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2.2 LE POLITICHE PER AFFRONTARE IL CONFLITTO CULTURALE
Se la devianza è il prodotto di un conflitto culturale, la persona che viola la legge
considera la propria azione conforme alle norme di condotta della propria cultura.
Le politiche finalizzate ad affrontare il conflitto culturale devono promuovere il
processo di integrazione degli immigrati nelle società riceventi favorendo
l’acquisizione dei valori e delle norme di condotta della cultura dominante.
Il processo di integrazione può essere orientato da 3 logiche:
- la logica dell’immigrazione temporanea, secondo cui l’integrazione
dell’immigrato deve essere limitata poiché l’immigrazione è considerata un fenomeno
contingente, funzionale alle esigenze del mercato del lavoro;
- la logica dell’assimilazione, che promuove l’omologazione culturale dei nuovi
arrivati affinché si integrino nella società ricevente “rendendosi indistinguibili dalla
maggioranza della popolazione”;
- la logica pluralista, che promuove le pratiche politiche multiculturali le quali
implicano che i membri della società ricevente accettino le differenze culturali e
modifichino di conseguenza i propri comportamenti sociale e le proprie istituzioni.
La socializzazione culturale può avvenire in molteplici ambiti della vita sociale: scuola,
lavoro, tempo libero, sport, ecc..
Se essa non è accompagnata da un integrazione sociale, può generare una situazione
di tensione poiché gli immigrati vengono acculturati agli stili di vita della società nella
quale vivono senza poter accedere, per la loro condizione di esclusione
socioeconomica, alle risorse istituzionali che dovrebbero essere usate per realizzare le
mete culturalmente prescritte.
3. Applicazione delle teorie ai casi
I tre casi guida sono analizzati alla luce della teoria dell’anomia di Durkheim, della
disorganizzazione sociale della Scuola di Chicago e della teoria del conflitto culturale.
3.1. Il caso del tossicodipendente
La teoria dell’anomia e della disorganizzazione sociale. Quando si adotta la prospettiva
teorica dell’anomia di Durkheim e della disorganizzazione sociale della Scuola di
Chicago, il consumo di droghe viene interpretato come uno degli indicatori di anomia o
di disorganizzazione sociale e viene solitamente studiato come un problema sociale
che deve essere affrontato. Secondo questi due presupposti teorici la devianza e il
crimine sono il prodotto dell’indebolimento del controllo sociale informale. Mentre però
i sociologi della Scuola di Chicago individuano nella disorganizzazione sociale la
causa dell’indebolimento del controllo sociale informale (deprivazione sociale ed
economica, degrado ambientale, elevata mobilità residenziale, immigrazione),
Durkheim ritiene che le regole di una di una società o di un gruppo divengono meno
vincolanti nei confronti dei membri individuali in seguito a rapidi cambiamenti sociali:
l’anomia può aumentare tanto in una società che si impoverisce quanto in una che si
arricchisce repentinamente. In ogni caso quando si spiega il consumo di droghe
ricorrendo alla teoria dell’anomia e della disorganizzazione sociale lo si ritiene un
“sintomo” del cattivo funzionamento della società: oggetto di studio infatti non
sono le caratteristiche individuali dei consumatori, quanto le caratteristiche dei
contesti sociali in cui i consumatori vivono.
IL CASO DI MARIO: SPIEGAZIONE E INTERVENTO
Come prima cosa occorre verificare se Mario sia un caso isolato o se il consumo di
droghe illegali sia un fenomeno diffuso nel suo quartiere. Si dovrebbe valutare la
rilevanza statistica di questo specifico comportamento deviante, consultando i dati di
fonte secondaria, di cui è possibile disporre, oppure realizzando indagini ad hoc. Se il
fenomeno è statisticamente rilevante, occorre anche verificare se è variato nel corso
degli anni. Se negli ultimi anni sono aumentati, nel quartiere in cui risiede Mario, i
tossicodipendenti registrati dalle diverse istituzioni, si deve spiegare tale aumento: se
si ritiene che sia effettivamente aumentato il consumo di droga in quel quartiere,
facendo riferimento alle teorie della disorganizzazione sociale e dell’anomia si deve
verificare in quale misura tale aumento sia il sintomo della presenza di processi che
stanno realmente minando il “buon” funzionamento della società. Si dovrebbe
verificare se vi siano altri indicatori di disorganizzazione sociale/anomia (tasso di
disoccupazione, tasso di dispersione scolastica, tasso di suicidio, numero di stranieri
presenti) che differenziano il quartiere di Mario rispetto alle altre zone della città.
Qualora la risposta fosse affermativa, l’aumento del consumo di droga in quello
specifico quartiere, essendo interpretabile come un sintomo di disorganizzazione
sociale/anomia, potrebbe essere spiegato come uno degli effetti dell’indebolimento dei
legami sociali: la comunità locale non sarebbe più in grado di esercitare un controllo
sociale informale sui propri membri, in particolare su quelli più giovani.
Inoltre, secondo la teoria della trasmissione culturale della devianza, dato che coloro
che vivono in un’area socialmente disgregata hanno maggiori probabilità di entrare in
contatto con soggetti devianti, i ragazzi che vivono in questo quartiere avranno
maggiori probabilità di apprendere valori e norme tipici delle subculture della droga e
di diventare a loro volta consumatori.
Se il consumo di droghe illegali viene ricondotto all’indebolimento dei meccanismi di
controllo sociale, si dovranno sviluppare programmi d’intervento che abbiano lo scopo
di modificare le condizioni strutturali che rendono difficile la costituzione dei legami
sociali tra le persone che risiedono nello stesso ambito territoriale. Gli interventi non
dovranno essere rivolti ai singoli tossicodipendenti, ma dovranno migliorare il
complessivo funzionamento della società, rafforzando i legami sociali e promuovendo
quelle potenzialità che rendano la comunità locale capace di trovare una soluzione ai
propri problemi (efficacia collettiva). Secondo questa prospettiva teorica, ogni
attività che rafforzi i legami sociali potenziando il livello del controllo sociale
informale di una comunità (attività ricreative e sportive per i giovani, attività di
contrasto alla dispersione scolastica, attività di formazione professionale e avviamento
al lavoro) previene anche il consumo di droghe.
Tale filosofia di intervento ha anche delle ricadute sul trattamento dei singoli
consumatori. Nel caso di Mario si possono rafforzare i suoi legami sociali facendo in
modo che:
- investa più tempo ed energie in attività convenzionali, aiutandolo per es. nella
ricerca di un lavoro. Così si può aiutare Mario ad acquisire uno status, quello di
lavoratore, che potrà inibire il suo comportamento deviante per due ragioni: egli
temerà, infrangendo la legge, di poter perdere la reputazione sociale collegata a tale
status, inoltre il datore e i colleghi di lavoro potranno esercitare un efficace controllo
informale sul suo comportamento;
- dedichi più tempo a tali attività convenzionali (“coinvolgimento”) favorendo per es. il
suo inserimento in attività ricreative e sportive che lo aiutino a trascorrere il suo
tempo libero in attività non devianti (più tempo passerà in palestra, meno tempo
trascorrerà con i suoi amici tossicodipendenti).
- Si può prevedere una allontanamento di Mario dal suo contesto di vita e un suo
inserimento presso una struttura residenziale (comunità terapeutica) con lo scopo di
promuovere quei legami in grado di favorire un più efficace controllo sociale informale.
- Si potrebbe anche agire su un altro elemento del legame sociale, la “convinzione”,
cercando, cioè, di “convincere” Mario a non infrangere più norme sociali perché esse
hanno un senso e devono essere rispettate.
La teoria del conflitto culturale
Adottando la prospettiva del conflitto culturale, si dovrà valutare se il consumo di
droghe illegali di un individuo sia un comportamento non stigmatizzato o addirittura
promosso dalle norme di condotta della cultura (o della subcultura) a cui egli fa
riferimento: il consumo di droghe potrebbe essere lecito per i membri di una
subcultura e illecito per i membri della cultura dominante. Secondo questa prospettiva
teorica il consumo di droghe viene sanzionato perché alcuni gruppi sociali hanno il
potere di definire questo comportamento come illegale, deviante e di applicare
con successo le relative sanzioni ai trasgressori.
IL CASO DI MARIO: SPIEGAZIONE E INTERVENTO
Come prima cosa occorre valutare se il consumo di droga da parte di Mario sia
espressione di una determinata subcultura e quali siano le norme di condotta che
orientano il comportamento di consumo dei membri di tale subcultura. Qualora si
verificasse l’esistenza di una o più subculture a cui Mario ha aderito nel corso della
propria carriera di consumo, si dovrà valutare se, e in quale misura, il comportamento
di consumo di Mario si sia conformato alle norme di condotta di tale subcultura.
Poiché Mario non ha mai avuto problemi con la giustizia, si dovrà valutare se lo stile
di consumo che ha adottato, che potrebbe essere definito “controllato” (stile di
consumo, anche dipendente, che non ha conseguenze negative sui funzionamenti
sociali dei consumatori), sia stato acquisito nell’ambito di una specifica subcultura
(possiamo già escludere che Mario non è mai stato uno street addict, cioè un
tossicodipendente di strada).
Le politiche finalizzate ad affrontare il consumo di droghe come espressione di un
conflitto culturale possono essere orientate da due logiche che sono idealmente
collocabili ai due estremi di un ipotetico continuum:
- La prima ispira tutte quelle politiche caratterizzate da un atteggiamento
tollerante nei confronti degli autori di un “reato senza vittima”, quale è quello del
consumo di droghe illegali (la depenalizzazione e la legalizzazione sono politiche
ispirate da tale logica), nella convinzione che la reazione sociale a tale comportamento
possa produrre effetti sulla società e sui consumatori più negativi della tolleranza (è la
tesi dei teorici dell’etichettamento _ cap 5): nel nostro caso si dovrà essere attenti a
contenere gli effetti negativi della reazione sociale su Mario.
- La seconda ispira tutte quelle politiche caratterizzate dall’assimilazione dei valori e
delle norme di condotta della cultura dominante da parte dei membri delle subculture:
nel nostro caso si cercherà di favorire l’assimilazione da parte di Mario delle norme