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“MODELLI TEORICO-OPERATIVI PER IL LAVORO CON I

GRUPPI”

Il lavoro con i gruppi nel servizio sociale è centrale, soprattutto nei servizi

territoriali, ma va distinto dalla semplice partecipazione a riunioni. Il lavoro con

i gruppi riguarda gruppi stabili, con programmi e attività periodiche, strutture

definite e processi di crescita sia individuale sia collettiva.

I gruppi si distinguono in:

Gruppi orientati alla crescita delle persone: focalizzati su sostegno, aiuto

 e sviluppo della personalità dei membri;

Gruppi orientati al compito: finalizzati a realizzare progetti, gestire

 compiti organizzativi e ottenere risultati concreti.

Teoricamente, il lavoro di gruppo è stato studiato attraverso modelli teorico-

operativi, che guidano l’azione dell’assistente sociale in base agli obiettivi, alle

conoscenze teoriche e ai procedimenti metodologici. Questi modelli, pur con

sfumature diverse, si concentrano su tre principali filoni di pensiero derivanti

dallo sviluppo storico del servizio sociale di gruppo.

Modello di lavoro di gruppo per “fini sociali”

Negli anni venti in America il lavoro con i gruppi mirava soprattutto a usare il

piccolo gruppo come strumento di sviluppo democratico, promuovendo una

cittadinanza responsabile e creativa. La personalità dei membri si sviluppava

attraverso attività di gruppo finalizzate alla soluzione di problemi sociali e alla

crescita individuale, con un equilibrio tra sviluppo personale e fini sociali.

Questo orientamento, noto come modello scientifico, del problem solving o dei

fini sociali, si rifà alle idee di Dewey e all’approccio umanistico, considerando

l’uomo portatore di potenzialità capace di trasformare il proprio contesto

ecologico. I gruppi diventano così contesti per apprendere, collaborare,

assumersi responsabilità, fare scelte e sviluppare autonomia.

L’assistente sociale funge da facilitatore, supportando il gruppo

nell’acquisizione di consapevolezza, partecipazione, coesione, capacità

decisionali e gestione dei compiti. I gruppi utilizzati sono prevalentemente

gruppi di pari o già costituiti, con obiettivi multipli: maturazione dei membri,

sviluppo del gruppo come entità funzionale e promozione della partecipazione,

della democrazia e della cittadinanza. Talvolta vi si aggiungono obiettivi di

socializzazione, apprendimento ed esperienze positive ricreative o culturali.

Modello per il lavoro di gruppo “terapeutico”

Il modello "medico" o "riparativo" nel lavoro con i gruppi ha come obiettivo

principale il trattamento terapeutico o la riabilitazione dei membri,

focalizzandosi sulle disfunzioni individuali nelle relazioni interpersonali,

nell’assunzione dei ruoli sociali e nella gestione dello stress, in ultima analisi sul

miglioramento del funzionamento sociale complessivo.

Questo approccio si sviluppò negli anni trenta, legandosi al servizio sociale

individuale e agli orientamenti psicoanalitici, con esperienze in ambienti

specializzati come cliniche pediatriche, scuole speciali e istituti penali. I gruppi

sono formati dall’assistente sociale sulla base di una diagnosi individuale, dopo

colloqui volti a spiegare la scelta del gruppo e motivare la partecipazione attiva

dei membri.

L’assistente sociale agisce come agente di cambiamento e terapeuta, spesso in

modo direttivo, gestendo processi di identificazione, transfert, controtransfert e

resistenze, e utilizzando la conoscenza della dinamica dei piccoli gruppi per

favorire il cambiamento comportamentale dei membri.

In questo modello, lo sviluppo del gruppo in sé o il raggiungimento di fini sociali

non è rilevante; tuttavia, possono essere assegnati "compiti a casa" per

rinforzare i cambiamenti comportamentali nel contesto ambientale. Il lavoro di

gruppo può integrare l’intervento individuale e l’assistente sociale può

collaborare con altri professionisti nella conduzione di attività terapeutiche.

Modello di lavoro di gruppo “interazionista”

Negli anni settanta e ottanta emerge un terzo modello di lavoro con i gruppi,

detto sistemico, interazionista o reciprocal, basato sull’idea di un rapporto

organico e interdipendente tra individuo e società. Il piccolo gruppo diventa il

contesto in cui si sviluppano e si media le capacità personali e sociali, e gli

obiettivi non sono prefissati dall’assistente sociale o dai membri, ma si

definiscono via via attraverso le relazioni reciproche dei partecipanti.

I membri sono valutati soprattutto in base alla capacità di reciprocità,

interrelazione e consenso verso gli obiettivi del gruppo. L’assistente sociale

assume una posizione di interdipendenza con i membri, agendo come

mediatore e facilitatore dei processi, promuovendo la negoziazione dei ruoli e

la responsabilizzazione del gruppo, considerato utente collettivo.

Il lavoro si realizza qui e ora, attraverso fasi strutturate di problem solving,

assegnazione di compiti, valutazione e conclusione. Le basi teoriche includono

la teoria sistemica, la teoria del campo di Lewin e le teorie psicosociali della

personalità. I gruppi coinvolti sono spesso già costituiti, formali o informali,

come gruppi di auto-aiuto o utenti che intendono mediare con istituzioni.

Questo approccio ha stretti legami con il lavoro di comunità, pur escludendo i

gruppi istituzionali decisionali, e si concentra sul rafforzamento della capacità

del gruppo di interagire con sistemi più ampi. L’uso del modello con le famiglie

è meno sviluppato; le applicazioni della terapia familiare o sistemica nel

servizio sociale sono ancora sperimentali e richiedono cautela per non

compromettere valori fondamentali come rispetto, autodeterminazione e

riservatezza.

“MODELLI TEORICO-OPERATIVI PER IL SERVIZIO

SOCIALE DI COMUNITÀ”

Il servizio sociale considera da sempre l’ambiente come contesto in cui

emergono i bisogni degli utenti e dove risiedono risorse per soddisfarli. Fin dalle

origini nelle Charity Organization Societies inglesi e americane dei primi del

Novecento, l’obiettivo è stato sia aiutare il singolo mobilitando risorse

istituzionali e comunitarie, sia promuovere la disponibilità e accessibilità di tali

risorse attraverso sensibilizzazione, coordinamento e partecipazione degli

utenti.

Il lavoro professionale si è sviluppato in due filoni: funzioni di pianificazione

sociale e integrazione di risorse (settlement centers) e funzioni di rapporto con

la popolazione per creare legami di solidarietà e azione sociale (neighborhood

centers). Negli anni Trenta il lavoro con la comunità è stato riconosciuto come

metodo specifico del servizio sociale, dando origine a modelli teorico-operativi

diversi in base agli obiettivi e agli interlocutori.

I modelli americani degli anni Ottanta distinguono quelli orientati alla

popolazione: community liason (reti di solidarietà), community development

(sviluppo della comunità), community social action (pressione politica per

gruppi emarginati); e quelli orientati alle istituzioni: community planning and

organization (partecipazione alla progettazione di interventi) e community care

(lavoro con organizzazioni per servizi integrati). La riflessione inglese distingue

tra lavoro centrato sui servizi e lavoro centrato sui residenti.

Nella pratica, l’assistente sociale integra entrambe le dimensioni, mantenendo

relazioni con istituzioni per ottenere risorse e con la popolazione per sviluppare

reti di solidarietà e gruppi di mutuo aiuto. L’approccio ecologico-sistemico

rafforza questo orientamento, considerando la comunità come parte integrante

del sistema-cliente o come utente collettivo per affrontare problemi generali.

L’obiettivo finale è promuovere una welfare community, capace di rispondere ai

bisogni senza dipendere esclusivamente dagli interventi pubblici, realizzando

un welfare mix integrato di servizi pubblici e privati. In questa prospettiva, il

lavoro con la comunità è oggi considerato una dimensione multidimensionale e

generalista del servizio sociale, più che una tipologia operativa specifica.

Modello “sviluppo di comunità”

Il modello di sviluppo di comunità (community development) mira a rendere la

comunità capace di prendere coscienza dei propri problemi e di mobilitarsi per

risolverli. L’assistente sociale promuove la partecipazione e il coinvolgimento

dei singoli e dei gruppi, valorizzando il contesto sociale come fonte di risorse e

di auto-aiuto (empowerment).

L’obiettivo principale è l’autodeterminazione del singolo nella comunità e della

comunità stessa, attraverso azioni di coordinamento, negoziazione,

integrazione delle risorse, promozione di gruppi di auto-aiuto, volontariato e

reti di solidarietà. Il modello si basa sul gruppo orientato al compito come

strumento operativo per pianificare e gestire iniziative collettive.

Le basi teoriche comprendono psicologia sociale (psicologia dei gruppi e della

comunità), pedagogia sociale (coscientizzazione), sociologia del territorio

(analisi delle mappe di potere e dei legami istituzionali) e antropologia culturale

(valutazione delle caratteristiche specifiche di ogni comunità).

Il modello integra concetti del precedente approccio di azione sociale,

sostenendo i gruppi più svantaggiati affinché possano partecipare in modo

democratico, acquisire competenze, credibilità e prestigio, e proteggere i propri

diritti. L’assistente sociale agisce quindi come educatore, promotore di risorse,

animatore e canalizzatore dell’apatia o del malcontento in iniziative costruttive.

L’intervento è sempre legittimato da un mandato istituzionale: l’assistente

sociale opera come professionista del servizio pubblico o privato, non come

cittadino, e il suo ruolo di advocacy deve essere riconosciuto dall’ente. Il

modello punta a sviluppare un processo di empowerment della comunità e dei

gruppi, valorizzando il potere tecnico e istituzionale dell’operatore al servizio

degli utenti.

Per realizzare efficacemente questo approccio, l’assistente sociale deve

conoscere la struttura di potere della comunità, saper individuare elementi di

cambiamento basati su valori e motivazioni dei membri, e applicare strumenti

teorici provenienti da pedagogia sociale, animazione, educazione degli adulti,

psicologia e sociologia dei gruppi e della comunità.

Modello “community care”

Il modello di community care si concentra sulla costruzione di legami di

solidarietà sociale e sullo sviluppo di reti sociali, ispirandosi all’approccio

ecologico-sistemico ed esistenziale. L’intervento agisce sul micro-

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Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Delfyfefe di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Principi, fondamenti e organizzazione del servizio sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof Spagnolo Maria Chiara.
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