'dittatura
imperiale', che hanno dato ispirazione a una nuova categoria della politica, il 'bonapartismo':
potere personale appoggiato dall'esercito e dal popolo tramite l'istituto del plebiscito.
Nel XX secolo, poi, Italia, Germania e Russia sono state soggette a dittature totalitarie
caratterizzate dalla concentrazione nel capo di un potere assoluto, esteso a ogni aspetto della vita
nazionale, ispirato e legittimato dalle religioni secolari; e quel modello si è propagato e imposto,
anche per forza di armi, nei paesi vicini. Lo sviluppo più rilevante in questa sede è stato il
Führerprinzip nella declinazione che lo stesso Hitler ne ha dato in Mein Kampf. Il leader espresso
dalla lotta rivoluzionaria, e quindi 'selezionato dalla Natura', 'riconosciuto' dal popolo, nomina i capi
per tutte le istanze dello Stato e del partito unico a lui sottostanti, e costoro, a loro volta, nominano
i preposti al livello inferiore, e così via, costruendo a partire dal vertice la piramide del potere.
LA LEADERSHIP NELLE SCIENZE SOCIALI
Si può dire che la riflessione delle scienze sociali sulla leadership assuma consistenza e rilievo
solo verso la fine del XIX secolo e all'inizio del XX.
Comunicazione e politica simbolica
La capacità di comunicare convincentemente con gli altri è stata percepita da sempre come
fondamentale per il leader, ed è stata in particolare curata la comunicazione verbale. Da sempre,
inoltre, è stata colta dai leaders l'importanza dei simboli, dei riti e dei miti per il governo, e la
necessità, di usarne largamente e sapientemente; anche per questo il comportamento dei leaders
tende a stilizzarsi secondo un modello, e a svolgersi secondo un copione conforme alle attese
culturali dominanti, siano esse date dalla tradizione o dalla rivoluzione. In questo senso la vita
pubblica è teatro e il leader è l'attore protagonista. Hitler ha teorizzato in Mein Kampf, i principi di
una leadership conforme all'insegnamento dello studioso Le Bon e, in particolare, ha usato con
consapevolezza tutte le risorse della retorica e di un universo di simboli, riti e miti da lui creati o
adattati alla grande rappresentazione teatrale di cui era l'assoluto e quasi divinizzato protagonista.
Lo sviluppo delle comunicazioni e dei mass media, ossia del cinema e della radio, gli consentiva
una sorta di ubiquità e di presenza diretta, personale, nei ritrovi e nelle case, che dilatava il suo
influsso sulla popolazione. Se i dittatori totalitari avevano ovviamente modo di trarne vantaggio
pieno, tuttavia le opportunità offerte dalla comunicazione via etere non sfuggivano nemmeno ai
leaders democratici: come dimostra l'uso sapiente ed efficace della radio da parte di Roosevelt in
quegli stessi anni. Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, la politica, che si svolge
sempre più sotto gli occhi della popolazione, diventa quindi una rappresentazione pubblica,
teatrale, in cui però la scienza accompagna l'arte imponendosi anche agli attori protagonisti.
Scienziati ed esperti intervengono direttamente in questo processo come consiglieri a volte molto
ascoltati. Emblematici possono essere considerati i confronti televisivi tra i due candidati alla
presidenza americana, al culmine della campagna elettorale e davanti a decine di milioni di
spettatori, in base a una scenografia e a regole contrattate da esperti che già hanno curato la
lunga preparazione con autentiche 'prove' secondo strategie e tattiche ispirate a principi di
psicologia sociale posti al servizio di finalità politiche.
Riflessioni per una sintesi
La distinzione fra leadership rivoluzionaria e leadership riformatrice sembra corrispondere a tipi
diversi di leaders e di rapporti fra leader e seguito, e inoltre apre la via a una comprensione più
adeguata delle rispettive strategie. Utile è l'invito di Tucker a distinguere fra leadership
istituzionalizzata e non istituzionalizzata, cioè fondata o no su una posizione o carica con poteri
definiti nello Stato o in altra istituzione, perché la dicotomia proposta richiama l'attenzione sul ruolo
essenziale che il leader ha personalmente, per autorità e ascendente, nella nasci