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Velari palatalizzate: che si sarebbero conservate come tali
nelle lingue centum ma si sarebbero anteriorizzate nelle lingue
satem (così i suoni [k] e [g], velari in latino, palatalizzano
cervum cervo
davanti a [i] e [e] es. il latino diventa in italiano)
(nelle lingue satem ad articolazioni velari corrispondono
articolazioni anteriorizzate (affricate palatali) o nettamente
anteriori (sibilanti) https://www.lfsag.unito.it/ipa/index.html).
Velari pure: che rimangono sia nelle lingue centum che in
quelle satem.
Le labiovelari sono articolazioni consonantiche complesse, nella
loro produzione la chiusura totale dell’apparato fonatorio con
l’accostamento della massa della lingua al velo palatino è
accompagnata da un simultaneo arrotondamento delle labbra. I
suoni labiovelari sono: [kk͡p, ɡk͡b, ŋk͡m], che si pronunciano, emettendo
i suoni [k, ɡ, ŋ] ma chiudendo inizialmente le labbra come se si
pronunciasse [p, b, m], quindi riaprendole come nella pronuncia
normale di [k, ɡ, ŋ]. Come tutti i foni articolatoriamente complessi si
riscontrano di rado. Tuttavia, sono state attribuite all’i.e. in base a
due ordini di considerazioni: sono presenti in epoca storica in alcune
lingue i.e.; nelle lingue i.e. nelle quali si sono semplificate per lo più
si sono semplificate in semplici velari oppure in semplici labiali. 7
Esiti delle labiovelari > a eccezione del greco nelle altre lingue i.e.
le labiovelari si sono semplificate con emersione o dell’elemento
velare o dell’elemento labiale. Le lingue che le hanno trasformate in
velari sono la maggior parte delle lingue i.e. a noi note: baltiche,
slave, armeno e il vasto gruppo delle lingue indoiraniche. Tra le
lingue che hanno fatto emergere l’elemento labiale sono il celtico,
tra cui il gallico. Prevalenza dell’elemento labiale caratterizzava
anche, su suolo italiano, le antiche lingue italiche nelle quali a latino
[kʷ] corrispondeva [p] e a lat. [gʷ]/[w] corrispondeva [b].
La situazione più complessa è quella del greco, che bisogna
distinguere tra greco miceneo e greco del II millennio. Nel greco
miceneo le labiovelari risultano conservate qe (più o meno [kʷe]
ovvero “e” congiunzione). Ma la dissimilazione tipicamnte greca,
per cui le labiovelari perdono l’appendice labiale [ʷ] e si
semplificano in semplici velari si riscontra già in miceneo. Nel greco
del I millennio a.C. invece ciascun tipo di labiovelare dà tre esiti
diversi a seconda del contesto e cioè, esito labiale davanti alle
vocali [a] ed [o], esito dentale davanti alle vocali [e] ed [i], esito
velare in vicinanza di [u].
L’interazione fra velari palatalizzate, velari pure e labiovelari per
quel che riguarda le realizzazioni consonantiche occlusive è
tradizionale attribuire all’i.e.: le occlusive labiali (sorda, sonora e
aspirata); le occlusive dentali (sorda, sonora e aspirata) (vedi
appunti).
Occlusive sorde, sonore e aspirate le aspirate sono occlusive fra
la cui articolazione e quella delle vocali immediatamente seguenti si
frappone un intervallo di tempo minimo e tuttavia sufficiente perché
fuoriuscendo dal canale fonatorio, l’aria immagazzinata nei polmoni
produca come un “soffio” che poi altro non è che una fricativa
laringale. Il sanscrito presente tutte e tre le serie occlusive (sorda,
sonora, sonora aspirata e anche la serie sorda aspirata).
Gli esiti delle occlusive sonore aspirate > i modi in cui le varie
lingue i.e. si sono sbarazzate delle sonore aspirate, semplice e
frequente il sistema di deaspirarle e farle così confluire con le
corrispettive sonore non aspirate. In Europa ritroviamo nelle lingue
baltiche, slave e celtiche. Diverso ma ugualmente lineare è il
sistema seguito dal greco, in cui le sonore aspirate si sono
dapprima assordite in sorde aspirate, quindi trasformate in fricative
sorde (*bh > pʰ > f; *dh > tʰ > ɵ; *gh > kʰ > ). In greco il
passaggio da pʰ, tʰ, kʰ a rispettivamente , si è verificato
con geografia, modalità e cronologia differenziate. Es. gr. ampʰoréa
“anfora”, voce entrata in latino a due riprese: la prima volta ha
prodotto ampora, con [p], di cui ha avuto speciale fortuna il
diminutivo “ampulla” (ampolla); la seconda ha dato am[f]ora con
[f]. Meno lineare risulta invece la strada scelta dal latino, che 8
modifica le sonore aspirate secondo modalità dipendenti. In
f-; f-
posizione iniziale sia *bh che *dh fanno ma *gh da solo in
vicinanza di [u], altrimenti da h- o addirittura zero. In posizione
interna *bh si semplifica sempre in b; ma *dh si semplifica in d solo
se non si trova in prossimità di [r].
In osco e in umbro *bh e *dh in posizione interna passano entrambi
-f-
a che è l’esito che riscontriamo nelle voci che il latino ha preso in
prestito dalle lingue italiche.
Leggi di Grassmann > in sanscrito e in greco le occlusive sonore
aspirate vanno soggette alla legge di Grassmann, in base alla quale
se due aspirate ricorrono in sillabe contigue, per dissimilazione la
prima delle due perde l’aspirazione. Il fenomeno si coglie
soprattutto nelle forme verbali dette a raddoppiamento, cioè,
composte con un prefisso formato da una copia della consonante
iniziale della radice. Esempi:
Nel primo caso si evidenzia il raddoppiamento e la consonante
iniziale della radice a partire dalla quale il raddoppiamento è
formato. Se invece la consonante iniziale della radice è un’aspirata,
allora, nel raddoppiamento, la sua “copia” si manifesta come non
aspirata.
In assenza di forme a raddoppiamento gli effetti della legge di
Grassmann sono meno evidenti in quanto hanno bisogno del
confronto interlinguistico. Es. a giudicare solo dal greco una forma
come peîsma potremmo derivarla da una base originaria *pendh. Se
non lo facciamo è perché siamo messi in allarme dal confronto con
altre lingue i.e.
In sanscrito la legge di Grassmann si è applicata prima del
semplificarsi di gh in h (davanti a *e>a, e i) e di *gh in h (in ogni
posizione). Se partiamo da *ģhew, è chiaro che a un presente a
raddoppiamento come sscr. Ǧu-hó-ti possiamo arrivare solo
attraverso la trafila in:
Quanto al greco, la legge di Grassmann:
si è applicata dopo il passaggio delle occlusive sonore aspirate
o a sorde aspirate: ad es, il perfetto ké-xy-ka (da ké-kʰy-ka)
presuppone un originario *gʰe-gʰy-ka divenuto ormai *kʰe-kʰy-
ka al momento d’applicazione della legge di Grassmann.
Si è applicata anche alla [h]
o
La “mutazione (rotazione) consonantica” delle lingue germaniche (o
legge di Grimm) più semplici sono gli esiti delle occlusive
9
sonore non aspirate i.e. e delle occlusive sorde i.e. che restano più
intatte. Una parziale eccezione è quella del latino, in cui la dentale
d l
sonora passa talvolta a es. od-or “odore” > ol-ēre “aver odore”.
Altra è la situazione che caratterizza la totalità delle lingue
germaniche: in queste le occlusive sorde, sonore e sonore aspirate
dell’i.e. sono andate incontro a una riorganizzazione tanto
geometrica quanto radicale che oppone drasticamente le lingue per
l’appunto germaniche a tutte le altre lingue i.e.:
A occlusive sorde delle altre lingue i.e., nelle lingue
o germaniche corrispondono articolazioni fricative sorde
A occlusive sonore corrispondono occlusive sorde
o A occlusive sonore aspirate corrispondono occlusive sonore.
o indoeuropeo germanico
*p, *t, *k f, ƥ, h
*b, *d, *g p, t, k
*bh, *dh, *gh b, d, g
Eccezioni alla legge di Grimm. La legge di Verner > questa
riorganizzazione di tutte le occlusive operata dal germanico va sotto
il nome di legge di Grimm o prima rotazione consonantica.
Anche se la legge di Grimm risulta disattesa in un numero non
trascurabile di casi. È il caso in cui l’occlusiva sorda, se preceduta
da un’altra fricativa, non diviene fricativa (sorda) ma resta
occlusiva: es. got. e ted. Ist “egli è” da i.e. *ésti, l’occlusiva sorda [t]
non passa fricativa, ma resta occlusiva in quanto preceduta da [s],
che è una fricativa. La spiegazione di questa anomalia fu offerta,
nella seconda metà dell’Ottocento da K. Verner. Secondo lui nelle
lingue germaniche le occlusive sorde originarie (cioè i.e.) pur
evolvendo di norma in fricative sorde evolvono in fricative sonore
quando le seguenti due condizioni:
Le occlusive sorde si trovano fra elementi sonori (cioè non solo
fra vocali ma anche fra liquide o nasali o vocali.
Le occlusive sorde non erano immediatamente precedute
dall’accento i.e.
La “correzione” che offre Verner va sotto il nome di legge di
Verner. Precisando che tanto le fricative sorde come esito
germanico comune delle occlusive sorde i.e. (legge di Grimm),
quanto le fricative sonore come esito germanico comune delle
occlusive sorde i.e. (legge di Verner) vanno incontro a ulteriori
sviluppo, diversi da lingua germanica a lingua germanica.
Ancora sulla legge di Verner > è bene osservare che la legge di
Verner, di solito presentata come completamento della legge di
Grimm, da questa è invece di per sé indipendente. Quando a un
certo momento della storia del germanico comune, la legge di 10
Verner è sorta e ha preso ad applicarsi, suo diretto bersaglio sono
state tutte le fricative sorde che il germanico possedeva: dunque,
sia quelle di eredità i.e. si quelle formatesi via legge di Grimm.
Riepilogando:
a) Il germanico comune si stacca dall’i.e. e comincia a evolvere
autonomamente, conservando però l’accentazione mobile di
tipo i.e.;
A un dato momento di questa fase, s’instaura la legge di
b) *f, *ƥ, *h *p, *t,
Grimm che crea le nuove fricative sorde (i.e.
*k) *s
e le affianca alla fricativa (ereditata dall’i.e.);
c) S’instaura quindi la legge di Verner, che va a colpire tutte le
fricative sorde del germanico.
d) In fase successiva, l’accento del germanico comune, da mobile
che era, si “fissa” sulla prima sillaba e oscura le motivazioni
della legge di Verner.
La teoria delle consonanti glottali teoria delle glott(id)ali (o
eiettive) è avanzata dai linguisti sovietici T.V. Gamkrelidze e V.V.
Ivanov negli anni Settanta del Novecento. Se controlliamo le lingue
del mondo, il sistema di occlusive attribuito all’i.e. si configura *p,
come raro dal momento che avrebbe compreso la serie sorda (
*t, *ḱ, *kʷ) (*b, *d, *ģ, *g, *gʷ)
sonora ma non la serie sorda aspirata
(*ph, *th, *ḱh, *kh, *kʷh).
<