NO:
interrompere i voli
le compagnie aeree non volano perche compensate dalla collettivita
NO:
Tuttavia emerge anche che, in presenza di costi di transizione o di effetti di reddito, le soluzioni
precedenti derivanti dal teorema di Coase possono non valere. Per esempio, mentre può essere
facile per poche compagnie aeree accordarsi per pagare il danno alla collettività quando G>D, lo
stesso può non accadere quando è la collettività che deve compensare le compagnie aeree per il
danno, perché, per esempio, non tutti gli individui possono permettersi di pagare la loro quota pro-
capite che serve alla compensazione delle compagnie aeree. Inoltre, un insieme di fattori non
considerati dal teorema di Coase possono modificare gli esiti della storia. Consideriamo l’esempio
dei vetri doppi per le abitazioni circostanti l’aeroporto. In questo caso vi è, in primo luogo, un
problema di costi dell’informazione: c'è una evidente asimmetria informativa fra il potenziale
inquinato, che sa in quali locali lo infastidisca il rumore dei voli notturni e l’inquinante che per
controllarlo deve fare dei sopralluoghi. Tutto ciò poi comporta che se il produttore non è titolare del
diritto di inquinare, ci siano alti costi delle transazioni, nella trattativa fra lui e i consumatori, per la
definizione dell'indennizzo a cui hanno titolo, se gli cedono il loro diritto a vietare l'inquinamento.
Infine, vi è il tema dei costi di produzione dell'impresa che inquina. Se essi sono decrescenti nel
lungo termine, in relazione alle economie di scala nella produzione, la frontiera della produzione i
sposta verso l'alto, generando i mezzi per consentire alla collettività di ridurre l’onere dei produttori.
Ciò, pertanto, supporterebbe il fatto che vi siano ragioni decisive per assegnare il diritto di inquinare
.
ai produttori come Coase in effetti sostiene
PARTE SECONDA: IL MASSIMO BENESSERE COLLETTIVO SU BASE INDIVIDUALE
. .
1
Confronti interpersonali di utilità e il benessere di chi non è rappresentato
Secondo un’opinione largamente diffusa, che sembra far capo a ROBBINS, i confronti
interpersonali di utilità e benessere non sono possibili, perché ciascun uomo è una sfera a sé, una
entità separata dagli altri: fra loro «non esiste ponte». In questa nozione, però, si mescolano tre
concetti: I) che non sia possibile compiere misure della utilità soggettiva fra beni diversi e non
esista un indice di « utilità globale » personale quantificabile; II) che non sia possibile confrontare
l'utilità dei vari soggetti, sia in rapporto alla erogazione complessiva dei mezzi a loro disposizione
(utilità globale) sia in rapporto alla erogazione dell'ultima dose di una azione data (utilità
marginale); III) che non sia legittimo farlo per prendere decisioni riguardanti la società, in genere, e
il perseguimento del massimo di benessere collettivo, in particolare. L'affermazione che le utilità di
soggetti diversi siano sempre inconfrontabili, perché si tratta di mondi diversi, appare eccessiva.
Dobbiamo pur ammettere il postulato di HARSANY (1984) di «empatia immaginativa » ovvero
affinità psicologica fra i vari esseri umani, percepibile reciprocamente, dato che, se ce ne
discostassimo, dovremmo rinunciare anche a prevedere i comportamenti degli altri, mentre tutta
l'economia di mercato si regge sulle previsioni che ciascuno fa sulle condotte altrui. Ma se i
basiamo sui reciproci comportamenti razionali, ciò vuol dire che ci «comprendiamo»
.
reciprocamente circa i nostri calcoli utilitari
D'altra parte l'affermazione che nulla si sappia sull'andamento delle curve di utilità totale e sulla
forma delle curve di utilità marginale dei singoli, è contraddetta dalle analisi di VON NEUMAN-
MORGESTERN (1947) e di FRIEDMAN-SAVAGE (1948), riguardanti il comportamento di coloro
che giocano e di coloro che si assicurano, di fronte a eventi rischiosi, dotati di date probabilità
matematiche. Un soggetto a basso reddito che accetti una scommessa o comperi un biglietto della
lotteria, pagando una piccola cifra con la probabilità matematica di una vincita grande, stima,
evidentemente, di più l'utilità marginale del maggior reddito, che spera di vincere, di quella del
reddito che, con la giocata, ha perso. Su tali basi,
tuttavia, arguire che possa esser equo togliere a chi ha più mezzi (e quindi presumibilmente più
bassa utilità marginale) per dare a chi versa in stato di bisogno, indipendentemente dalla valutazione
delle capacità di scelta su campi di scelta, porta a risultati, spesso stravaganti, perché l'ipotesi di
decrescenza dell'utilità marginale può essere discutibile. Chi ha più reddito, di solito, ha anche una
più elevata utilità soggettiva, perché ha unapiù raffinata sensibilità all'appagamenti dei vari bisogni.
In proposito, FRIEDMAN e SAVAGE (1948) hanno pertanto ipotizzato una curva di utilità totale
del reddito con andamento variabile che implica tratti con utilità marginale decrescente e tratti con
.
utilità marginale crescente .
2
La posizione « originaria » di tipo contrattualista costituzionale, quale sorgente di calcoli di
.
benessere razionali e imparziali
Si suole affermare che, spogliati del riferimento al proprio caso particolare, coloro che debbono
redigere una costituzione per un assieme di generazioni di soggetti, che essi idealmente
rappresentano, sono portati a fare scelte imparziali, dotate di efficienza e tali da avvantaggiare
equamente i vari futuri attori dei giochi sociali (BUCHANAN e TULLOCK) . un livello più
astratto, questa posizione «imparziale» può essere idealizzata come un esperimento mentale, che il
singolo, ipoteticamente chiamato a tracciare le grandi scelte per la società, compie sotto il velo della
più completa ignoranza sulla propria posizione e quindi sui propri interessi . Rimane il problema dei
valori che chi compie l'esperimento dovrà avere: i propri o quelli prevalenti nella società? Ma,
alcuni valori non possono non essere acconsentiti da tutti, una volta accolto il modello democratico
.
di una società evoluta .
3
Il diritto al perseguimento del proprio benessere WJ, e il criterio di Pareto, per il massimo
.
benessere collettivo
In una libera società democratica, dunque, ciascuno ha diritto a perseguire il proprio benessere, oi
limiti posti dai valori etici ed ambientali, del rispetto delle future generazioni, dei diritti della Natura
e dell’equilibrio del Pianeta e di un impegno verso i meno
favoriti. Pertanto, dal punto di vista dell’intervento
dell’operatore pubblico vale il criterio di Pareto, per cui il
benessere della società si considera aumentato ogni volta che
si accresce il benessere di qualcuno, senza che si riduca
.
quello di altri
Allo scopo di chiarire i diversi aspetti di questo criterio,
tracciamo il diagramma di cui alla Figura 6 in cui, con la
curva di trasformazione T’
BT’
A, indichiamo, per una
collettività composta solo di due persone (rappresentative di
due grandi gruppi sociali) la frontiera di Pareto, ossia il
massimo benessere del (gruppo rappresentato dal) soggetto B
e del (gruppo rappresentato dal) soggetto A. Nel punto (ipotetico) T’ ogni risorsa e diritto va a B,
B
che ha pertanto ha il massimo benessere astrattamente ipotizzabile. Nel punto T’
A, tutte le risorse e
i diritti vanno ad A che ha, pertanto, il massimo benessere. La curva che congiunge i due punti T’
B
eT’ che denominiamo frontiera di Pareto, indica tutte le possibili situazioni di massimo benessere
A,
di A e B: man mano che, spostandosi verso destra e in basso, aumenta il benessere di A, diminuisce
quello di B, in quanto, per definizione, sulla frontiera, non si può aumentare il benessere di A se non
a spese di quello di B e viceversa. La frontiera di Pareto viene (solitamente) rappresentata con una
curva concava verso l'origine degli assi cartesiani, perché si suppone che, per ciascuno dei due
(gruppi di) soggetti valga la legge soggettiva dell'utilità marginale decrescente per cui, muovendo
dal massimo per B, l’aumento di beni erogati ad A gli genera un aumento di benessere maggiore
sino a un punto intermedio in cui la riduzione del benessere di B comporta per lui una perdita di
benessere eguale all’aumento del benessere di A. Supponiamo che sia possibile una ristrutturazione
dell’economia che sposti la frontiera di Pareto da T’
BT’ a TBTA.. Adesso il punto I si trova
A
all'interno della frontiera di Pareto TBTA. Nel punto I, e più in generale su ciascun punto interno
alla TBTA, non si è in posizione Pareto-ottima perché da esso è possibile spostarsi ad altri punti,
come PB, che consentono di aumentare il benessere di B. Vi sono, pertanto, due versioni di questo
:
criterio
a) il benessere collettivo aumenta se, muovendo da una posizione data a un’altra, qualche soggetto
ha un incremento di benessere, mentre gli altri non sono danneggiati (criterio di Pareto debole)
;
mosse almeno lungo IPA o IPB
b) il benessere collettivo aumenta se, muovendo da una posizione data a un’altra, tutti coloro che
sono coinvolti ottengono un vantaggio (criterio di Pareto forte): mosse entro IPAPB
. Lo stato — per
migliorare, con l’economia pubblica, il benessere generale dei cittadini — dovrà operare secondo il
criterio b) e, in mancanza, secondo il criterio a). Ciò significa che dovrà cercare di rimuovere le
inefficienze e le distorsioni, relative alla allocazione delle risorse, e dovrà minimizzare le proprie
distorsioni. Dovrà cercare di produrre i beni pubblici e coprirne il costo, nel modo strumentale più
.
efficiente
. .
4
Il criterio della compensazione teorica di Hicks e Kaldor
Emerge, però, con riguardo al criterio di Pareto, in relazione all'economia pubblica, una
considerevole difficoltà, già messa in luce dagli economisti inglesi HICKS (1939) e KALDOR. Si
possono verificare situazioni in cui, con una certa scelta pubblica, sarebbero teoricamente
raggiungibili le situazioni che danno miglioramenti per alcuni e lasciano la possibilità di
compensare gli altri del danno subito. Ciò in quanto il beneficio di A supera la perdita di B e quindi
«collettivamente» in linea di principio, emerge un vantaggio. Ma questa formulazione, che
comporta di sommare algebricamente il benessere di A e B è una riedizione del principio del
massimo benessere global
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