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IL TEATRO COME STRUMENTO DI PROPAGANDA
Per Mussolini, il teatro era un mezzo ideale per diffondere l’ideologia fascista, sia a
livello educativo che propagandistico.
Il regime non puntava sui teatri stabili, riservati a un’élite intellettuale, ma su
spettacoli celebrativi di massa e sui Carri di Tespi, che portavano la propaganda
nelle piazze e nelle località più remote.
Questi spettacoli avevano l’obiettivo di:
• Creare un nuovo pubblico di massa fedele al regime.
• Diffondere un repertorio esclusivamente italiano, con attori professionisti.
• Rafforzare l’immagine di un governo che si prendeva cura della cultura popolare.
IL TEATRO DRAMMATICO E LA SUA ISTITUZIONALIZZAZIONE
Mussolini non si occupava direttamente della produzione teatrale, ma attraverso il
finanziamento statale condizionava le scelte artistiche e gestionali delle compagnie
private. I teatri che garantivano consenso politico venivano premiati con maggiori
finanziamenti.
Nel 1930, venne istituita la Corporazione dello Spettacolo, con il compito di risolvere
le problematiche economiche, sindacali e artistiche del settore, assicurando la
collaborazione tra datori di lavoro e lavoratori.
Successivamente, venne creata la Direzione Generale del Teatro, che si occupava di:
• Censura e controllo dei contenuti
• Gestione dei finanziamenti statali
• Promozione dello spettacolo
FINANZIAMENTO E CONTROLLO DEL TEATRO
L’Ispettorato del teatro regolava il sovvenzionamento su base legislativa, concedendo
fondi solo a:
• Stagioni liriche e drammatiche
• Compagnie che mettevano in scena testi italiani, possibilmente
contemporanei e in linea con l’ideologia fascista
Durante la guerra, gli spettacoli finanziati dallo Stato avevano il compito di veicolare
messaggi propagandistici, offrendo al pubblico un’illusoria rappresentazione della
realtà.
Per ricevere i sussidi, le compagnie dovevano presentare dettagliati progetti artistici,
indicando attori, compensi e repertorio. Inoltre, lo Stato interveniva direttamente
nella programmazione, modificando i contenuti secondo le proprie esigenze politiche.
Le leggi razziali influenzarono anche il teatro, limitando le rappresentazioni di alcuni
autori e imponendo vincoli sui repertori. Le sovvenzioni favorirono le imprese teatrali
più solide, mentre le compagnie itineranti furono progressivamente escluse.
LA CENSURA TEATRALE
La censura fascista era volta a garantire morale, decoro e ordine sociale. Venne
introdotta una normativa specifica che trasformò il teatro in uno strumento esplicito
di propaganda.
La censura poteva intervenire in qualsiasi momento, arrivando a sospendere gli
spettacoli. Oltre a bloccare contenuti scomodi, serviva anche come strumento di
rieducazione politica e artistica.
L’ACCADEMIA D’ARTE DRAMMATICA
Negli anni ’30, il regime fascista intensificò il controllo sulla cultura, sfruttando eventi
come la Biennale di Venezia per promuovere il teatro come veicolo propagandistico.
Uno dei progetti più rilevanti fu la fondazione della Regia Accademia d’Arte
Drammatica, con due percorsi triennali per attori e registi. L’Accademia selezionava
con rigore gli studenti, offrendo ai migliori un accesso immediato al mondo del
lavoro.
Questo istituto ebbe una grande influenza anche nel dopoguerra, trasformandosi in un
punto di riferimento per il teatro italiano.
LA CONQUISTA DELLA STABILITÀ – Capitolo 7
LA NASCITA DEL MODELLO STABILE
Nel secondo dopoguerra, in Italia emerse un nuovo modello teatrale che si
contrapponeva alla tradizionale compagnia itinerante. Questo nuovo assetto si
basava sulla stabilità produttiva, sulla concezione del teatro d’arte come servizio
pubblico e sul ruolo centrale della regia.
Questa trasformazione non fu imposta dall’alto, ma si sviluppò spontaneamente,
grazie alla determinazione di una nuova generazione di artisti, cresciuti durante la
dittatura e desiderosi di esprimere la propria autonomia sia artistica che politica,
spesso animati da un forte sentimento antifascista.
I governi che si susseguirono riconobbero e finanziarono questo nuovo teatro, ma
senza introdurre una vera e propria riforma strutturale del settore. Di conseguenza,
la stabilità del teatro fu conquistata in modo graduale e irregolare.
Tuttavia, la stabilità "all’italiana" rimase parziale:
• Il teatro continuava a essere legato al sistema stagionale.
• La circuitazione delle compagnie restava una prassi diffusa.
• Mancava un repertorio fisso.
• L’unico elemento realmente stabile erano gli edifici teatrali e la gestione dei
tecnici, mentre gli spettacoli continuavano a viaggiare per mesi o anni in
tournée.
IL TEATRO COME SERVIZIO PUBBLICO
Il primo vero Teatro Stabile in Italia fu il Piccolo Teatro di Milano, una struttura a
gestione pubblica concepita per durare nel tempo e per avviare un cambiamento
profondo e irreversibile.
Il successo del Piccolo Teatro portò alla diffusione di numerosi altri teatri stabili in
diverse città italiane, trasformando il teatro in un servizio pubblico riconosciuto dallo
Stato.
IL MODELLO DEL TEATRO STABILE MUNICIPALE
La fondazione del Piccolo Teatro di Milano segnò la nascita di una nuova identità per
il teatro italiano:
• Il teatro venne riconosciuto come una necessità collettiva.
• Fu considerato un bene pubblico, con una gestione prevalentemente statale.
• Ottenne il diritto al finanziamento pubblico come garanzia della sua funzione
culturale.
Tuttavia, accanto ai fondi pubblici, iniziarono a intervenire anche soggetti privati, tra
cui le banche. Il sostegno della città di Milano e il coinvolgimento di più finanziatori
garantirono al Piccolo Teatro credibilità e solidità economica.
LA COESISTENZA TRA TEATRI STABILI E COMPAGNIE ITINERANTI
Negli anni ‘50, il progetto di utilizzare il teatro come strumento di formazione della
coscienza civile si concretizzò con la nascita di numerosi teatri stabili in tutta Italia.
Questi teatri, finanziati da enti pubblici e privati, condividevano la stessa missione del
Piccolo Teatro di Milano: offrire il teatro come servizio pubblico.
Tuttavia, molti di essi non riuscirono a sopravvivere a causa di:
• Difficoltà economiche.
• Concorrenza tra diverse realtà teatrali.
• Mancanza di adeguati finanziamenti.
Alla fine, solo quattro teatri stabili riuscirono a consolidarsi:
1. Genova
2. Bolzano
3. Trieste
4. Torino
Questi teatri si affermarono principalmente nelle città del triangolo industriale,
evidenziando come il progetto di un sistema teatrale nazionale sostenuto dallo Stato
fosse destinato a fallire nel lungo periodo.
Negli anni ‘60, con il boom economico, nacquero i teatri stabili di prima generazione,
che riprendevano il modello del Piccolo Teatro di Milano, mantenendone il nome e la
struttura.
Questo sviluppo portò a una suddivisione del teatro in due sistemi:
• Teatro pubblico: caratterizzato dalla produzione residenziale e dall’impegno
civile.
• Teatro privato: basato sulla produzione itinerante, con spettacoli in tour per
l’intera penisola.
L’UTOPIA DEL “TEATRO D’ARTE PER TUTTI”
Il Piccolo Teatro di Milano perseguì l’obiettivo di rendere il teatro accessibile a tutti,
concependolo come un bene comune.
Il modello di gestione adottato trasformò il teatro in un servizio pubblico vero e
proprio, con:
• Strategie di marketing per aumentare la distribuzione degli spettacoli.
• Progetti educativi per avvicinare il pubblico alla storia del teatro.
Tuttavia, l’idea di un teatro davvero aperto a tutta la popolazione si rivelò un’utopia.
Infatti, pur aumentando il numero di spettatori, la partecipazione si concentrò
principalmente su:
• Studenti
• Insegnanti
• Impiegati
Mentre le classi popolari e operaie rimasero marginalmente coinvolte.
LO STATO DEMOCRATICO E IL TEATRO DI PROSA
Nel dopoguerra, il rapporto tra teatro e governo continuò a basarsi sul dialogo tra
istituzioni e organizzazioni di settore.
Nacque l’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo (AGIS), che si affermò
come il principale sindacato unitario per la rappresentanza delle diverse categorie
teatrali.
IL SISTEMA DI FINANZIAMENTO E LE CIRCOLARI
Il meccanismo delle sovvenzioni ripropose in parte la logica dell’epoca fascista,
regolando il finanziamento pubblico attraverso un decreto-legge.
Il decreto stabiliva che il 6% delle tasse sugli spettacoli dovesse essere destinato a
un fondo per il finanziamento del settore. Questo fondo veniva così suddiviso:
• La maggior parte destinata alla musica e all’opera lirica.
• Un terzo dedicato al teatro di prosa.
Vennero inoltre definiti i criteri per:
• Selezionare i soggetti che potevano ricevere sovvenzioni.
• Stabilire i requisiti necessari per accedere ai fondi.
LA NECESSITÀ DI UNA LEGGE ORGANICA PER IL TEATRO
Con il passare del tempo, emerse sempre più chiaramente la necessità di una legge
specifica per il teatro, capace di riformare l’intero settore e di definirne gli obiettivi
strategici.
Tuttavia, la mancanza di una chiara volontà politica ostacolò questo processo,
lasciando spazio a un sistema autoregolato dallo stesso mondo dello spettacolo.
Le principali richieste del settore teatrale erano:
1. Un’architettura istituzionale chiara, con il riconoscimento del teatro come
bene culturale, sostenuto sia dallo Stato che da soggetti privati.
2. Una maggiore stabilità economica, per eliminare la precarietà del settore e
garantire continuità alle produzioni teatrali. Nonostante la crescita del sistema
teatrale, il settore rimase fragile e privo di una struttura solida, lasciando
irrisolti molti problemi legati al finanziamento e alla gestione degli spettacoli.
L’ESPANSIONE DEL SISTEMA – Capitolo 8
IL BOOM ECONOMICO E L’EVOLUZIONE DEL TEATRO
Gli anni ’60 furono segnati dal boom economico e da profondi cambiamenti
antropologici e socioculturali. In questo periodo, il teatro ospitò grandi allestimenti di
successo, dimostrando la capacità dei teatri stabili e delle compagnie private di
superare la crisi del decennio precedente.
Con l’aumento della domanda e dell’offerta teatrale, il settore conobbe una fase di
crescita, consolidando il predominio delle strutture a gestione pubblica. Tra le
personalità che contribuirono a questo sviluppo spiccano Giorgio Strehler e Luigi
Squarzina, le cui direzioni artistiche influenzarono profondamente la scena teatrale
italiana.
Nel 1968, le proteste e i mo