Per favorire l’interazione tra soggetto e realtà è indispensabile che la proposta sia avvertita come
piacevole e stimolante dalle persone che, in caso contrario, difficilmente prenderebbero parte
all’iniziativa. Tuttavia questo non è garanzia che sia capace di dare vita a un processo educativo. Per
contro, un’esperienza negativa può rappresentare un momento ricco di implicazioni educative. È
possibile quindi evidenziare due livelli sui quali si gioca il valore educativo di un’esperienza:
⁻ Il primo ha a che fare con il suo grado di attrattività e piacevolezza.
⁻ Il secondo chiama in causa una dimensione più implicita, in cui l’esperienza si trasforma in
un vero e proprio vissuto: diventa oggetto di riflessione e il soggetto se ne appropria
consapevolmente per comprenderne il senso. Il soggetto, cioè, attribuisce un significato a
ciò che sta sperimentando o ha vissuto. Fare esperienza si trasforma quindi nell’avere
esperienza, intendendo cioè quel particolare possesso che si origina dalla riflessione e
dall’interpretazione di ciò che accade.
Il tratto che qualifica un’esperienza educativa è caratterizzato da questo secondo livello di
esperienza, attraverso la quale le persone hanno la possibilità di costruire, ricostruire ed elaborare il
proprio punto di vista su sé stessi e sulla realtà. L’esperienza diventa significativa: sostiene la
costruzione di prospettive attraverso cui dare significato a ciò che accade e apre possibilità di
continuare a crescere.
Lo stretto legame tra esperienza e educazione si gioca quindi sulla possibilità di costruire e ampliare
le possibilità di significato attraverso le quali le persone interpretano la realtà. L’esperienza è
educativa quando non resta fine a sé stessa, ma genera ulteriori possibilità di crescita e
miglioramento. Quel processo attraverso cui ciascuno attribuisce significato a ciò che incontra non
si realizza in modo automatico, ma è un’attitudine che va coltivata nei soggetti. Le potenzialità
educative offerte dalle esperienze di vita sono quantitativamente più ampie rispetto alle proposte
proveniente da dai contesti formali e non formali. Questa constatazione potrebbe condurre a due
atteggiamenti opposti: da un lato lasciare che sia la vita ad educare, dall’altro essere tentati di
formalizzare ogni possibile esperienza di vita. Entrambe le situazioni si mostrerebbero inefficaci. La
prima si limiterebbe ad accettare uno stato di cose esistente e non darebbe luogo a nessuna
trasformazione. Nel secondo caso, l’esperienza si rivelerebbe impraticabile, in quanto è impossibile
conformare ogni esperienza di vita. Appare invece più promettente individuare nei percorsi
educativi formali e non formali un’occasione per promuovere quella capacità di dare senso alle
esperienze.
Capitolo 4
Quando si affronta il tema dell’interesse dal punto di vista della pedagogia è inevitabile individuare
nelle teorie dell’educazione nuova e nell’attivismo pedagogico il contesto privilegiato per cogliere
le implicazioni del tema. La caratteristica fondamentale di questo cambiamento epocale sta nel
promuovere e consolidare il soggetto come protagonista dei processi educativi. Questa rivoluzione
copernicana implica due aspetti essenziali: concepire le tappe evolutive come vere proprietà della
vita con proprie caratteristiche e passare da ciò che gli adulti ritengono importante a ciò che piace
spontaneamente al bambino. Se in precedenza, infatti, l’istruzione si basava essenzialmente sugli
interessi del mondo adulto e della società in merito al futuro del fanciullo, con le scuole nuove
emerge l’importanza di prendere seriamente in considerazione cosa pensano i minori e quali siano i
loro interessi. L’educatore è chiamato a conoscere i tratti tipici delle diverse età della vita e nello
stesso tempo ad approfondire le peculiarità del singolo soggetto. La categoria dell’interesse del
soggetto in crescita diventa il punto di partenza di ogni pratica formativa.
Una delle figure che ha riflettuto più approfonditamente sul concetto di interesse è stata Decroly
(fine 800-inizio 900). Secondo Decroly, l’istruzione dovrebbe prendere le mosse dalla dinamica
interesse-bisogno che caratterizza ogni bambino. L’interesse è, come aveva notato anche Dewey,
una modalità attraverso cui si attribuisce valore a qualcosa e che per questo spinge all’azione. Dare
valore a qualcosa rappresenta un prerequisito per le attività formative: nella prospettiva attivistica,
si apprende ciò che si valuta positivamente utile, interessante. Decroly riteneva che ciascun essere
umano fosse caratterizzato da quattro bisogni fondamentali a cui corrispondono degli interessi:
nutrirsi, lottare contro le intemperie, difendersi dai nemici, lavorare e riposare da soli o in
compagnia. Questi avrebbero dovuto tradursi sul piano didattico in una serie di centri di interesse
attorno ai quali sviluppare il programma scolastico. Decroly rifiutava l’insegnamento tradizionale
per distinte materie di studio sostituendole con un insegnamento che facesse perno sugli interessi e
sui bisogni : con i centri di interesse, andava al di là della mera disciplina. Egli riteneva che i nuovi
programmi avrebbero dovuto contemperare due esigenze fondamentali complementari: quella
soggettiva, del riconoscimento e dell’arricchimento dell’individualità, e quella oggettiva – sociale,
del riconoscimento e dell’arricchimento socioculturale. Il sistema formativo, cioè, dovrebbe
promuovere lo sviluppo integrale delle facoltà del bambino e il suo adattamento all’ambiente in cui
dovrà vivere.
La prospettiva inaugurata dall’attivismo rappresenta ormai una condivisa e diffusa convinzione
pedagogica per l’epoca contemporanea. È ben evidenziare, tuttavia, che se dal punto di vista
formale questa posizione trova tutti concordi, ancora troppo spesso il punto di vista del minore non
è preso in considerazione e i suoi interessi continuano ad essere posti in secondo piano. Nel
panorama contemporaneo non manca che intravede in questa postura un elemento critico: un conto
è partire dagli interessi del soggetto per incoraggiarne la crescita e ampliarne gli orizzonti, un altro è
inseguire gli interessi del ragazzo e pensare al processo educativo come una mera rincorsa di ciò
che interessa al soggetto. Anche Decroly aveva fatto notare il rischio di banalizzazione: concentrare
l’attenzione sugli interessi del minore non significa avvitare attorno ad essi qualunque percorso
formativo. L’interesse del minore deve esser il punto di partenza di qualunque processo formativo,
ma il ruolo dell’educatore consiste anche nell’ampliare gli interessi e desideri del minore,
trasformando gli impulsi in un piano d’azione, capace di sostenere una visione più ricca e
approfondita di ciò che interessa.
In questo discorso è interessante considerare anche Gardner, il teorico delle intelligenze multiple.
Ognuno di noi, secondo questo studioso, ha diverse intelligenze e ne esprime soprattutto alcune. In
questa visione, l’interesse è legato anche a come siamo fatti.
Un’interpretazione più articolata della questione è suggerita anche dallo stesso termine interesse, il
cui significato letterale è essere fra, essere in mezzo. L’interesse personale o di gruppo si origina
proprio perché si riconosce la propria partecipazione al mondo. Nutriamo degli interessi perché
siamo immersi nella realtà e in rapporto con gli altri: dalla relazione che si instaura tra il soggetto e
la realtà scaturisce ciò che ci interessa. Questa considerazione non intende negare in alcun modo
che esistano delle inclinazioni naturali in ogni essere umano, ma vuole sottolineare la natura
dinamica dell’interesse che non è già data ma è suscettibile a variazione. Tenendo conto della
dinamicità degli interessi di chi si sta crescendo, l’intervento educativo va considerato in due
prospettive:
⁻ si rende necessario rispettare e seguire gli interessi che il singolo esprime e manifesta;
⁻ occorre incoraggiare il confronto con la realtà, alimentando l’incontro con occasioni che
potenzialmente possono diventare nuovi ambiti di interesse per il soggetto.
In questo processo, l’educatore è chiamato sia a promuovere ciò che cattura l’attenzione del
soggetto sia a offrire a chi sta crescendo la possibilità di coltivare nuovi temi.
Bisogna considerare sia ciò che interessa sia ciò che è nell’interesse di: la seconda dà senso alla
prima, anche se non sempre ciò che interessa è nell’interesse di. Può essere utile riportare l’articolo
tre della Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia del 1989, la quale afferma che l’interesse
superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. Tutto quello che facciamo, cioè,
deve avere come scopo l’interesse superiore del fanciullo. L’interesse non corrisponde però alla
motivazione. L’interesse è infatti un evento psicologico che sta a monte degli scopi che la persona
pone a capo dei suoi comportamenti (ho uno scopo-dietro c’è un interesse- dopo aver raggiunto lo
scopo, o soddisfo o modifico l’interesse). La motivazione (diretta conseguenza del bisogno-
Decroly), invece, è il fattore dinamico e direzionale (è una molla che mi mette in azione e mi spinge
verso una direzione) del comportamento ed è in risposta ai bisogni sostanziali della persona. La
motivazione pertanto è elemento psicologico che assume significato formativo. Ne deriva che
l’interesse si configura come una condizione psicologica che può essere di stimolo all’insorgere di
stati motivazionali. Uno degli scopi della scuola è proprio riuscire a dare motivazione. Possiamo
inoltre fare una differenza tra motivazione estrinseca ed intrinseca:
Motivazione estrinseca: il comportamento è indotto da ricompense oggettive, materiali. In
ambito scolastico sollecita gli alunni allo studio in riferimento a premi, lodi e buoni voti.
Non è detto che la motivazione estrinseca è negativa ma ci sono dei casi in cui è pericolosa:
quando è vista come un modo per controllare il comportamento delle persone; quando
distrae l’attenzione della persona dall’obiettivo originario per il quale dovrebbe impegnarsi;
quando altera il significato psicologico del compito svalutando gli obiettivi originari.
Motivazione intrinseca: il comportamento dipende da pulsioni esplorative che non sono
direttamente collegate a ricompense. In ambito scolastic
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