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L'informazione e la facilitazione nell'uso delle risorse diventano strumenti di crescita personale e
sociale.
La consueta opera delle donne nella beneficenza si professionalizza e si istituzionalizza l'impegno,
ora sorretto da competenze specifiche, si caratterizza per la sua utilità sociale e quindi in quanto
produttivo, deve essere retribuito.
Paolina Tarugi: milanese, laureatasi in Giurisprudenza nel 1912, diventa nel 1914 relatore al
Congresso Internazionale delle Donne come membro del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane;
nella Prima Guerra Mondiale fa parte di organismi assistenziali e collabora alla rivista
“L'Assistenza civile”. Attiva nell'Unione Femminile, ne dirige insieme a Sofia Ravasi Garzanti la
rivista “La Voce Nuova”. Nel 1921 partecipa alla fondazione dell'Istituto Italiano per l'Assistenza
sociale e organizza l'assistenza sociale in fabbrica. Collabora durante il regime all'attività
dell'Ufficio centrale di Assistenza sociale della Confederazione degli Industriali.
Nel 1928 a Parigi partecipa alla Prima Conferenza Internazionale di Servizio Sociale, come
fondatrice insieme a Margherita Grossmann del servizio sociale italiano. Nel 1946 continuando a
dedicarsi all'insegnamento e all'elaborazione teorica, assume la direzione della Scuola per Assistenti
Sociali di Milano.
1.4. La sfera pubblica femminile nel regime fascista.
Il regime penetra profondamente nella sfera femminile, ma se da una parte cerca di esaudire il loro
desiderio di impegnarsi nella vita pubblica, dall'altra spegne ogni forma di solidarietà femminile.
Il regime investe nella creazione di un consenso di massa intorno alla difesa dell'ordine sociale
esistente. Nascono diverse forme di associazioni tese a coinvolgere ogni ceto e sotto classe della
società (fasci femminili, massaie rurali, giovani fasciste, piccole italiane, ecc).
L'apparenza di tutto questo è dimostrata dalle norme del 1938 che limitavano al 10 per cento la
presenza femminile negli uffici pubblici e privati.
1.4.1 Fascismo e politica sociale.
Nel 1929 il regime lancia il suo appello alle donne affinché aderiscano ai Fasci femminili e prestino
la loro opera volontaria a favore dei poveri.
I gruppi femminili, scarsamente vitali e privi di un riconoscimento sostanziale, non riescono a
rappresentare i problemi delle donne e scindono il binomio filantropia-politica che aveva orientato i
percorsi delle aderenti al femminismo pratico.
Il regime si erge a protettore della famiglia per perseguire i suoi obiettivi di crescita demografica.
Per fronteggiare a questa condizione di debolezza dell'istituto familiare, il regime crea un sistema di
previdenza e di assistenza sociale, basato su forme di integrazione al reddito e su organismi deputati
a fornire aiuto alle famiglie in difficoltà. Per farlo si avvale del volontariato femminile.
Il complesso di interventi e risposte è teso a sviluppare la dipendenza delle famiglie dai servizi
pubblici, in modo da vincolarli sempre più al regime anche attraverso sentimenti di gratitudine.
Imbrigliate in una posizione subalterna, le donne impegnate in quest'opera assistenziale sono ben
lontane dalla tensione che ha animato l'esperienza filantropica del femminismo pratico.
Cap. 2.
Dalla solidarietà spontanea all'organizzazione.
2.1 I Gruppi di Difesa della Donna e per l'Assistenza ai Volontari della Libertà.
“la guerra partigiana è una guerra che si svolge sotto casa, nella quale finiscono per essere coinvolti
tutti”.
Il carattere di molteplicità di questa guerra è evidente nella partecipazione delle donne alla lotta di
liberazione, alla loro presenza nelle bande con funzioni di collegamento e di informazione, di
propaganda, di sabotaggio e nell'organizzare scioperi e sommosse. L'esordio delle donne nella
Resistenza è costituito dalla loro mobilitazione nei confronti dei militari sbandati e minacciati dalla
deportazione in Germania. Comprendono che l'azione individuale deve essere organizzata e nasce
nel 1943 i Gruppi di Difesa della Donna per l'Assistenza ai Volontari della Libertà, nome che non
piace a tutti a causa dei termini difesa e assistenza che danno una connotazione della donna debole e
circoscritta alle sue funzioni di semplice prestazione.
I Gruppi si formano e si sviluppano meglio al Nord Italia dove la durata dell'occupazione permette
di passare dalla forma spontanea ad una organizzata e dove le donne hanno una maggiore
consuetudine di autonomia. Nel 1943 nasce clandestinamente “Noi Donne” che ad un anno dalla
nascita conta tremila donne coinvolte nella lotta partigiana.
2.2 Valenza politica della partecipazione ai Gruppi.
Il dibattito all'interno dei Gruppi esprime un impegno di ampio respiro, orientato alla costruzione di
un mondo nuovo. Le donne sono incitate a risvegliarsi dal torpore e lottare non solo per la rinascita
del paese ma anche per acquisire parità di diritti civili ed economici. Si affermano i diritti delle
donne al lavoro e alla parità di salario, alla partecipazione attiva alla vita sociale, produttiva e
politica.
Una condizione fondamentale del rinnovamento è identificata nella formazione di una coscienza
politica e di una responsabilità sociale.
“intensifichiamo la nostra lotta perché combattendo per la liberazione dell'Italia combattiamo anche
per la rivendicazione dei diritti della donna” diceva un manifesto di propaganda dei Gruppi.
Nello spirito che anima i Gruppi si possono rinvenire tracce dei percorsi dei movimenti
emancipazionisti soffocati dal fascismo e da questo cancellati anche nella memoria delle donne.
2.3 Il riconoscimento.
Il CLNAI nel luglio del 1944 approva un ordine del giorno in cui riconosce i Gruppi di Difesa come
un'organizzazione che agisce nel quadro delle sue direttive e concorda con l'orientamento politico e
con i criteri di organizzazione, apprezzandone i risultati ottenuti nel campo della mobilitazione delle
donne. Questo gesto è importante ma potrebbe nascondere un tentativo di controllo e di
contenimento dei Gruppi.
Nell'ottobre del 1944 i Gruppi ottengono di avere una loro rappresentanza all'interno del CLNAI
anche se con qualche riserva a causa della forte componente comunista sia all'interno dei Gruppi
che del CLNAI il quale teme un egemonizzazione del PCI. Le stesse donne dei Gruppi, comunque,
nutrono diffidenza nei confronti della forte appartenenza comunista di molte componenti
dell'organizzazione e temono che il PCI possa strumentalizzarla come polo di attrazione.
2.4 Unità e dissensi.
Già nel dicembre del 1944 le democristiane, scarsamente rappresentate, escono dai Gruppi e
fondano il Comitato di Coordinamento Femminile. Escono anche le donne liberali.
Le socialiste esprimono a gran voce il loro dissenso per la posizione egemonica delle comuniste
all'interno dei Gruppi ma il conflitto più acceso si manifesta tra azioniste e comuniste.
Nonostante i dissidi, i Gruppi continuano a crescere sul piano numerico e organizzativo e l'azione
sembra rafforzare l'unità.
Unità su cui i Gruppi cercano di fare leva per mobilitare le masse femminili, esprimendo la
necessità di liberarsi dall'oppressione nazifascista, anche su rivendicazioni concrete che possono
coinvolgere anche donne estranee alla politica.
Come disse Lucia Corti “e questa nuova solidarietà femminile sarà forse il modello di quella più
ampia solidarietà nazionale ed umana che dovrebbe essere il frutto della lotta e delle sofferenze di
oggi”.
Questa specificità femminile, anziché costituirsi come elemento di elaborazione politica, diventa
però un ostacolo a una piena cittadinanza della donna, che è invitata a partecipare alla cosa
pubblica, non in quanto cittadina ma in virtù di doti umane particolari. E le viene assegnata una
funzione integrativa confinata all'intero di campi considerati di pertinenza specifica delle donne,
come l'educazione e l'assistenza.
2.5 L'organizzazione.
Nella fase iniziale i Gruppi sono numericamente esigui, ma successivamente si ha un consistente
ampliamento della partecipazione. Nasce l'esigenza di un organizzazione più capillare per evitare lo
sfaldarsi dei Gruppi. Nascono i nuclei e i comitati direttivi aventi funzioni di coordinamento, si crea
una vera e propria struttura territoriale.
Le direttive non sono autoritarie e lasciano ai Gruppi un margine di autonomia. Si sviluppa
un'esperienza di autentica democrazia che contribuisce alla crescita delle donne.
Questo aumenta la sensibilità e il desiderio delle donne di partecipare alla vita politica e il loro
programma di azione prevedeva:
-organizzazione della resistenza nei luoghi di lavoro, nelle scuole e il sabotaggio della produzione;
-reperimento delle risorse concrete per sostenere i partigiani e l'assistenza alle loro famiglie e a
quelle delle vittime;
-la rivendicazione di livelli minimi di risorse necessarie alla vita, quali alloggi, indumenti, ecc.
Grazie alla rete intessuta dai Gruppi diventa possibile fornire ospitalità a malati, feriti, fuggitivi,
condannati a morte, distribuire sussidi, confortare le famiglie.
Tutto questo ovviamente sotto la minaccia di morte estesa da Mussolini a tutti quelli che aiutavano i
prigionieri di guerra evasi.
Molte azioni nascono nella zona di confine fra pubblico e privato, confine reso più fluido dalla
guerra e dall'assenza degli uomini: la casa diventa un punto di riferimento e di organizzazione
clandestina.
Ai Gruppi i CLN affidano l'opera di assistenza alle vittime politiche, ai detenuti, ai reclusi nei campi
di concentramento. Nell'autunno del 1944 sorgono i Comitati Provinciali di Assistenza deputati alla
raccolta e alla distribuzione di fondi.
Cap. 3
L'attività assistenziale nell'esperienza dei Gruppi di Difesa della Donna.
Fin dall'8 settembre 1943 molte donne assumono iniziative autonome e danno vita a quella che
viene considerata una straordinaria operazione di salvataggio.
A parere della Magnani Noja l'azione in cui si erano prodigate queste antifasciste fonda l'assistenza
sociale intesa modernamente.
La decisione di molte donne di partecipare attivamente alla lotta di liberazione fu una vera scelta,
non essendo soggette a nessun obbligo, come lo erano gli uomini.
3.1 Proteggere, assistere, sostenere: limite o competenza delle donne?
Per alcune questa estensione delle attività di cura tipiche della domesticità si costituisce come una
conferma dello stereotipo della debolezza femminile.
Chi agisce dall'interno dei Gruppi non percepisce, invece, nella partecipazione delle donne in
quest'ambito una posizione di debolezza: “non c'erano differenze, se c'erano da portare delle armi
noi donne le portavamo”