Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
LINGUE SLAVE
Le lingue slave (lingue satem) derivano dallo slavo comune (del quale non abbiamo alcuna
documentazione) e si suddividono in:
Lingue slave occidentali: scritte tutte con l’alfabeto latino, sono il polacco (lingua uff Polonia),
● il ceco (lingua uf della Repubblica Ceca), lo slovacco (lingua uf della Slovacchia) nonché,
compreso all’interno dell’attuale parte est della Germania, il sòrabo, distinto in superiore e
inferiore;
Lingue slave orientali: scritte tutte con l’alfabeto cirillico, sono il russo (lingua uf della Russia
● ma anche lingua d’uso di consistenti minoranze russe rimaste nelle repubbliche ex sovietiche), il
russo bianco o bielorusso (lingua uff della Bielorussia) e l’ucraino (lingua uff dell’Ucraina);
Lingue slave meridionali: con alfabeto latino lo sloveno (lingua uf della Slovenia), il croato
● (lingua uf della Croazia),e con alfabeto cirillico il serbo (lingua uf della Serbia e del
Montenegro), il macedone (lingua uf della Macedonia), il bulgaro (lingua uf della Bulgaria)
Le lingue slave nel loro complesso sono poco differenziate. La distinzione tra macedone e bulgaro è in
gran parte artificiale, basata su motivazioni politiche più che linguistiche. Nelle lingue slave meridionali i
confini linguistici solo approssimativamente coincidono con quelli politici (→ motivo di guerra).
Presente in Italia sia una minoranza slovena (nella provincia di Trieste) che croata (nel Molise). Il bulgaro
nella sua fase antica (antico bulgaro = macedone) è stato la prima lingua slava ad essere messa per iscritto,
fu adoperata nella seconda metà del IX secolo dai fratelli monaci Cirillo (futuro San Cirillo) e Metodio,
che conoscevano la varitàslavo meridionale parlata a Tessalonica, per la traduzione in lingua slava della
bibbia e della liturgia greca. LINGUE CELTICHE
Le lingue celtiche (lingue centum) derivano dal celtico comune, del quale non abbiamo alcuna
documentazione. Vanno distinte in celtico continentale (comprendeva varietà parlate nella penisola
iberica, nell’Italia set. e nella Gallia (attuale Francia), si è totalmente estinto intorno al V-VI secolo d.C.) e
celtico insulare all’interno del quale possiamo distinguere:
Lingue gaeliche o goideliche: l’irlandese (lingua uf d’Irlanda), il manx o mancio (parlato
● nell’isola di Man ed estinto dopo la metà del’900) e lo scozzese (quest’ultimo, non autoctono ma
portato da migrazioni irlandesi medievali verso la Scozia);
Lingue britanniche: il gallese (parlato nel Galles), il cornico (proprio della Cornovaglia ed
● estinto dopo la metà del Settecento) e il brettone (parlato nella Bretagna francese, dunque sul
continente, ma in conseguenza di insediamenti medievali che venivano dalla Gran Bretagna).
LINGUE BALTICHE
Le lingue baltiche (lingue satem) derivano dal baltico comune, del quale non abbiamo alcuna
documentazione, e comprendono: il lituano (lingua uf della Lituania), il lèttone (lingua uf della
Lettonia) e l’antico prussiano (estintosi nel Settecento sotto la pressione del tedesco e a noi noto più che
altro per due piccoli lessici il Vocabolario di Grunau e il Vocabolario di Elbing e per la traduzione di tre
Catechismi luterani). Le lingue baltiche, caratterizzate da elementi conservativi (certe caratteristiche
accentuali), sono fra le lingue i.e. di più recente documentazione (circa Cinquecento). Inoltre i balti sono
stati fra gli ultimi popoli d’Europa a essere cristianizzati (dal Trecento).
LINGUE ZINGARICHE
Le lingue zingariche, ossia delle lingue parlate dagli zingari (dai rom) sono lingue satem. Gli zingari
sono originari dell’India, dalla quale, muovendosi (circa intorno al Mille) e passando attraverso la Persia,
l’Armenia, l’impero bizantino e i Balcani (tracce di questo peregrinare sono le voci che gli zingari hanno
preso in prestito dalle lingue dei paesi di volta in volta attraversati), per via di terra sono arrivati in
Europa (probabilmente dalla fine del Duecento in avanti). In Europa, praticando il nomadismo, gli
zingari sono rimasti sempre un passo al di qua dell’integrazione (anche se vi sono casi di zingari stanziali:
ad es. in Abruzzo). Solo circa il 20% degli zingari conserva attualmente le lingue d’origine (frazionate e
prive di standardizzazione). Per quanto meramente lessicale queste lingue hanno avuto comunque un
ruolo nei confronti delle altre lingue europee, fungendo da serbatoio di voci a sfondo gergale (es. nel
gergo abruzzese dei commercianti di cavalli hanno origine zingarica alcuni numerali come ícchǝ ‘uno’,
štárə ‘quattro’, panǧə ‘cinque’, dèššǝ ‘dieci’ e bbiššǝ ‘venti’, che corrispondono allo zingarico jek, štār,
pantš, dēš e bīš rispettivamente (cfr. sscr. eka-, čatur-, páñča, daša, viṁšati-).
LINGUE ISOLATE
L’albanese è una lingua europea documentata a partire dalla metà circa del Cinquecento e suddivisa in
due varietà, ghego a nord e tosco a sud, è la lingua ufficiale dell'Albania, ma è parlata anche al di fuori dei
suoi confini, in varie regioni balcaniche come Montenegro, Kosovo, Macedonia e Grecia, oltre che nel
sud dell'Italia, in particolare in Molise, Puglia, Lucania, Campania, Calabria e Sicilia, dove si trova la
maggiore concentrazione di comunità albanofone. Gli albanesi in Italia, principalmente di varietà tosca,
sono giunti tra il Quattro e il Cinquecento, fuggendo dall'espansione turca nei Balcani. Nonostante
alcune migrazioni più tarde, gli albanesi d'Italia sono sempre stati culturalmente attivi, contribuendo
significativamente alla letteratura albanese. Il Catechismo di Luca Matranga, risalente al 1592 e
proveniente dalla Sicilia, è uno dei testi albanesi più antichi. L’albanese è una lingua satem.
Il neogreco oggi è il solo erede del greco antico (lingua centum) ed in particolare della koiné, quella
varietà greca a base attica che divenne ‘comune’ (koiné) a tutto il mondo grecofono. La storia del
neogreco è complessa, con una divisione sempre più profonda tra greco scritto e greco parlato sin dai
primi secoli dell'era comune. Nel contesto dell'Impero Bizantino, la burocrazia e la chiesa ortodossa
privilegiavano la lingua scritta (katharévousa o ‘lingua pura’), mantenendo uno stile vicino a quello della
koiné. Con l'avanzare degli arabi e dei turchi ottomani, l'aristocrazia era spesso di lingua non greca,
portando a una scarsa attenzione alla promozione della ‘lingua popolare’ o dhimotikí. Durante la
conquista ottomana, la katharévousa divenne un simbolo di continuità culturale, ma la koiné linguistica
restò congelata, limitando l'evoluzione della
lingua greca. La lotta tra katharévousa e
dhimotikí, con implicazioni politiche,
continuò durante l'indipendenza della
Grecia nell'Ottocento. Negli anni '30
dell'Ottocento, con l'indipendenza del
nuovo stato greco, la katharévousa era la
lingua ufficiale, ma la dhimotikí, con una
base peloponnesiaca sviluppatasi ad Atene,
guadagnò popolarità. Nel 1976, dopo la caduta della dittatura dei colonnelli, la dhimotikí fu dichiarata
lingua ufficiale della repubblica greca. Il greco oggi è la lingua ufficiale della Grecia e di Cipro (nella parte
non turca). La guerra greco-turca del 1923 ha portato al ritiro della Grecia dalla regione di Smirne, con
uno scambio di popolazioni che ha praticamente estinto la presenza linguistica greca in Anatolia, durata
per oltre tre millenni. Persistono però due isole linguistiche greche nel sud Italia: una nella penisola
salentina, con centro a Calimera, e l'altra sulle pendici meridionali dell'Aspromonte, con centro a Bova
Superiore. Queste aree rappresentano ciò che resta di una presenza greca che un tempo coinvolse diverse
regioni dell'Italia meridionale, dalla Magna Grecia al Cilento, alla Calabria e alla Sicilia. L'origine di
questa comunità greca, se risalente al greco della Magna Grecia o al greco bizzantino, ha generato
polemiche, ma la presenza continua del greco nell'Italia meridionale sembra l'ipotesi più probabile. Es. di
grecismi presenti nei dialetti italiani del Salento, della Lucania meridionale, del Cilento, della Calabria e
della Sicilia, evidenziando toponimi di derivazione greca: laghetti Alímini, poco a nord di Otranto (=
neogr. límni [λίμνη] ‘lago’).
3. L’Europa linguistica all’inizio dell'era cristiana
L'Impero romano è un vasto organismo politico multietnico e multilingue, con il latino come lingua
ufficiale per l'esercito e l'amministrazione, tuttavia, il territorio è nettamente diviso linguisticamente: il
latino predomina nell'Occidente, mentre il greco prevale nell'Oriente. Oltre al latino e al greco,
nell'Impero Romano sono parlate numerose altre lingue, sia i.e. che non: nel nord Italia e nella Gallia si
parlano varietà di celtico continentale (i.e.); in Hiberia ci sono varietà i.e. come il celtico d'Hiberia o
celtiberico e varietà non i.e. sia imparentate (come l'iberico) che non con il basco; in Africa del nord si
trovano varietà non i.e. imparentate con il berbero e il punico; in Egitto si parla l'antico egiziano(non
i.e.) trasformato gradualmente in copto; in Palestina si usa l'aramaico; in Anatolia si trova il frigio(i.e.);
nei Balcani il trace (o tracio) e l'illirico (entrambi i.e.). In Italia, la situazione linguistica è complessa.
Accanto al latino, lingua dominante in molte regioni, ci sono lingue italiche nel centro-sud (come l'osco
e l'antico umbro) che discenderebbero da una madrelingua comune, l’italico (anche se pareri
contrastanti); il venetico nel nord-est; il messapico nella penisola salentina; e la presenza diffusa del
greco nel sud Italia e in Sicilia. In Sardegna e Corsica si parlano lingue non i.e., discusse per un possibile
collegamento con l'etrusco e l'antenato del basco. Infine, nel Lazio settentrionale e in Toscana
sopravvivono le ultime tracce dell'etrusco. La decifrazione dell’etrusco non è un problema di alfabeto,
poiché si tratta di un alfabeto derivato dal greco e ben comprensibile, ma diventa difficoltosa quando si
affrontano iscrizioni lunghe e complesse, al di fuori delle dediche o iscrizioni funerarie brevi e ripetitive.
L'etrusco è classificato come una lingua non i.e. e isolata, senza alcun collegamento con altre lingue
conosciute. Questa mancanza di paragoni rende difficile interpretare la lingua ad es. i numerali etruschi
conosciuti da uno a sei (Ɵu, zal, ci, śa, maχ, huƟ) non sono confrontabili con que