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FATTORI DI PROTEZIONE/RISCHIO ASSOCIATI AI GENITORI AFFIDATARI:
Motivazione all’affido è importante che i genitori siano realmente disponibili ad accogliere e prendersi cura di un
→
bambino in difficoltà e contemporaneamente a sostenere la sua famiglia naturale; l’esito positivo dell’affido sembra
associato a ideali fondati su valori religiosi e di solidarietà. In riferimento a motivazioni non autentiche, la letteratura
evidenzia come molte famiglie che si candidano all’affido nascondano un desiderio adottivo. È sconsigliabile riferirsi a
queste famiglie per l’affido, poiché i presupposti dei due percorsi sono molto diversi; il rischio è che la famiglia affidataria
perda di vista l’esigenza del minore in affido e la logica del sostegno temporaneo alla famiglia in difficoltà, a favore delle
proprie esigenze di affiliazione (schierandosi contro la famiglia di origine). In alcuni casi i servizi fanno comunque ricorso a
queste famiglie; in questi casi bisognerebbe non colludere con l’aspettativa adottiva della coppia proponendo anche
bambini di età e sesso diverso da quelli auspicati, oppure bambini con preciso progetto di rientro a breve termine nel
proprio nucleo, che debbano mantenere rapporti frequenti con i genitori naturali
Competenze genitoriali gli studi sottolineano l’importanza di un atteggiamento sensibile e responsivo, fondato
→
sull’accettazione del bambino e su interazioni coerenti e autorevoli, che consentano lo stabilirsi di un attaccamento
sicuro. Esiste ad esempio una connessione tra pratiche educative dei genitori affidatari e lo sviluppo di aggressività nel
bambino affidato.
Caratteristiche strutturali della famiglia è importante che la famiglia affidataria sia solidale, o quanto meno non ostile,
→
nei confronti della famiglia d’origine del bambino, cercando di aiutarla a recuperare le capacità per riaccogliere il proprio
bambino. Il bambino stesso sente l’esigenza di mantenere questo duplice legame d’appartenenza e la stessa legislazione
sull’affidamento ne sottolinea il valore essenziale. Greco e Iafrate (2002) hanno condotto una ricerca sul ruolo
complementare delle famiglie affidatarie rispetto a quelle naturali, mettendo in luce le rappresentazioni reciproche delle
due famiglie. La famiglia affidataria si percepisce in tre modi: solidale verso la famiglia naturale, distante oppure ostile,
mentre la famiglia naturale in modo simmetrico vede la famiglia affidataria come accogliente, ambivalente, oppure ostile.
Dalla ricerca emerge che il sentimento di solidarietà della famiglia affidataria verso la famiglia naturale e il rispetto per il 19
legame tra il bambino e i propri genitori influisce sul benessere psicologico del bambino e in modo particolare sulla sua
autostima. La letteratura sottolinea l’importanza di prestare attenzione alla eventuale presenza di figli biologici nella
famiglia affidataria; occorre valutare la posizione che il minore ricoprirà nella fratria. Poi è necessario coinvolgere i figli
biologici dei genitori affidatari nel progetto di affido. I servizi sociali devono valutare anche il loro punto di vista in merito
e di prepararli ad accogliere il nuovo arrivato, in modo che possano diventare ulteriori risorse per la riuscita del progetto
di affidamento.
Gli operatori dei servizi sociali sono il punto di riferimento per tutti i protagonisti della vicenda. Il servizio sociale locale, l’ente
gestore degli interventi assistenziali, ha il compito di disporre l’affidamento, di vigilare ed è tenuto a fornire al tribunale per i
minorenni una relazione semestrale sull’andamento del programma di assistenza (durata, evoluzione delle condizioni di difficoltà
del nucleo familiare di provenienza). Inoltre il servizio sociale svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti
con la famiglia di provenienza e il rientro nella stessa del minore, avvalendosi anche di altre strutture del territorio. I servizi devono
preparare e sostenere entrambe le famiglie durante l’intero periodo dell’affidamento e nel momento del ricongiungimento del
bambino con i suoi genitori. La ricerca empirica evidenzia la necessità di considerare la famiglia affidataria come un’estensione e
non come sostituto della famiglia naturale del bambino, come un elemento della rete, una risorsa nel percorso di recupero e
risoluzione delle difficoltà della famiglia naturale. Il sostegno continuativo, attuato attraverso visite domiciliari nelle famiglie di
origine, attività di sostegno a favore delle famiglie affidatarie e incontri settimanali tra i due nuclei familiari, si dimostra una risorsa
importante per l’andamento dell’affidamento.
LA CONCLUSIONE DELL’AFFIDAMENTO
L’affidamento è un provvedimento temporaneo. La normativa italiana sottolinea che deve essere indicato il periodo di presumibile
durata dell’affidamento, che deve essere rapportato agli interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Il periodo non può
superare 24 mesi, ma è prorogabile da Tribunale per i minorenni quando la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al
minore.
Assume grande importanza la fase di conclusione del progetto d’affido e della riunificazione del minore con la propria famiglia. La
letteratura concorda sulla necessità di valutare il momento più opportuno per il rientro a casa del bambino. Esso non dovrebbe
essere forzato dal tribunale o dagli operatori, poiché una riunificazione precoce potrebbe comportare un rischio maggiore di
fallimento. La stabilità della collocazione in affido è un fattore determinante; l’instabilità dell’affido come cambiamenti continui da
una famiglia all’altra, sono frequentemente associati con una maggiore presenza di problemi psicologici.
JONES (1998) ha esaminato il rientro in famiglia di 445 bambini alla conclusione dell’affidamento. Ha verificato 3 tipologie di rientro
nelle famiglie di origine:
Rientro con successo con nessun caso di abuso o trascuratezza rilevato dopo i 9 mesi
→
a. Rientro con successo ma al limite con una ricaduta ma senza un ritorno in affido
→
b. Rientro fallito casi che rientrano in affido
→
c.
Queste 3 tipologie sono state studiate in relazione alla struttura e composizione della famiglia naturale, allo stato socio-economico,
al tipo di maltrattamento agito sul bambino e alle caratteristiche psicologiche dei genitori. Dai dati emerge che il fallimento del
rientro in famiglia è dovuto a tre condizioni principali: lo stato di povertà e la deprivazione economica ancora presente nel nucleo
originario, i persistenti problemi di salute o di comportamento del bambino che i genitori naturali non riescono a gestire, la scarsa
capacità di sostegno e supporto emotivo ed economico offerto alle famiglie naturali durante il periodo dell’affido.
Possiamo quindi sottolineare l’importanza del supporto continuativo che i servizi dovrebbero offrire alle famiglie d’origine, sia
durante il periodo di affidamento sia dopo il rientro a casa del bambino, per aiutarle a risolvere i problemi che hanno motivato il
provvedimento di allontanamento e affido.
L’AFFIDO COME STRUMENTO DI TUTELA
Sottovalutare alcuni fattori può influenzare negativamente l’efficacia dell’affidamento, che resta comunque un provvedimento con
alto valore di tutela rispetto all’adattamento nella vita adulta di bambini in difficoltà.
Lo studio del Centro di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza di Firenze (2002) mostra dati relativi all’esito
dell’affidamento sottolineandone la valenza molto positiva (al momento della conclusione dell’affido sia etero che intrafamiliare
una buona percentuale di bambini non presentavano più problemi comportamentali, altrettanti hanno mostrato un notevole
miglioramento, alcuni sono rimasti stazionari e solo una bassa percentuale ha presentato un peggioramento). A sostegno di questi
dati anche uno studio di follow-up ha evidenziato gli effetti terapeutici (ad esempio, una grande percentuale di bambini con
esperienza di affido è stato poi in grado di integrarsi perfettamente a livello sociale).
20
CONCLUSIONI
Alcune problematiche presenti nei bambini, come comportamenti aggressivi e difficoltà relazionali o scolastiche, spesso possono
mettere a rischio il percorso di affidamento, poiché rendono difficile la relazione con i nuovi genitori, che vedono deluse le proprie
aspettative e sentono il fallimento dei propri tentativi di compensare le carenze del bambino.
La letteratura sulle conseguenze psicologiche di gravi esperienze sottolinea come una storia di abuso sessuale comprometta lo
sviluppo della fiducia negli altri, l’immagine di sé, la regolazione emotiva e quindi costituisca una condizione di rischio anche per
l’esperienza di affidamento.
Questi elementi di rischio, tuttavia, possono essere arginati se intervengono fattori protettivi come relazioni positive stabili con altri
adulti significativi. Un altro elemento da valutare è la condizione della madre naturale – es. presenza di fattori di rischio come
tossicodipendenza, precarietà economica, storia personale travagliata. La famiglia affidataria può presentare dei fattori di rischio,
come nutrire delle aspettative pseudo-adottive che possono ostacolare un corretto rapporto con il nucleo d’origine del minore e
determinare la creazione di un duplice legame di appartenenza del bambino con le due famiglie. L’appoggio psicologico
specialistico al bambino e il monitoraggio dei servizi possono contribuire a un miglioramento della condizione psicologica. 21
6°La genitorialità adattiva – “Tra rischio e protezione”
LA GENITORIALITÀ ADOTTIVA: UNA SFIDA?
L’adozione permette a una coppia di genitori e a un bambino di diventare una famiglia adottiva; è una transizione familiare
rischiosa, ossia un bivio: può essere occasione di crescita per tutti i membri ma può provocare anche una stagnazione, l’instaurarsi
di modalità relazionali disfunzionali fino alla comparsa di comportamenti sintomatici o all’espulsione del minore.
È possibile, infatti, incontrare diversi ostacoli che rendono difficile e complessa la costruzione del legame adottivo, il cui esito non
sempre è positivo, con la messa in gioco di molteplici dinamiche e sfide per tutti i protagonisti coinvolti: il bambino adottato, la
famiglia naturale che spesso reclama il figlio oppure avendolo abbandonato, la famiglia adottiva e i servizi coinvolti, che devono
gestire situazioni complesse. È frequente che alcune coppie adottive, a causa delle diverse difficoltà che si presentano nel rapporto
con il bambino e a livello personale, fatichino a portare a buon fine il percorso adottivo che nei casi peggiori si risolve in una
restituzione del bambino. In diverse situazioni i genitori non sono a