“ALCUNI FUOCHI DI ATTENZIONE”
L’intervento dell’assistente sociale in ambito di protezione e sostegno familiare
comporta diverse questioni cruciali. La dimensione relazionale richiede la
capacità di operare sulla realtà concreta senza trascurare l’aspetto emotivo,
gestendo rapporti con genitori e minori in difficoltà ma anche portatori di
risorse. La dimensione metodologica assume rilevanza specifica, soprattutto
nelle fasi conoscitiva e valutativa, richiedendo strumenti e strategie adeguati
per analizzare situazioni complesse. Infine, la dimensione interculturale è
sempre più presente nei servizi, imponendo all’assistente sociale l’acquisizione
di competenze specifiche per gestire contesti e relazioni caratterizzati da
differenze culturali.
Complessità nella relazione di aiuto
In una pratica professionale che richiede azione e uso di risorse tangibili, il
rischio di sovrapposizione febbrile di interventi sostitutivi o erogatori è
maggiore, soprattutto quando la sensazione di inadeguatezza e urgenza è
forte. Le famiglie in crisi spesso si rivolgono ai servizi con richieste concrete
riguardanti la vita quotidiana e l’assistenza materiale. Il caso di Irene, bambina
di otto anni, evidenzia la complessità di tali interventi: dopo la separazione dei
genitori, Irene vive con la madre dalla nonna, frequentando poco la scuola per
accompagnare la mamma agli uffici dei servizi sociali. La madre, disoccupata,
aveva chiesto aiuto per una casa senza successo, ottenendo solo un sussidio,
mentre Irene manifestava paura e ansia, temendo le reazioni dell’assistente
sociale. Il cambio di assistente sociale portò a un approccio più attento, che
considerava anche i segnali emotivi della bambina e della madre,
promuovendo un intervento integrato sociale e psicologico.
1. Il contesto operativo è segnato da confini di realtà, risposte strumentali,
limiti delle risorse tangibili e regole burocratiche, elementi che possono
perturbare la relazione tra famiglia e assistente sociale e richiedono
regolazione costante.
2. Le domande delle famiglie riguardano principalmente modificazioni materiali
della realtà, spesso come unico modo per esternalizzare problemi emotivi o
relazionali. Il riferimento agli aspetti concreti della vita quotidiana può
servire come accesso al servizio per famiglie riluttanti al contatto con le reti
istituzionali. La risposta dell’assistente sociale può:
2.1. considerare solo l’aspetto concreto, rischiando di colludere con
strategie di negazione del problema;
2.2. integrare realtà esterna e interna, attribuendo significati alla
domanda e alla situazione problema, evitando la cronicizzazione
assistenziale dovuta a una comprensione superficiale del contesto
psicosociale.
3. Un approccio consulenziale, piuttosto che meramente assistenziale,
richiede:
3.1. cogliere segnali poco evidenti nei contatti con la famiglia, anche in
pratiche economiche;
3.2. interpretare relazioni intra- e interfamiliari, modalità di accudimento
dei figli e investimento verso l’ambiente domestico;
3.3. confrontarsi con genitori e altri professionisti per individuare
eventuali approfondimenti.
3.3.1.La complessità aumenta per le rappresentazioni che genitori e
bambini hanno dell’assistente sociale, che vanno dalla speranza di
soluzioni miracolose alla paura di rappresaglie, con rischio di rifiuto
del contatto e percezione dell’operatore come nemico.
4. Il rapporto tra spazio/tempo della comprensione e dell’azione evidenzia
come la spinta a rispondere concretamente alle richieste possa generare
interventi frettolosi prima della piena comprensione della situazione. Questa
compulsione deriva da carichi di lavoro elevati e meccanismi difensivi
iniziali, creando uno stato d’assedio nei servizi. Evitare risposte immediate
richiede un assetto mentale strutturato, un gruppo di lavoro coeso e
un’organizzazione capace di sostenere il processo.
Una relazione spesso mancata
La domanda di aiuto è sempre portata da un adulto e spesso l’intervento si
sviluppa in percorsi complessi senza riservare uno spazio di ascolto diretto al
bambino, la cui voce viene filtrata da genitori, insegnanti o educatori. Questa
esclusione viene talvolta motivata con la volontà di proteggere il bambino dal
contatto con una nuova figura professionale, ma risulta invece fondamentale
riconoscere che l’assistente sociale è presente nella quotidianità della famiglia
e può svolgere un ruolo significativo nell’incontro reale con il minore, che
spesso nutre aspettative contrastanti, dalla speranza di soluzioni magiche alla
paura di essere allontanato.
Spesso il minore percepisce l’assistente sociale come figura “cattiva” e
pericolosa, soprattutto in relazione a possibili allontanamenti, e questo può
generare ulteriore disagio. L’intervento dell’assistente sociale, se intenso ma
non fondato su una relazione autentica, rischia di limitarsi alle informazioni
filtrate dai terzi, trascurando la comprensione del punto di vista del bambino. È
compito del professionista accompagnare il minore nella comprensione delle
decisioni e degli eventi che lo riguardano, in particolare riguardo a
cambiamenti significativi come allontanamenti dalla famiglia, rientri o
variazioni nella collocazione familiare, evitando che i passaggi siano vissuti
senza senso e senza tempi prevedibili.
Tuttavia, l’incontro diretto non garantisce automaticamente uno spazio di
ascolto autentico: il bisogno del bambino di difendersi dall’ansia o dal dolore
percepito può indurre il professionista a un distacco emotivo, trasformando la
comunicazione in formalità o banalizzazione, colludendo involontariamente con
l’atteggiamento dei genitori che escludono il bambino. La scelta di non
affrontare con lui temi dolorosi può trasformarli in tabù, impedendo di
comprendere le aspettative e le emozioni del minore. Interrompere la
comunicazione rimandando tutto a un intervento psicologico significa
frazionare l’azione sociale e sottovalutare che considerare fattori psicologici
non implica un ruolo terapeutico, ma l’uso di competenze relazionali adeguate.
Un esempio concreto è la storia riportata da Désirée Cognetti, in cui
l’assistente sociale, pur presente, resta anonima e distante, evidenziando la
mancanza di una relazione significativa. È invece fondamentale che l’assistente
sociale diventi per il bambino un punto di riferimento, un ponte tra la famiglia
d’origine e la nuova collocazione, informandolo su decisioni, provvedimenti,
cambiamenti e tempi previsti. Lo psicologo favorisce l’elaborazione interna
della realtà esterna, mentre l’educatore accompagna l’integrazione del
percorso nella quotidianità.
Gli assistenti sociali possono essere valorizzati come tramite fra l’individuale e
il sociale, secondo Winnicott. Un contributo importante è quello
dell’Associazione Agevolando, che riunisce care leavers italiani, giovani fuori
dalla famiglia di origine per provvedimento giudiziario, promuovendo
sensibilizzazione politica e professionale. L’associazione sottolinea l’importanza
di considerare i minori come interlocutori attivi e di stabilire relazioni
significative basate su ascolto autentico, con progetti personalizzati di
accompagnamento all’autonomia fino ai ventuno anni.
Conoscere non inquisire
La comprensione della situazione familiare dipende dalla capacità
dell’assistente sociale di raccogliere, riconoscere e utilizzare dati relativi ai
fattori sociali presenti nelle relazioni familiari. La raccolta di informazioni deve
estendersi all’ambiente di vita del bambino e della sua famiglia, mentre la
decodifica e interpretazione degli indicatori possono diventare oggetto di
confronto con altre figure professionali, al fine di individuare eventuali
approfondimenti o interventi specialistici.
Nel contesto consensuale, la lettura della domanda può rivelare implicazioni
oltre l’aspetto assistenziale, mentre in quello autoritativo la chiarificazione del
senso dell’indagine permette alla famiglia di partecipare senza sentirsi
inquisita. In entrambi i casi è essenziale intraprendere un percorso condiviso di
attribuzione di significati a fatti, comportamenti, problemi e prospettive. La
capacità di cogliere segnali di disagio e accompagnarne il riconoscimento si
basa su due dimensioni:
1. cognitiva: sapere cosa osservare, su quali elementi sofferenze, rischi o
risorse focalizzarsi;
2. relazionale: tollerare le emozioni forti connesse alla sofferenza di bambini e
adulti, mantenendo un duplice ascolto che:
2.1. non saturi lo spazio delle domande con risposte razionalizzanti,
evitando di sostituire l’ascolto con spiegazioni, consigli o indicazioni;
2.2. presti attenzione alle proprie risonanze interne, per cogliere quanto
non viene esplicitato e gestire l’impatto delle proprie emozioni e schemi
cognitivi nell’attribuzione di significati.
Il teorema di Thomas invita a riflettere sulle definizioni delle situazioni che
possono determinare l’autorealizzazione di una profezia; Bertotti sottolinea
l’importanza di approcci che intercettino capacità residue o enfatizzino
problemi e mancanze, considerando fin dall’inizio rischi di polarizzazione tra
bisogni del bambino e del genitore, orientamento alla promozione del
benessere o identificazione dei rischi, attenzione a fattori di rischio vs fattori di
protezione/resilienza, centratura su problemi vs risorse.
La trasparenza e chiarezza del contesto relazionale sono cruciali: nel contesto
autoritativo ciò è più agevole, mentre nelle richieste spontanee si rischia il
“doppio binario”, cioè mantenere la relazione con la famiglia usando
l’intervento solo in chiave assistenziale per monitorare la situazione, senza
discutere apertamente dei comportamenti pregiudizievoli. Tale strategia può
diventare problematica se la situazione peggiora, causando reazioni aggressive
dei genitori.
La visita domiciliare rappresenta uno strumento professionale essenziale per
osservare il bambino nel suo ambiente di vita, valutare le relazioni genitori-figli
e offrire uno spazio di ascolto diretto. Deve essere preparata e gestita con
accuratezza e chiara intenzionalità, concordata con gli interessati, evitando
visite a sorpresa, che ridurrebbero la partecipazione dei genitori e la loro
consapevolezza del disagio dei figli. Solo in caso di rischio concreto del minore,
come essere lasciato solo in casa, si procede a un accertamento, distinto
dall’uso professionale della visita domiciliare finalizzata a osservazione e
relazione.
Valutare non giudic
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