ORGANIZZAZIONI”
Le teorie motivazionaliste considerano l’organizzazione come contesto in cui
l’individuo ricerca il soddisfacimento dei propri bisogni, spostando l’attenzione
dalle sole esigenze organizzative a quelle soggettive. La teoria di Maslow, pur
criticata per la rigidità gerarchica dei bisogni, ha evidenziato come le
organizzazioni burocratiche tendano a soddisfare solo bisogni di livello basso,
stimolando la ricerca di modelli che integrino bisogni individuali e obiettivi
organizzativi. I bisogni e la motivazione non sono statici ma mutano nel tempo
in relazione all’età, alle esperienze e alla permanenza nell’organizzazione.
Argyris sottolinea il divario tra esigenze individuali e organizzative, che può
generare frustrazione, conflitto o fuga, proponendo gruppi informali e spazi
autogestiti come strumenti di riequilibrio. La motivazione nasce nello spazio
relazionale tra soggetto e organizzazione ed è sostenuta da aree quali
gestione, sviluppo, ruolo e relazioni. Quaglino distingue tra motivazione al
lavoro e motivazione in organizzazione, evidenziandone temporalità, instabilità
e difficoltà di misurazione. La motivazione può essere trattata come vincolo da
controllare o come opportunità da sviluppare dialogicamente, con effetti
opposti su fiducia e coinvolgimento. Crozier collega la motivazione alla
possibilità di ricompense proporzionate allo sforzo, evidenziando l’effetto
demotivante dei modelli burocratici. Si distinguono infine motivazione
estrinseca, legata a ricompense tangibili, e motivazione intrinseca, fondata sui
significati, sull’interesse e sulla crescita personale.
STRUMENTI A DISPOSIZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE PER IL SODDISFACIMENTO DELLA SCALA
DEI BISOGNI DI MASLOW
“BENESSERE E MALESSERE ORGANIZZATIVO”
La percezione che l’individuo ha dell’ambiente organizzativo e i significati che
vi attribuisce incidono profondamente sugli aspetti soggettivi dello stare
nell’organizzazione, potendo orientarsi verso esiti di benessere o malessere.
L’attenzione a tali aspetti nasce con gli studi di Mayo e la scuola delle Relazioni
umane, che valorizzano il fattore umano e le dinamiche informali, e si sviluppa
progressivamente fino all’attuale interesse per il benessere organizzativo.
Benessere e malessere derivano dagli stessi fattori: se realizzati positivamente
generano condizioni favorevoli, se falliscono producono disagio. Gli aspetti
soggettivi sono difficilmente riducibili a parametri rigidi, ma presentano alcune
ricorrenze. Avallone e Bonaretti definiscono il benessere organizzativo come
l’insieme di nuclei culturali, processi e pratiche che promuovono e migliorano la
qualità della vita e il benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità
lavorative, individuando nei contesti pubblici alcune caratteristiche
fondamentali:
confortevolezza e salubrità dell’ambiente lavorativo;
obiettivi espliciti e coerenza tra obiettivi e prassi operative, con strategie
chiare e stile direzionale coerente;
riconoscimento e valorizzazione delle potenzialità dei dipendenti;
ascolto delle istanze dei dipendenti;
valorizzazione di un ambiente relazionale sincero e comunicativo;
equità nel trattamento del personale, in particolare nell’assegnazione di
responsabilità e promozioni.
L’attenzione non è rivolta a definizioni univoche o indicatori universali, ma
all’individuazione di elementi che influenzano positivamente o negativamente
lo stare dell’individuo nelle organizzazioni. Molti contesti organizzativi non
riescono tuttavia a configurarsi come ambienti positivi, generando un diffuso
senso di malessere. Le dinamiche di appartenenza e la relazione fiduciaria tra
individuo e organizzazione rappresentano potenziali fattori di benessere, ma se
non soddisfacenti alimentano scontento e disaffiliazione. Un comportamento
diffuso è la difesa dall’ansia e dall’incertezza, che può portare a meccanismi di
resistenza e disimpegno. Gli studi psicodinamici individuano fonti di ansia nella
gestione dei confini organizzativi poco chiari, nelle modalità di esercizio del
potere e nelle relazioni con i superiori, nonché nelle dinamiche di ruolo, legate
a inadeguatezza percepita, ambiguità o funzione difensiva del ruolo stesso. Il
malessere è raramente riconducibile solo a fattori economici, ma soprattutto a
dimensioni relazionali e motivazionali. Un elemento centrale per il benessere è
la comunicazione, intesa come processo circolare con feedback, fondamentale
per i processi di appartenenza e cittadinanza organizzativa. Accanto
all’organigramma formale esiste una rete comunicativa informale che spesso
ne costituisce la chiave di lettura. Processi comunicativi chiari favoriscono
comprensione, motivazione e soddisfazione, riducendo i fraintendimenti. La
valorizzazione dell’ascolto attivo da parte dei vertici, fondata sulla fiducia, il
riconoscimento del valore del contributo individuale, la chiarezza comunicativa
e la percezione di contesti empowering costituiscono fattori decisivi di
benessere o malessere organizzativo.
“L’EMPOWERMENT ORGANIZZATIVO”
Il concetto di empowerment nasce nella psicologia di comunità e si diffonde
successivamente in altre discipline, trovando particolare applicazione nelle
teorie organizzative, soprattutto negli studi sul management e sulla gestione
del personale. L’empowerment presuppone che la crescita e lo sviluppo
dell’organizzazione siano inseparabili dalla crescita e dallo sviluppo personale
delle persone che la compongono, introducendo una prospettiva alternativa
alle logiche lineari dei processi produttivi. Esso rappresenta una nuova
modalità di pensare l’impresa, le relazioni di lavoro, il ruolo del dipendente e la
leadership, incidendo profondamente sul management tradizionale.
L’empowerment organizzativo è strettamente legato alla sicurezza psicologica
percepita dall’individuo, intesa come sensazione di essere valorizzato e libero
di esprimersi in modo creativo, più che come sicurezza economica o
occupazionale. Ambienti di lavoro che favoriscono la valorizzazione e il
contributo attivo delle persone producono effetti positivi sul benessere
organizzativo, sull’empowerment individuale e su quello dell’intera
organizzazione. In contrapposizione, la condizione di disempowerment si
manifesta attraverso rabbia e aggressività, scarso ascolto di sé e degli altri,
atteggiamenti manipolatori e non sinceri, sfiducia, dipendenza, ricerca continua
dell’approvazione dei superiori e passività. Piccardo evidenzia la distanza tra un
sistema organizzativo emancipante e uno burocratico-gerarchico-paternalistico,
fondato su dipendenza, protezione, cautela e bisogno di approvazione,
sottolineando come il passaggio tra i due richieda una revisione del sistema di
potere. La percezione di “potercela fare” e di contribuire positivamente
all’organizzazione implica infatti un trasferimento di potere verso chi ne
possiede meno, processo complesso e non sempre agevole. L’empowerment si
configura così come un costrutto relazionale, che si sviluppa attraverso il
sostegno, il feedback e l’interazione dialogica.
CARATTERISTICHE DELL’ESPERIENZA DI LAVORO EMPOWERING
CAPITOLO 4
“IL MIGLIORAMENTO QUALITATIVO NELLE
ORGANIZZAZIONI DI SERVIZI ALLA PERSONA”
“MIGLIORARE L’ORGANIZZAZIONE SAPENDO
CAMBIARE”
Diversi approcci affrontano il tema del miglioramento organizzativo, spesso con
eccesso di enfasi e retorica, basandosi su strumenti e metodiche le cui
potenzialità non sono sempre provate e generando aspettative spesso deluse.
Il miglioramento e l'innovazione richiedono il tema generale
dell'apprendimento, poiché migliorare implica capacità di cambiare e riflettere
su prassi consolidate. I cambiamenti devono sostituire assunti obsoleti e
favorire processi di sensemaking, considerando anche le potenzialità di
cambiamento presenti nella routine, negli spazi di incertezza e nelle
connessioni lasche dell'organizzazione. Tentativi di ridurre ambiguità e lasco
rischiano di irrigidire l’organizzazione, mentre il lasco va gestito come risorsa di
apprendimento e resilienza, intesa come capacità di adattarsi agli eventi
disturbanti, apprendere dall’esperienza e dagli errori, e favorire
autocambiamento.
Le organizzazioni di servizi alla persona sono caratterizzate da complessità,
immaterialità dell’oggetto di lavoro, eterogeneità delle competenze e
connessioni lasche tra mezzi e fini, problemi e soluzioni, attori e compiti.
Queste connessioni lasche permettono coesione limitata ma flessibile, aprendo
possibilità di cambiamento. Il primo passo per introdurre miglioramento è
accettare questa natura dell’organizzazione, evitando modelli rigidi o
ingegneria istituzionale, poiché le potenzialità di cambiamento sono
connaturate all’organizzazione stessa.
Il cambiamento è difficoltoso per l’inerzia organizzativa, dovuta a pluralità di
scambi che annullano i vettori di cambiamento, imprinting strutturale e
culturale che favorisce coerenza interna, e processi di istituzionalizzazione che
rafforzano lo status quo. La cultura organizzativa è un’arma a doppio taglio:
favorisce soluzioni efficaci ma limita l’individuazione di nuove soluzioni.
L’inerzia non è patologica ma esprime l’ambivalenza organizzativa, necessaria
per continuità, economia di risorse e perseguimento di interessi autonomi, che
costituiscono risorse preziose se gestite consapevolmente.
Le pressioni al cambiamento sono ovunque, ma le risposte tecniche immediate
falliscono spesso per difficoltà interne: integrazione dei diversi apporti, approcci
settoriali, confusione di linguaggi e culture professionali, incertezze dei leader.
Spesso i progetti si basano su mode generiche, distanti dalle reali
problematiche. Il cambiamento organizzativo determina e monitora la
trasformazione del "sistema operativo", che emerge dall’interazione tra
progettazione manageriale/istituzionale e pratiche effettive dei membri. Il
sistema operativo comprende la struttura formale e informale, risultando
simultaneamente risorsa e vincolo per il cambiamento, e il successo dipende
dalla capacità di promuovere apprendimento di competenze cognitive e
relazionali.
Il progetto di cambiamento non trasforma direttamente il sistema operativo:
esso apre nuove possibilità di azione, ma i membri accetteranno i cambiamenti
solo se coerenti con la loro prospettiva, interessi e gestione delle
interdipendenze. Tra progetto e sistema operativo esis
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