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Per quanto riguarda il mandato della scuola, è importante analizzare prima quelle che sono le posizioni
filosofiche e teoriche che configurano la prospettiva di Massa. Ha una formazione fortemente implicita nella
pedagogia marxista, per cui il ruolo fondamentale della scuola si configura nella possibilità di costruire una
società democratica, basata sul diritto di ciascuno di poter conoscere e istruirsi come elementi di
emancipazione. Queste posizioni tendono a interpretare il mandato della scuola come un mandato
istituzionale, ma il dibattito su cui si concentra Massa riguarda proprio il mandato educativo o istituzionale
della scuola. Educare o istruire è per Massa un falso dilemma, ml posto, che non può essere risolto se non
restando in superficie, perché viene suscitato senza alcuna profondità teorica. In realtà, si tratta di un
dilemma ideologico che grava da tempo sulla tradizione pedagogica, di cui però non viene colta la
drammaticità. In quanto tale, è necessario prima di tutto riconoscere la densità e il rilievo di questo dilemma,
arretrando ai diversi significati etimologici del termine “educazione” e assumendo quest’ultimo come concetto
primitivo a cui rifarsi per cercare di risolvere questo dilemma.
Educazione deriva da educare, che significa nutrire, allevare. Ma per tanti deriva da educere, che significa
aiutare qualcuno a “tirare fuori” qualcosa già presente dentro di lui. In italiano la parola educazione
comprende entrambi questi significati.
Platone usa spesso i termini trofè e paideia, ovvero allevamento e educazione, ma per educazione si intende
la formazione umana, l’istruzione, intesa come l'insieme degli insegnamenti che rendono possibile l’accesso
si potrebbe tradurre trofè con “cura”, nel senso degli
alla verità delle cose. Al posto di allevamento
accudimenti fisici e morali verso chi cresce. Si giunge quindi all’insieme di cura e cultura. Il concetto di cura
è importante per l’esperienza educativa.
Effettuare un’analisi sintomale dei comportamenti dei ragazzi, dei vissuti degli insegnanti, dei risultati
scolastici e delle disfunzioni istituzionali, andando oltre i processi di semplificazione come la scissione tra
cognitivo e affettivo, permette di effettuare una ricostruzione pedagogica. Tra i vari sintomi vi sono la
sofferenza dei bambini e dei giovani, l’angoscia e la rabbia dei genitori, la frustrazione e la depressione degli
insegnanti... ma il grande sintomo è la psichiatrizzazione della situazione infantile, adolescenziale e giovanile,
che porta all’incitazione di operatori, medici, preti, psicologi a parlare dell’educazione extra-scolastica sotto
il segno della devianza, della malattia e del rischio sociale.
In risposta a questi sintomi, sono state date diverse risposte, tutte inadeguate. La prima è stata il cognitivismo
assoluto, per cui si intende l’eliminazione di ogni aspetto dell’esperienza scolastica che riguardi il versante
emotivo, per fare spazio ad un privilegio dogmatico. Altra risposta data è stata il didattismo docimologico, per
cui le procedure di istruzione sono basate sull’idea che si può imparare qualcosa solo sottoponendo il
processo di studio ad un autocontrollo continuo. Questo significa che per il didattismo docimologico al centro
c’è la valutazione come unico aspetto veramente essenziale dell’attività didattica. Altre risposte inadeguate
sono state il contenutismo, per cui il rinnovamento dei contenuti scolastici è la sola cosa che conta per
cambiare la scuola, lo scolasticismo, applicato in modo troppo insistito, lo statalismo e il centralismo, questi
ultimi due si sono diffusi maggiormente nell'Europa continentale del 19esimo secolo, configurandosi come
una missione di educare i propri giovani ad una visione unitari, di rendere i ragazzi del popolo docili e utili
per la produzione economica. Altro aspetto importante è l’importanza del rapporto scuola-famiglia, ignorato
dall’antifamilismo. La scuola deve essere nettamente distinta dal quartiere, dall’azienda o dalle altre agenzie
educative, ma non deve comunque essere rimossa la dialettica tra scuola e famiglia.
Tutte queste risposte, offerte dalla pedagogia ufficiale, in particolare dalla pedagogia di sinistra, alla crisi
della scuola, hanno lasciato indietro alcune dimensioni, da cui dipende la necessità e l’impossibilità di
cambiamento. Esempi di queste dimensioni residuali sono quella affettiva, quella soggettiva di chi insegna e
apprende, quella della quotidianità della vita scolastica. Si è sempre lasciata indietro la materialità specifica
della scuola che condiziona tutte queste dimensioni. Vanno compresi quindi i rapporti tra gli insegnanti, con
i genitori e con i ragazzi. Importante è anche la dimensione etnografica, per cui è necessario prendere in
considerazione il contesto in cui la scuola è inserita, perché produce una subcultura interna che si inserisce
nella cultura scolastica.
È a partire dall’etimologia della parola educare che la scuola si trova in questo dilemma tra educazione e
istruzione, qual è il suo mandato? Sembrerebbe che oggi educare sia esibire valori e istruire sia trasmettere
tecniche. In realtà non si tratta di un falso dilemma, ma di un sistema di opzioni che assumono valori di
posizione differenti a seconda di come, dove, quando, con chi e in che contesto si parla di formazione e
scuola.
La scuola deve trasmettere culture, deve fornire le capacità utili affinché un individuo possa fare della sua
formazione qualcosa di funzionale rispetto al mondo del lavoro. Per Massa una scuola che istruisce consente
anche di rielaborare da un punto di vista meta-cognitivo (capacità riflessiva che permette di elaborare le
conoscenze) ciò che ha a che fare con la vita sociale, oltre che culturale. Nessun'altra istituzione se non la
scuola può dare le capacità per questa rielaborazione.
Ovviamente la scuola deve anche educare. La scuola non deve educare nel senso di trasmettere principi e
valori morali, ma nel senso di lavorare sulle componenti emotive ed affettive. Deve lavorare su quegli
elementi che riguardano l’esperienza umana, che hanno a che fare con la vita, con le dimensioni materiali
dell’esperienza. Le questioni emotive ed affettive costituiscono dimensioni rimosse, cioè non trattate. D'altra
parte, un insegnate sollecitato su questo è tentato di dire che il suo compito è quello di insegnare, trasmettere
nozioni, dare gli strumenti affinché i ragazzi sappiano maneggiare i saperi, le conoscenze. Sostiene di non
potersi occupare dei loro problemi: questo è l’elemento su cui la prospettiva di Massa introduce una novità.
Per Massa ciò che caratterizza la scuola sono due elementi:
È una forma asimmetrica di interazione: c’è uno che sa e tanti che non sanno. L'interazione stabilisce
- un tipo di relazione che produce effetti sul come fare didattica;
- Elemento della valutazione, che costantemente si riproduce nei vari gradi scolastici. Ha una funzione
di tipo selettivo.
La scuola si regge su questi due elementi, ma è possibile una scuola che rimetta in gioco la questione del
prendersi cura delle dimensioni affettive ed emotive. Per Massa anche se la scuola non si occupa di queste
in quanto si configurano nel “sottobanco”, si generano in ogni
dimensioni, continuano ad essere presenti,
caso nell’esperienza scolastica e ignorarle significa rimuovere il problema.
Per Massa le dimensioni affettive e cognitive non andrebbero trattate solo dal punto di vista psicologico,
perché trattare queste questioni non è una prerogativa degli psicologi. Poiché queste dimensioni hanno a
che fare con l’esistenza umana, riguardano anche la formazione del soggetto, perché non è una formazione
solo della mente, ma anche del corpo. La scuola può prendersi cura di queste componenti rimettendo al
centro il corpo: la questione della corporeità per Massa è centrale, non può esistere un processo educativo
che non consideri questa questione. Il corpo non deve favorire in favore della mente, che è una sola parte di
esso. C'è al fondo anche una spiegazione scientifica: gli studi sullo sviluppo infantile dimostrano che il nostro
cervello si modifica in modo che progressivamente sviluppiamo capacità logiche e di astrazione che devono
essere sfruttate. Per questo bisogna puntare a quel periodo in cui il cervello ha una certa elasticità. Altre
teorie dicono che lavorare solo sulla testa produce anche effetti negativi.
Oltre a riportare al centro la corporeità, la scuola deve fare spazio all’elaborazione delle emozioni. Questo
non deve essere fatto solo dagli esperti, ma dovrebbe appartenere come dimensione al percorso formativo
della scuola. Questa è l’ipotesi di Massa, però gli insegnanti devono avere le competenze per affrontare
queste tematiche. Devono essere formati per farlo, non si può insegnare senza conoscenze riguardo alle
dimensioni pedagogiche, psicologiche con cui si avrà a che fare nella gestione di ragazzi. La scuola, anche
se è un luogo specifico separato dalla vita diffusa, è luogo di riproduzione delle contraddizioni del mondo,
della vita. Concretamente, deve quindi esistere una scuola di specializzazione per gli insegnanti, una “clinica
della formazione”. Questo nucleo si collega ad un altro, ovvero la capacità di costruire un setting di
insegnamento, pedagogico. La scuola tradizionale aveva un setting fortemente predefinito e
istituzionalizzato, così forte da confondersi con un apparato di tipo disciplinare. Deve quindi intervenire
l’insegnante capace, formato, per mettere in scena uno sfondo e un gioco relazionale funzionali alla
comunicazione didattica, nell’ambito di un’esperienza formativa.
Rispetto alle dimensioni residuali emergono nuclei irrisolti del dibattito sulla scuola e del destino della stessa.
Quello fondamentale è la ridefinizione del suo mandato istituzionale, del suo compito in proiezione futura. Il
l’acquisizione degli strumenti, dei concetti e delle conoscenze, ma le
mandato istituzionale deve riguardare
condizioni dell’insegnamento e dell’apprendimento comprendono anche variabili sociali e affettive da trattare.
Si può essere d’accordo sul fatto che la scuola deve istruire, ma non è importante solo il fine. Altri nuclei che
emergono infatti sono il codice comunicativo della scuola: la scuola sarebbe priva di un proprio codice
comunicativo, per cui richiederebbe il riferimento agli altri media simbolici, che devono essere tematizzati in
riferimento ad un codice pedagogico.
Tutti questi nuclei rimandano al nucleo portante di tutti questi aspetti: l’idea di dispositivo come sistema