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LIVELLI ESSENZIALI
Definizione
Il concetto di livelli essenziali è stato introdotto per definire quali sono gli interventi pubblici minimi che le
pubbliche amministrazioni devono garantire ai cittadini per tutelare fondamentali diritti. Prevedere nel
welfare i livelli essenziali, richiede dunque di: esplicitare i bisogni/rischi che si intendono tutelare, chiarire
come tutelarli, garantire alle amministrazioni che devono trasformare i livelli essenziali in interventi con
risorse adeguate allo scopo, precisare eventuali limiti.
Non va confusa la discrezionalità dell’azione professionale con il rispetto dei diritti da garantire ai cittadini
nei livelli essenziali; la prima è uno dei modi con i quali nei servizi si deve garantire l’esigibilità dei secondi.
Riferimenti normativi
Un punto di svolta cruciale è la legge costituzionale 3/2001 che ha introdotto il compito dello Stato di
definire i livelli essenziali riferiti “ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale”.
Dal 2001 dunque, i livelli essenziali sono stati elevati a meccanismo di rango costituzionale. Se ci si limita ai
servizi sanitari e sociali il percorso dei livelli essenziali ha seguito diversi itinerari:
Nel sistema sanitario nazionale i livelli essenziali sono stati introdotti dal D.Lgs. 502/1992;
▪ successivamente sono stati definiti tutti i LEA entro un unico atto dal D.P.C.M. nel 2001, poi
aggiornato al 2017;
Nei servizi sociali la legge 328/2000 ha individuato 9 tipologie di interventi come livelli essenziali;
▪ successivamente sono stati definiti con norma nazionale alcuni specifici livelli essenziali nell’ambito
sociale come l’ISEE, e il reddito/pensione di cittadinanza. Muove verso l’introduzione di livelli
essenziali nel sociale il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023 che espone
quelli già previsti e ne introduce alcuni nuovi.
Dunque sia nel settore sanitario che in quello sociale, la tematica dei livelli essenziali è stata introdotta nella
normativa anche prima del loro inserimento in Costituzione, ma mentre i livelli essenziali del sistema sanitario
(LEA) sono contenuti in un testo organico unico, quelli dei servizi sociali sono sia parziali che dispersi in atti
diversi.
Dibattito attuale e prospettive
Il nodo consiste nello scegliere se e come i livelli essenziali possano essere uno strumento per evitare
differenze tra territori che generano disuguaglianze locali inaccettabili nella tutela dei cittadini.
Vi sono specifiche norme che nell’introdurre i livelli essenziali hanno posto limiti alla loro esigibilità,
soprattutto legando il diritto dei cittadini a ricevere gli interventi alla disponibilità delle risorse per le
amministrazioni che li devono erogare.
Ma questa natura di “diritti finanziariamente condizionati” deve misurarsi con almeno due contraddizioni:
1. Accanto a questi “diritti subordinati alle risorse” convivono nel welfare pubblico molti interventi
senza questi limiti e dunque prestazioni che il cittadino ha pieno diritto di esigere, senza che le
amministrazioni possano evitare di erogarle invocando l’assenza di risorse.
2. Sono cresciute le sentenze della Corte costituzionale che hanno imposto a pubbliche amministrazioni
l’obbligo di garantire quegli interventi che sono classificati come livelli essenziali senza poter
invocare limitazioni o rinvii solo in base alla scarsità delle risorse;
dunque è aperta una discussione su queste 2 asimmetrie per l’effettiva esigibilità dei diritti nel welfare, con
riscontri crescenti anche nella giurisprudenza costituzionale.
Dal 2022 prende attuazione il Piano nazionale ripresa e resilienza (PNRR), il quale prevede esplicite riforme
nel welfare italiano, come quella dei servizi per la non autosufficienza; poiché un modo per attivare le riforme
è anche quello di adottare nuovi livelli essenziali, sarà utile osservare se e come ciò accadrà.
Sulla definizione dei LEPS (i l.e. per i servizi sociali) pesano anche criticità specifiche di questo ramo del
welfare (molto meno presenti in sanità):
La persistente grande differenza nella spesa che le diverse Regioni destinano a questo tipo di servizi;
▪ nonché il fatto che il Fondo nazionale per le politiche sociali non è adeguato, e quindi che livelli di
servizi efficaci richiedono l’uso anche di risorse proprie dei Comuni;
Il permanere di una rilevante frantumazione di competenze tra diversi livelli di governo
▪ Il proliferare di interventi diretti a diverse singole categorie di utenti, molto scoordinati tra loro
▪
RETI SOCIALI
Definizione
La prospettiva delle reti sociali si costruisce non solo come corpus teorico-metodologico coerente ed efficace
per lo studio dei fenomeni ma anche per il loro governo.
Una rete sociale può essere definita come la rappresentazione di una struttura di relazioni tra attori sociali. I
livelli analitici che vengono considerati nello studio di una rete sono 3: le relazioni tra coppie di attori, gli
attori sociali stessi e la configurazione complessiva della struttura delle relazioni cioè la rete stessa. gli attori
possono essere sia individuali sia collettivi e le relazioni sono considerate essenzialmente come interazioni
che generano dinamiche di controllo, di dipendenza o di cooperazione.
Basi teoriche
Dal punto di vista teorico, è possibile scorgere, nella prospettiva di rete, 2 diversi approcci tra loro
interconnessi. Il primo assume la rete sociale come un insieme di relazioni considerate come flussi di risorse
tra i nodi.
La configurazione complessiva della rete può favorire o ostacolare tali flussi, e la posizione dei nodi nella rete
può permettere l’accesso degli attori sociali alla fruizione e allo scambio di tali risorse. Il compito della teoria
è quello di descrivere e spiegare come le dinamiche dei flussi e le opportunità strutturali di accesso
influiscono su determinati outcomes.
Il secondo approccio teorico assume la rete come struttura di “legami” che favorisce o meno il
coordinamento delle azioni degli attori sociali, e si basa sulla premessa che i diversi livelli di coesione tra gli
attori possano incidere sul modo in cui gli outcomes sono generati. Il compito della teoria è quindi di
spiegare se il raggiungimento di una maggiore coesione nella rete produca effetti qualitativamente e
quantitativamente più apprezzabili rispetto a una situazione in cui i nodi e le loro relazioni agiscono
separatamente.
Prospettive nel servizio sociale
La presenza di reti non implica necessariamente una migliore condizione psicofisica e sociale dei suoi
membri. La differenziazione nelle caratteristiche delle reti sociali e la conseguente distribuzione delle risorse
in esse “incardinate”, interagisce con la posizione degli attori sociali che ne fanno parte, influenzando la loro
capacità/possibilità di formare legami sociali significativi.
L’idea di rete ha riscosso un notevole successo anche nel servizio sociale e il “lavoro di rete” è considerato
uno dei metodi di intervento più originali nel panorama complessivo delle strategie del lavoro sociale.
Il modello di rete consente di connettere coerentemente la dimensione teorica (teorie di rete), quella
metodologica (analisi delle reti) e quella operativa (lavoro di rete), posto che le situazioni di esclusione
sociale implicano sempre la possibilità di identificare una qualche forma “impoverita” nelle strutture di
relazione delle persone.
INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA
Definizione
Si fa appello all’integrazione quando la natura, le dimensioni e la complessità dei problemi richiedono
capacità multiprofessionali. Si ha integrazione quando diversi centri di responsabilità condividono obiettivi,
risorse e responsabilità per conseguire i risultati attesi.
L’integrazione è riconoscibile a 4 livelli: istituzionale (tra responsabilità pubbliche), gestionale (tra
responsabilità e risorse pubbliche e private), professionale (tra saperi e abilità), comunitaria (tra soggetti e
risorse del territorio).
C’è differenza tra interventi sociali a rilevanza sanitaria e interventi sanitari a rilevanza sociale e, soprattutto,
che l’integrazione non è un fine ma un mezzo e una condizione necessaria per traguardi impegnativi.
Cenni storici
Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento la ricerca sull’integrazione ha trovato un ambiente originale nel
distretto e nell’Unità locale dei servizi.
Riflettere sull’integrazione ha significato anche misurarsi con le questioni proprie del coinvolgimento e della
partecipazione, valorizzando le collaborazioni con il volontario e l’associazionismo.
La definizione del Piano sanitario nazionale 1998-2000 può essere considerata una sintesi culturale del
dibattito degli ultimi 30 anni del Novecento: “l’integrazione istituzionale si basa sulla necessità di
promuovere collaborazioni fra istituzioni diverse che si organizzano per conseguire comuni obiettivi di salute.
Può avvalersi di un’ampia dotazione di strumenti giuridici quali le convenzioni e gli accordi di programma.
Condizioni necessarie dell’integrazione professionale sono: la costituzione di unità valutative integrate, la
gestione unitaria della documentazione, la valutazione dell’impatto economico delle decisioni, la definizione
delle responsabilità nel lavoro integrato, la continuità terapeutica tra ospedale e distretto, la collaborazione
tra strutture residenziali e territoriali, la predisposizione di percorsi assistenziali appropriati per tipologie
d’intervento, l’utilizzo di indici di complessità delle prestazioni integrate”.
La legge 328/2000 ha affrontato il tema dell’integrazione con riferimento ai principi generali della
programmazione, alle funzioni dei Comuni, alle funzioni delle Regioni, alle figure professionali.
Il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003 ha chiesto di integrare le scelte del
programma delle attività territoriali e quelle del piano di zona.
La riflessione e la ricerca degli ultimi 10 anni hanno meglio definito i caratteri degli interventi integrati
sociosanitari, intesi come area specifica di azione, con riferimento alle responsabilità per finanziarli, alle
condizioni per garantire i livelli essenziali di assistenza sociosanitaria, ai loro costi.
Basi teoriche
L’integrazione sociale è condizione tecnica e strategica per dare risposte a bisogni multifattoriali con una
presa in carico multiprofessionale. Si costruisce integrazione investendo nella comunità assistenziale e nella
qualificazione delle responsabilità gestionali e professionali.
La riflessione teorica e metodologica sta considerando aree specifiche quali la natura e valutazione del
bisogno