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LA TIPOLOGIA E IL MUTAMENTO LINGUISTICO – IL PARADIGMA DINAMICO
La tipologia linguistica costituisce un procedimento di classificazione delle lingue che si colloca su un piano
sincronico: le lingue vengono analizzate a prescindere dall’epoca di attestazione e dalla famiglia di
appartenenza. Anche la tipologia ha tentato a più riprese di aprirsi un varco verso la diacronia; negli ultimi
trent’anni, i tentativi di costruire un ponte tra la linguistica storica e la tipologia linguistica sono divenuti più
convinti. In sostanza, ci si è chiesti se i risultati conseguiti dalla prima debbano rientrare nell’ambito di studio
della seconda e se la metodologia elaborata dalla tipologia possa avere una ricaduta nei processi di
ricostruzione linguistica. Dal punto di vista della tipologia, il nucleo della questione è essenzialmente quello di
capire se e in quale misura i tipi siano coinvolti nel cambiamento linguistico. La storia ci pone di fronte agli occhi
sia mutamenti marginali e quasi irrilevanti nell’equilibrio complessivo della lingua, sia trasformazioni radicali e
dall’impatto devastante, nelle quali non sono solo singoli segmenti del sistema a mutare, ma è l’intero sistema a
essere coinvolto o addirittura sconvolto dal cambiamento. Pare logico supporre che nella storia di una lingua
anche i tipi possono cambiare. E poiché, come si è detto, ogni lingua è un sistema in lento ma perenne
movimento, se ne deve dedurre che nessuna configurazione tipologica può essere considerata come
un’acquisizione definitiva. Se queste sono le premesse, pare vantaggioso inquadrare ogni singolo mutamento
linguistico nell’ambito di una più ampia transizione, all’interno di un sistema in lenta trasformazione. Un
approccio di questo tipo viene convenzionalmente indicato come dinamicizzazione della tipologia. Osservando
il mutamento attraverso gli occhi della tipologia:
• I tipi più coerenti superano la selezione della storia e si affermano stabilmente
• Una lingua passa sempre da uno stadio tipologicamente meno coerente a uno più coerente
• Le proprietà e le correlazioni universali sono più forti degli eventi e dunque resistono a ogni pressione
Il secondo assunto ha una sua validità di fondo, che tuttavia si impone solo adottando una prospettiva di
indagine molto ampia. È indubbiamente vero che, alla lunga, la tendenza largamente ricorrente in ottica
interlinguistica è quella di non abbandonare uno stato tipologico coerente a vantaggio di uno stato tipologico
incoerente. Ma poiché il mutamento linguistico si dipana con molta lentezza e senza sbalzi, vi sono stadi
intermedi in cui la congruenza tipologica pare trascurata. Una transizione tipologica prevede che una lingua
coerentemente di tipo X passi al tipo Y, altrettanto coerente.
Le vicende storico-sociali della comunità parlante possono condizionare pesantemente la durata di questo
stadio, indirizzandolo rapidamente verso il suo naturale compimento. In casi estremi, la transizione in atto può
addirittura arrestarsi “a metà del guado”, determinando, ad esempio, una cristallizzazione di questa fase
intermedia e la conseguente affermazione di un sistema linguistico dalla fisionomia tipologica bizzarra.
TIPI STABILI E TIPI FREQUENTI
Se avessimo la possibilità di osservare una carta geolinguistica del mondo e di analizzare la distribuzione dei tipi
linguistici in sincronia e diacronia, tre aspetti colpirebbero maggiormente la nostra attenzione:
• vi sono tipi diffusissimi e altri assolutamente rari, sebbene altrettanto coerenti in prospettiva tipologica.
• Vi sono tipi molto duraturi, capaci, cioè di resistere ai condizionamenti della storia, e altri
particolarmente vulnerabili che, al contrario dei precedenti, sembrano in grado di opporre ben poca
resistenza alle vicissitudini storico-sociali delle proprie comunità di parlanti;
• tipi diffusi in modo uniforme su tutta la superficie della Terra e altri che invece caratterizzano solo
lingue concentrate in regioni limitate e circoscritte del pianeta.
Alla base di tutto ciò sta un’importante verità di fondo: i tipi linguistici non hanno la medesima probabilità di
occorrenza e quest’ultima dipende solo dalla loro coerenza interna. La stabilità è la frequenza consentono di
spiegare in modo piuttosto convincente la distribuzione disomogeneo dei tipi linguistici.
Con stabilità si intende la probabilità che un determinato tipo venga abbandonato o mantenuto dalle lingue che
ad esso possono essere ascritte.
La frequenza corrisponde alla probabilità che un determinato tipo venga assunto dalle lingue storico-naturali.
I due fattori, pur indipendenti, agiscono congiuntamente e consentono di prevedere, con buona attendibilità, la
diffusione genealogia e/o areale di un tipo. In generale, si suppone che un tipo stabile venga mantenuto a lungo
da una lingua e che sia in grado di superare indenne il mutamento linguistico, trasmettendo da una lingua
madre alle lingue figlie.
I tipi stabili esibiscono di norma una diffusione omogenea all’interno delle famiglie linguistiche.
I tipi frequenti mostrano una diffusione più uniforme in termini areali. Essi in sostanza si diffondono non tanto
verticalmente (dalla lingua madre alle lingue figlie), quanto piuttosto per vie orizzontali (a macchia d’olio tra
lingue adiacenti). La combinazione dei due criteri appena menzionati dovrebbe consentire di giustificare la
diffusione di tutti i tipi linguistici.
• Tipi stabili e frequenti: diffusi geneticamente e geograficamente = le vocali anteriori non arrotondate
(e, i…)
• Tipi stabili e infrequenti: diffusi in singole famiglie linguistiche, ma non geograficamente = armonia
vocalica, un processo di assimilazione a seguito del quale i tratti della vocale della sillaba iniziale si
estendono alle vocali delle sillabe seguenti
• Tipi instabili e frequenti: diffusi geograficamente, ma in modo omogeneo e sporadico nelle varie
famiglie linguistiche = nasalizzazione vocalica
• Tipi instabili e infrequenti: piuttosto rari sia nelle famiglie linguistiche, sia arealmente = consonanti che
prendono il nome di click
TENDENZE TIPOLOGICHE E AREALI NEL MUTAMENTO LINGUISTICO
I tipi molto stabili si riconoscono per una diffusione ampia in chiave genealogica: sono attestati in quasi tutti i
membri di una o più famiglie linguistiche. Il massimo grado di stabilità coincide di fatto con l’universalità: un
tipo caratterizza tutte le lingue di tutte le famiglie linguistiche. Visto che la lingua è un sistema fortemente
orientato all’economia, sembra plausibile supporre che un tipo molto stabile abbia seguito sempre le stesse
tappe. Al contrario, nel caso dei tipi più frequenti, diffusi in singole e specifiche aree geolinguistiche, l’azione di
tendenze fortemente connotate in chiave areale sembra più probabile. Se uno stesso tipo è attestato in diversi
gruppi di lingue non necessariamente imparentato e concentrate in vari contesti regionali reciprocamente non
adiacenti, si può supporre che il tipo in questione si sia sviluppato secondo un’autonoma e specifica linea
direttrice in ciascuno di essi. L’azione dei criteri di stabilità e frequenza nella diffusione dei tipi linguistici e la
loro efficacia nel prevedere le strategie coinvolte nel mutamento linguistico possono essere e semplificate
analizzando la distribuzione sincronica e il percorso evolutivo dei diminutivi e degli accrescitivi. I primi sono una
prerogativa della quasi totalità delle lingue del mondo, mentre i secondi sono attestati in modo decisamente più
sporadico. I diminutivi paiono davvero resistenti al mutamento e di norma si tramandano da una lingua madre
alle lingue figlie. Al contrario, gli accrescitivi paiono una strategia linguistica molto recente: sono attestati in
alcune lingue romanze, in neogreco, nella maggior parte delle lingue slave, ma del tutto assenti in latino, in
greco antico e nello slavo comune.
I diminutivi sono dunque un fenomeno contraddistinto da un alto grado sia di stabilità che di frequenza e gli
accrescitivi come un fenomeno instabile ma frequente. Perciò:
• I diminutivi si sono formati seguendo quasi sempre lo stesso percorso evolutivo
• Gli accrescitivi hanno seguito processi di formazione diversi in rapporto ai singoli contesti areali nei
quali si sono affermati
I diminutivi paiono essere, quasi ovunque, l’effetto della trasformazione di un affisso precedentemente
utilizzato per esprimere la relazione parentale. Per gli accrescitivi, invece, non si registra la stessa uniformità.
In ambito in do europeo si osserva una competizione tra numerosi percorsi evolutivi distinti. In greco e nelle
lingue romanze gli accrescitivi possono derivare tanto da antiche forme peggiorative, quanto da collettivi.
I diminutivi, stabili e frequenti, si sviluppano diacronicamente secondo una matrice tipologica piuttosto
generale e interlinguisticamente diffusa. Gli accrescitivi, piuttosto frequenti, ma instabili, non seguono, nella
loro evoluzione, un copione predefinito, ma ricorrono a cliché diversi e fortemente connotati in senso areale.
I TIPI DEVIANTI
Le lingue sono sistemi in continuo movimento. Nessuna conformazione tipologica costituisce un’acquisizione
definitiva e duratura; al contrario, ogni tipo corrisponde a uno spaccato della storia linguistica che verrà
abbandonato. Dato che il cambiamento linguistico non avviene bruscamente, è naturale prevedere l’esistenza di
fasi intermedie in cui le forme o le strutture in regresso convivano con le forme o le strutture in via di
affermazione.
Se adottiamo una prospettiva d’indagine puramente sincronica, sistemi di questo tipo costituiscono senza
dubbio delle lampanti e scomode eccezioni a buona parte delle generalizzazioni tipologiche proposte. Se invece
ci avvaliamo di un approccio in grado di conciliare le dimensioni sincronica e diacronica, le lingue dalla
fisionomia problematica trovano una loro ragion d’essere e una piena legittimazione come espressione della
sintomatologia di un più o meno complesso mutamento in atto.
È opinione corrente che il latino sia una lingua morta. Tuttavia, nessuno sarebbe in grado di indicare con
precisione né la data di morte, né tantomeno la data di nascita delle lingue romanze che lo hanno sostituito.
L’unico strumento che abbiamo a disposizione sono le prime attestazioni scritte di questi ultimi. Questi
documenti offrono una visione parziale delle cose, in quanto indicano solo che prima della loro redazione si
erano affermate consuetudini linguistiche non più riconducibili al latino “ufficiale” e normato.
Per analizzare il passaggio dal latino alle lingue romanze, disponiamo di una documentazione ampia e
dettagliata, ma essa è in parte lacunosa, in quanto non attesta gli usi linguistici più propensi a svelare