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Possiamo sinteticamente distinguere nelle emozioni le componenti che seguono.
1. La presenza di uno stimolo scatenante. A volte si tratta di uno stimolo esterno (ad esempio qualcosa che
fa paura), altre volte di uno stimolo interno (ad esempio un pensiero che provoca tristezza o nostalgia).
2. La valutazione della situazione porta a un vissuto soggettivo, almeno parzialmente cosciente (un
«feeling»), che si differenzia a seconda delle emozioni provate. Di norma è proprio questo vissuto che dà
il nome all'emozione.
3. La compresenza di risposte fisiologiche particolari (alterazione della respirazione o delle frequenze
cardiache, sudorazione, tremore ecc.).
4. Una reazione tonico-posturale generale (di tensione o di rilassamento) che tende a interessare in
generale tutto il corpo, a manifestarsi nelle espressioni del volto, nei gesti, nella voce ecc., e a realizzarsi
in certi comportamenti «esterni», tipici dell'emozione provata (come la fuga, il pianto, l'aggressione).
Alle emozioni sono state riconosciute almeno tre funzioni specifiche: una favorente l'azione e due di tipo
comunicativo. Innanzitutto esse servono all'individuo per far fronte a una situazione vissuta eccezionale. Le
stesse concomitanti fisiologiche dovrebbero favorire un'ottimale attivazione dell'organismo. Di fatto,
tuttavia, questa attivazione può risultare eccessiva.
Per quanto riguarda le funzioni comunicative, c'è ampia concordanza sul fatto che l'emozione abbia, da un
lato, la funzione di comunicare all'esterno il proprio stato emozionale. Dall'altro lato, l'emozione servirebbe
anche a informare lo stesso individuo sia che c'è qualcosa di eccezionale da fronteggiare, sia sui risultati dei
suoi tentativi di controllo dell'emozione. Proprio la considerazione delle funzioni comunicative porta ad
affermare che «le emozioni sono dunque una forma di linguaggio»
Possiamo distinguere tra emozioni primarie (o fondamentali) ed emozioni complesse (o secondarie, o
sociali). Sono ritenute primarie le emozioni che hanno una base espressiva universale (in quanto innata) e
sono comuni agli esseri umani e a molti animali. Tra queste vi sono la paura, la gioia, la rabbia, la tristezza, la
sorpresa, l'interesse e il disgusto. Le emozioni complesse sono caratteristiche degli esseri umani dal
momento che richiedono un'elaborazione cognitiva e soprattutto consapevolezza. Tra di esse vi sono la
gelosia, l'imbarazzo, l'orgoglio, la vergogna e il senso di colpa.
Teorie dello sviluppo delle emozioni
➢
Nel corso degli studi sullo sviluppo emotivo si sono andate delineando due diverse prospettive teoriche,
sinteticamente denominate teoria della differenziazione e teoria differenziale. A loro dedichiamo la prima
parte del paragrafo. Presenteremo successivamente, sempre in una prospettiva cognitivista, le proposte di
Scherer e di Harris.
La teoria della differenziazione
La teoria della differenziazione ipotizza che inizialmente si possa distinguere nel neonato solo uno stato di
maggiore o minore eccitazione e che successivamente avvenga una differenziazione progressiva che
permette di distinguere fra stati emotivi di sconforto e di piacere. Dopo i tre mesi di vita lo sconforto si
differenzierebbe in collera, disgusto e paura, mentre, ancora più tardi, il piacere si differenzierebbe in
giubilo e affetto per gli adulti. Successive rielaborazioni di questa teoria si caratterizzano, sostanzialmente,
per il tentativo di evidenziare come questa progressiva differenziazione sia possibile grazie ai concomitanti
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cambiamenti a livello cerebrale, cognitivo e sociale, che consentono ai bambini di valutare gli eventi e di
comprenderne cause e conseguenze.
I. Nel primo mese di vita o poco più sono presenti il sorriso endogeno (presente anche durante il sonno), il
trasalimento (come reazione a stimolazioni molto intense), il dolore (che si esprime attraverso il pianto)
e lo sconforto (che può esserci, ad esempio, di fronte a grave disagio fisico). Essi sono ritenuti dei
prototipi fisiologici (rispettivamente del piacere/gioia, della circospezione/paura, della rabbia/collera).
Non si tratterebbe perciò di vere e proprie emozioni nel senso completo del termine. In particolare
sarebbe assente una vera e propria elaborazione cognitiva.
II. Anche nel secondo stadio (fino ai 3 mesi circa) non sarebbero presenti vere e proprie emozioni, ma dei
precursori. Tra questi (oltre al sorriso) vi è l'attenzione coatta precoce, caratterizzata dal fatto che il
bambino, di fronte a uno stimolo vissuto come strano, non familiare, lo fissa attentamente per un
periodo di tempo abbastanza prolungato (ad esempio uno o due minuti), per poi passare ai
comportamenti (come un pianto particolare) tipici dello sconforto. Questo comportamento è
considerato un precursore della paura e non un vero e proprio stato emotivo di paura, in quanto si pensa
che l'oggetto-stimolo scateni nel bambino una reazione negativa che è più provocata dal fatto che il
bambino si concentra per un tempo prolungato restando quasi immobile che non per il fatto che
l'oggetto fa "paura" al bambino a causa delle sue caratteristiche. In altre parole non ci sarebbe ancora
una vera e propria paura di qualcosa di esterno.
III. A partire dai 3-4 mesi, comparirebbero le emozioni vere e proprie: piacere, rabbia, disappunto,
circospezione. Si tratterebbe di emozioni basate su azioni del soggetto centrate sul mondo esterno (per
cui, ad esempio, il bambino prova piacere perché riesce a prendere un oggetto oppure disappunto
perché i suoi tentativi falliscono).
IV. Il quarto stadio sarebbe caratterizzato da una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni, quali la
paura, la gioia, la collera e la sorpresa.
V. Nel quinto stadio, caratterizzato dall'attaccamento, le emozioni si fanno più "raffinate", più graduate.
Sono inoltre presenti ambivalenze e configurazioni di emozioni.
VI. Il sesto stadio dello sviluppo delle emozioni è caratterizzato, come avviene anche a livello cognitivo, da
sperimentazione a livello affettivo ed emotivo (tra attaccamento e autonomia). Esso sarebbe
caratterizzato dalle emozioni di esultanza, ansia, umore irato e petulanza.
Dopo i 18 mesi di vita, infine, apparirebbero altre emozioni, quali affetto per se stessi, vergogna,
opposizione e, più tardi, orgoglio, amore, far del male intenzionale e colpa.il
La teoria differenziale
Contrariamente a quanto sostenuto dalla prospettiva sopra presentata, secondo gli studiosi che aderiscono
all'approccio differenziale, la comparsa di un'espressione facciale chiaramente riconoscibile indica la
presenza dell'emozione corrispondente. Le emozioni primarie sarebbero quindi già presenti alla nascita o
farebbero la loro comparsa nei mesi successivi secondo un ordine determinato geneticamente. La teoria
differenziale, pertanto, si caratterizza per la determinante importanza attribuita alle componenti innate. Si
suppone in particolare che ogni emozione primaria sia universalmente predeterminata nelle sue
caratteristiche, che ogni emozione abbia caratteristiche peculiari non riconducibili a una differenziazione da
altre emozioni, che le emozioni compaiano «al momento opportuno», cioè quando assumono un valore
adattivo, su base maturazionale. L'apprendimento, lo sviluppo cognitivo e quello sociale determinerebbero
quali possono essere le situazioni che scatenano le emozioni primarie (che possono dare luogo a
configurazioni di emozioni), come esse possano essere controllate e il significato che esse acquisiscono nel
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contesto generale dello sviluppo della personalità, ma non sul tempo di comparsa e la loro «natura»,
determinati solo da aspetti maturazionali. Secondo questa teoria ci sono tre livelli di sviluppo:
I. Il primo (primi 2-3 mesi di vita) sarebbe caratterizzato da esperienze sensoriali-affettive, con
espressione delle emozioni (su base innata) per comunicare i bisogni e per la formazione del legame
madre- bambino. Si tratterebbe di emozioni di interesse, sconforto, tristezza, sorriso endogeno,
trasalimento e disgusto.
II. A un secondo livello (dai 3-4 mesi circa), caratterizzato da processi percettivo-affettivi, il bambino
presta particolare attenzione agli elementi del mondo esterno. Appaiono il sorriso sociale, la gioia, la
sorpresa, la collera e la paura.
III. Dai 9 mesi circa (terzo livello, caratterizzato da processi cognitivo- affettivi), un notevole progresso nella
consapevolezza di sé e del proprio agire è accompagnato dall'emergere di ulteriori emozioni, come
quelle di timidezza, colpa e disprezzo.
Lo sviluppo delle emozioni sociali (emozioni autocoscienti)
Un aspetto particolarmente interessante dello sviluppo emotivo riguarda la comparsa delle emozioni sociali
(dette anche autocoscienti). Durante il secondo anno di vita, con lo sviluppo della capacità di ricordare e
prevedere, compaiono le emozioni che richiedono un confronto tra una situazione presente e una passata,
che viene rievocata o futura che viene prevista. Questo porta, da un lato, a un allargamento della gamma di
situazioni in cui il bambino esperisce le emozioni fondamentali (ad esempio, la gioia viene sempre più
spesso associata alla riuscita di un'azione, mentre il dispiacere e la frustrazione al suo fallimento). Dall'altro
lato, con la comparsa della consapevolezza di sé emergono le vere e proprie emozioni autocoscienti, che
comprendono l'imbarazzo, l'invidia e la gelosia. Si tratta di stati emotivi che richiedono che si rivolga
l'attenzione su se stessi, esponendo il proprio Sé allo sguardo proprio o altrui.
La forma più evoluta e complessa di emozioni sociali è quella delle «emozioni autocoscienti valutative»,
come l'orgoglio, il senso di colpa e la vergogna. Queste, infatti, sono emozioni originate da un confronto tra
un proprio comportamento e delle norme sociali. Le emozioni autovalutative e i relativi comportamenti di
autoregolazione compaiono nella maggioranza dei bambini verso i 2 anni e mezzo.
La competenza emotiva
➢
Il concetto di «competenza emotiva» si riferisce alla natura adattiva delle emozioni e ha diverse
sovrapposizioni con quello di «intelligenza emotiva». Esistono una serie di abilità che possono rientrare nel
concetto di competenza emotiva. Tra queste vi sono, ad esempio:
➔ la consapevolezza dei propri stati emotivi (ad esempio, essere in grado di differenziare tra due emozioni
simili, come ansia e paura);
➔ la capacità di riconoscere le emozioni altrui (ad esempio, riconoscendo i segnali non verbali legati
all'espressione di un'emozione, come l'espressione del volto, e attribuendo ad essi il corretto significato);
➔ la conoscenza di un lessico emotivo ampio e adeguato a descrivere i diversi stati emozionali che
possono essere esperiti;
➔ la comprensione della differenza tra l'emozione internamente esperita