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2.1LA COMUNITA’: UNA VOCAZIONE PEDAGOGICA
Il concetto di comunità è per definizione multitasking, Roberto Esposito
nella sua ricerca sul termine indica la comunità come un insieme di persone
unite non da una priorità, ma da un dovere o da un ambito. I soggetti della
comunità sono uniti da un dovere che li rende non perfettamente padroni di
sé stessi. Si tratta di una visione che attinge al ROMANTICISMO TEDESCO, in
cui l’individuo trova il superamento delle limitazioni della propria condizione
umana a cui subordinare la volontà e il sentimento individuale. A questa
prospettiva, si affianca quella di matrice anglosassone che rimanda all’idea
di comunità locale, di territorio, di politiche sociali e di uno spazio di
partecipazione. Adesso più che mai c’è l’urgenza di tornare a riflettere su
quel “bene comune” alla base del vivere civile e democratico provando a
proporre una sintesi fra i due approcci, fra il “bene comune” e il territorio, il
valore etico e l’idea di cittadinanza.
2.2LE PREMESSE AL PROGETTO
Nel marzo del 1957 viene presentato all’Unesco il Progetto Pilota per
l’Abruzzo. Il progetto, dopo un primo studio di fattibilità, prese avvio in
Abruzzo nel 1958, e si concluse nel 1962. Il CEPAS, dato il background
acquisito sul campo, venne coinvolto nei diversi lavori di sviluppo
comunitario portato avanti in Italia, e che videro protagonista Angela
Zucconi.
2.3RICERCHE E PIANO DI SVILUPPO PRELIMINARI AL PROGETTO PILOTA
ABRUZZO
I primi mesi del 1958 furono dedicati da Angela Zucconi e dalla equipe alla
formazione degli assistenti sociali e a completare gli studi sul territorio. Il
progetto rappresentava una collaborazione tra l’UNRRA-Casas, che aveva
lavorato nella zona abruzzese per la ricostruzione edilizia e per lo sviluppo
di diversi programmi di attività sociale, e il CEPAS che dichiarava di avere lo
scopo di formare assistenti sociali. Nell’ambito di questa collaborazione,
l’UNESCO concesse al progetto l’assistenza tecnica di un esperto, il
finanziamento di stage per la formazione del personale e un contributo per
attrezzature particolari. L’UNRRA-Casas mise a disposizione personale di cui
disponeva, gli strumenti dei suoi centri sociali e l’esperienza acquisita nel
settore; il CEPAS, curò la preparazione e la supervisione dei professionisti
nonché il settore relativo agli studi e alle ricerche. Il progetto venne diretto
da un comitato composto da 7 rappresentanti, 3 dall’UNRRA-Casas, 3 dal
CEPAS e la direzione in loco per l’UNESCO. L’area riguardava 14 comuni
montani, 9 in provincia di Chieti e 5 in provincia dell’Aquila. Si trattava in
sostanza di sviluppare e potenziare al meglio l’elemento umano. La
commissione parlamentare d’inchiesta che condusse una profonda indagine
sulle cause della disoccupazione con lo scopo di individuare le misure
idonee a contrastarla constatò al primo posto la mancanza di solidarietà
reciproca tra uomini e istituzioni responsabili del bene come nel quadro
della vita economica e sociale della popolazione. L’ipotesi di lavoro alla base
del progetto fu quella di creare e strutturare occasioni di partecipazioni,
confronto e comunicazione tra le persone e fornire nuove modalità di
collaborazione per obiettivi comuni. Il vantaggio che l’UNRRA-Casas era già
conosciuto come un ente che non perseguiva secondi fini politici; pertanto,
la gente era maggiormente abituata a richiedere e/o accettare l’intervento
dell’ente per prestazioni di carattere educativo-culturale. Lo stesso ente
aveva inoltre aveva già svolto diversi corsi di educazione popolare.
L’educazione popolare consisteva in una forma di educazione NON
FORMALE e rappresentava un impegno per il mutamento sociale e politico.
Tale sistema per l’Abruzzo affidato all’UNRRA-Casas, con ottimi risultati e
reciproca soddisfazione. Nell’ambito dell’educazione degli adulti erano stati
proiettati nella zona una cinquantina di film, in paesi dove il cinema era più
o meno ignoto e in alcuni casi le proiezioni promosse furono addirittura la
prima esperienza cinematografica. L’approccio proposto dal progetto
Abruzzo era quello della community education, che assegnava ai centri
educativi e scolastici del territorio il ruolo di nuclei interdisciplinari di
educazione per l’intera comunità attraverso attività di vario tipo:
CULTURALE, SOCIALE E RICREATIVO. Si era proceduto nella direzione della
promozione e della sensibilizzazione ma ancora molto si poteva e doveva
fare partendo dalle precedenti iniziative.
2.3.1 ASSISTENTI SOCIALI O OPERATORI SOCIALI?
I compiti che l’UNRRA-Casas aveva affidato agli assistenti sociali dal 1953
riguardavano 4 punti essenziali:
1. ASSISTENZA INDIVIDUALE
2. LAVORO DI GRUPPO
3. INCREMENTO DEL SENSO DI COMUNITA’
4. ATTIVITA’ DI RICERCHE SOCIALI
Già dai primi step del progetto gli abitanti cominciarono a discutere insieme
alcuni problemi comuni. Il lavoro di gruppo cominciò ad inserirsi nelle
attività degli assistenti sociali contemporaneamente all’istituzione dei corsi
di educazione popolare. I corsi furono a poco a poco aperti a tutti gli abitanti
del paese e i gruppi che sorsero in occasione dei corsi di educazione
popolare continuarono ad insistere anche dopo la chiusura dei corsi stessi.
In molti casi si istituzionalizzarono in “CIRCOLI RICREATIVI CULTURALI” nei
quali si prolungava il rapporto che si era instaurato nei corsi fra partecipanti
e collaboratori. L’operatore sociale svolgeva compiti di insegnante, di
educatore e di animatore. In tali situazioni si costituirono dei comitati che
andavano assumendo responsabilità gestite dalle biblioteche, attività di
gruppo con i bambini presso i centri sociali dei villaggi UNRRA-Casas.
Queste iniziative sorgevano per soddisfare una richiesta del villaggio, per
integrare alla mancanza di istituzioni e nell’intento di fornire un esempio. In
un’ottica di attenzione alle dimensioni territoriali il lavoro educativo assunse
l’eccezione di promozione educativa della LIFE LONG LEARNING,
sviluppando l’approccio di un’educazione permanente. L’impostazione
pedagogica su cui si basa il presente lavoro di ricerca adotta proprio la
visione unitaria di questi due concetti.
2.3.2 LE RICADUTE IPOTIZZATE
La sperimentazione svolta in Abruzzo avrebbe potuto offrire l’espansione di
questa iniziativa. La parola “PILOTA” venne infatti utilizzata in quanto
indicava la potenziale riproducibilità delle molteplici situazioni analoghe
nella regione abruzzese e in gran parte del meridione d’Italia. La modalità di
intervento propria del progetto è stata quella di stimolare la partecipazione
dal basso facendo in modo che la comunità stabilisse da sé priorità, bisogni
e interventi necessari. L’educazione egli adulti si muove progressivamente
verso un’educazione popolare che, pur dovendosi occupare delle classi
sociali più svantaggiate, non abbandona il proprio compito regolarmente
istruttivo per abbracciare la direzione sociale e politica.
2.4LINEE GUIDA DEL PROGETTO: SVILUPPO, COMUNITA’, EDUCAZIONE
Prima dell’avvio del progetto era presente nella zona una sola comunità: la
FAMIGLIA e sulla famiglia l’equipe intendeva fondare la propria iniziale
azione per lo sviluppo della comunità. Il progetto mirava a considerare
questo istituto come pietra angolare del lavoro per lo sviluppo del senso di
comunità. Gli operatori sociali si trovarono a lavorare di fatto con alcune
categorie di singoli ma componenti di un nucleo familiare e quindi potenziali
centri di una naturale sfera d’influenza. Ne consegue che non interessò
studiare il comportamento e le dinamiche di gruppo quanto sapere che chi
aveva partecipato aveva raccontato alla moglie o ai figli o ai vicini quanto
aveva ascoltato e visto e se attirava o distoglieva altri membri della famiglia
e conoscenti da queste stesse attività collettive. Così non fu prioritario il
reperimento dei leader quanto quelli di interi nuclei familiari in grado di
servire da esempio e da guida ad altre famiglie. Questa ricerca di famiglie-
pilota risultò utile non solo per le iniziative di carattere educativo, ma anche
per quelle di carattere economico. Questo proposito non esclude l’uso di
accorgimenti pedagogici, vale a dire l’opportunità di:
1. Suggerire un tema per volta
2. Ricorrere alla ripetizione, dando la possibilità di ritrovare lo stesso tema
di una lettura o di un film in altre letture e in altri film
3. Studiare attentamente e preventivamente la gradualità degli argomenti
4. Lavorare sul brainstorming e il problem/solving
Un’attività culturale che guidasse a vincere la soggezione e la timidezza e
che rompesse il lungo silenzio senza distrarre l’attenzione della popolazione
dalla realtà dei loro problemi.
2.5 DALLA COMUNITA’ ALLO SVILUPPO DI COMUNITA’
Il concetto di comunità appare ora come il contesto naturale di una
democrazia fondata su una partecipazione più attiva e sulla costruzione di
spazi e condivisione. L’espressione “SVILUPPO DI COMUNITA’” sembra sia
stata introdotta dal segretario generale al Consiglio economico e sociale
delle Nazioni Unite nel 1955 per disegnare l’insieme dei processi mediante i
quali gli abitanti di una determinata zona uniscono i loro sforzi a quelli dei
pubblici poteri con lo scopo di migliorare la situazione economica, sociale e
culturale della comunità. Questi processi presuppongono due elementi
essenziali:
1. La partecipazione attiva degli abitanti e la massima iniziativa possibile
della popolazione stessa;
2. La disponibilità di servizi in modo da rendere più efficace l’iniziativa.
Tra gli anni ’50 e gli anni ’80 la nozione di sviluppo di comunità ha assunto
una pluralità di approcci, tra cui potremmo rintracciare i due la cui sintesi ha
ispirato il PROGETTO PILOTA ABRUZZO: la COMMUNITY DEVELOPMENT e la
COMMUNITY ACTION. Il primo tende a stimolare azioni collettive che portino
all’attenzione le istanze della comunità e il secondo approccio basato
sull’azione sociale e sulla mobilitazione di gruppi di persone interessate a
risolvere una problematica comune. Nel caso abruzzese, il progetto di
sviluppo di comunità ha riguardato una seconda realtà rurale.
3. PROGETTO PILOTA ABRUZZO: UNO SGUARDO PEDAGOGICO
3.1 IL PROGETTO, L’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI E LO SVILUPPO LOCALE DI
COMUNITA’
L’interesse del progetto, che prese avvio il primo ottobre