vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Le sue padrone avevano, dapprima, tremato un pochino, proprio come aveva tremato una volta il decano, all’idea papista di ricevere sotto il loro tetto una cattolica. Ma non volevano importunare una creatura già tanto provata con il loro francese catechismo, e del resto non erano troppo sicure del loro protestantesimo. Convennero, in silenzio, che l’esempio d’una buona vita luterana sarebbe stato il mezzo migliore per convertire la loro domestica. In questo modo la presenza morale di Babette in casa diventò, per così dire, uno stimolo per i suoi abitanti. Avevano diffidato dell’asserzione di Monsieur Papin secondo la quale Babette era capace di cucinare. In Francia, lo sapevano, la gente mangiava con lusso e prodigalità. […] Le figlie del decano si sentirono, poi, preoccupate e sgomente al pensiero del peccato e della povertà dei francesi. L’indomani dell’entrata di Babette al loro servizio, esse la convocarono per spiegarle che erano peccatrici e che per loro era un peccato.
loro sedersi a una mensa di lusso era . [...] Anche il mondo al di fuori della casa gialla finì per rendersi conto della bravura di Babette. La profuga non imparò mai la lingua della sua nuova patria, ma nel suo spettatante norvegese riuscì a far calare i prezzi ai più incalliti commercianti di Berlevaag. Era temuta al porto e al mercato. I vecchi Fratelli e le vecchie Sorelle, che dapprima avevano guardato in cagnesco la straniera felice mutamento capitata in mezzo a loro, sentivano che un era avvenuto nella vita delle loro Sorelline, e se ne rallegrarono e ne beneficiarono. Scoprirono che preoccupazioni e ansie erano state magicamente scacciate dalla loro elargire esistenza, e che ora avevano danaro da , tempo per le confidenze e le lagnanze dei loro vecchi amici e pace per meditare su questioni celesti. Dopo qualche tempo non pochi membri della Confraternita inclusero il nome di preghiere Babette nelle loro , e ringraziarono Dio per la straniera silenziosa.la bruna Marta in casa delle loro due bionde Marie.Cibo
La tematica del cibo è fortemente presente in questo racconto. In effetti, la scrittrice ebbe sempre una forte affinità con questo tema. In La mia africa, scrisse:
cucina
Io stessa ero appassionata di cucina: tornando per la prima volta in Europa avevo preso lezioni dallo chef di un famoso ristorante francese. Sarebbe stato divertente poter preparare dei buoni piatti in Africa, pensavo. Vedendo il mio entusiasmo, lo chef, Monsieur Perrochet, mi aveva proposto persino di dirigere il ristorante insieme a lui.
Quando scoprii Kamante, quella specie di genio familiare che lavorava al mio fianco, mi riprese l'amore per la cucina. Lavorare insieme con lui mi apriva dei vasti orizzonti: scoprire in un selvaggio l'istinto innato per la nostra arte culinaria mi pareva miracoloso. Giungevo a giudicare la nostra civiltà da un punto di vista completamente diverso: forse era davvero e predestinata. Mi sentivo come
l'emozione e il coinvolgimento del lettore.Un cambiamento nei personaggi. Il gusto incide così nel profondo i personaggi, tanto da decretarne la metamorfosi. Così, qualcosa di inspiegabile, nella realtà il confronto dell'individuo con l'arte, agisce nel profondo della coscienza.
Il cibo, a questo punto, diventa linguaggio: trasformare il cibo in pietanza, e quest'ultima nel piatto che viene servito, significa affermare, rappresentare con regole precise, una soggettività, un'individualità. I cibi selezionati da Babette, la loro preparazione, le regole della loro presentazione a tavola, la confezione del piatto, si iscrivono nel registro dell'alta cucina, in un linguaggio coerente con l'espressione di un talento individuale, senza dubbio di ambito artistico. Il discorso "cibo come linguaggio" stabilisce qui l'equazione "cibo=arte".
Per Babette la spiritualità è un aspetto assai più importante del possesso materiale.
Delle cose. La spiritualità intesa come artisticità, disposizione dello spirito e del proprio animo che supera la disponibilità materiale delle cose. Non c'è paragone, secondo la visione di Babette, tra il dedicare il pasto e tenersi i 10.000 franchi. La dimensione artistica è sottolineata anche tramite il personaggio di Achille Papin, un vero e proprio artista; essendo tale, riconosce il talento e la vena artistica di Babette, che quindi è introdotta dalla sua lettera, che sembra quella che un artista maturo prepara per una giovane artista che ancora deve esplodere. Sappiamo anche dalla parabola della vicenda quanto Babette sia consapevole della sua artisticità tramite la sua battuta finale, "un'artista non è mai povero".
Temi
Oltre al tema del cibo visto come linguaggio e arte, ci sono altri temi nella vicenda:
- Religione: il cibo è visto come simbolo del peccato, un po' come la mela biblica.
perfino posseduto una tartarughina, ma questa era una cosa di dimensioni mostruose, e orrenda da vedere. Uscì dalla cucina, rinculando, senza dire una parola.
La religione inoltre offre due visioni del mondo attraverso il banchetto: da un lato la semplicità spartana a cui si collega la visione luterana del decano e delle sue figlie. È una visione, questa, radicale ed essenziale, i cui beni terreni sono visti come un'illusione. Babette fa la stessa cosa, ma opposta: rinuncia ai soldi, ma non a trasmettere il suo talento. Dall'altro c'è la visione del banchetto come momento di sfarzo e ostentazione. Attraverso il banchetto, Babette innesta in quella visione essenziale un'altra visione della vita, senza però cadere nel peccato. Sono quindi due visioni della vita possibili e alternative l'una all'altra.
La religione, inoltre, è intesa come vita e rappresentata dalle sorelle, Martina e Filippa.
La religiosità non è incarnata tanto dal pastore, nonostante la sua funzione guida, quanto più dalle due sorelle, completamente devote al progetto pastorale portato avanti dal padre. Questa è una religiosità quasi clericale e laica, ovvero un'adesione totale a un'ideologia per la quale, tuttavia, le sorelle dovranno rinunciare ai loro amori sfuggiti, fatti scappare. Anche Babette ha perso i suoi amati, marito e figlio. Si scorge quindi anche un velo di malinconia, di tutte le possibilità che si sono palesate e sono svanite.
Vita: alla fine del banchetto, Babette non è più esclusa, ma è guardata con nuovi occhi. Attraverso la lettura partecipiamo a un atto di riconciliazione con la vita; tutto converge nella scena in cui inizia il pasto. Attraverso il risveglio di una percezione sensoriale - scrocchio di alimenti, rumori di forchette - c'è un risveglio alla vita di tutti i personaggi.
Attraverso il dono del pranzo e l'esperienza del godimento del cibo, Babette restituisce alla vita i membri della piccola congregazione: il cibo favorisce l'incontro dei destini a tavola. Il racconto inneggia alla gioia, della gola e dell'anima, e non può che essere così con il susseguirsi dei piatti prelibati. La delizia della gola si trasforma in delizia dell'anima, e gli antichi rancori vengono così sopiti sostituiti da uno spirito di fratellanza. I pochi altri personaggi del racconto non sono molto tratteggiati, ma nel momento in cui vengono riuniti attorno alla tavolata, ognuno conserva dei ricordi quasi tutti connotati al negativo e correlati al rancore. Gustare il cibo significa concedere spazio al piacere dei sensi. Il gusto, come detto prima, diventa gola, esagerazione, una concessione indebita. Sono tutti timorosi di quello che sta accadendo tranne uno, il generale Loewenhielm. Il discorso del generale è molto solenne, anche se.il suo messaggio non passa fino in fondo:
Rettitudine felicità“Misericordia e verità si sono incontrate, amici miei,” disse il generale. “ e debbonobaciarsi.” Parlava con una voce limpida che s’era allenata nei maneggi e aveva echeggiato dolcementenei saloni regali, eppure parlava in un modo tanto nuovo a lui stesso e tanto commovente che dopo ilprimo periodo dovette fare una pausa. Egli era uso formulare i suoi discorsi con cura, consapevole del loroscopo, ma qua, in mezzo alla semplice Congregazione del decano, era come se tutta la figura del generaleportavoceLoewenhielm, col petto coperto di decorazioni, fosse soltanto il d’un messaggio che dovevaessere comunicato. “L’uomo, amici miei,” disse il generale Loewenhielm, “è fragile e stolto. A tutti noi èstato detto che la grazia deve essere ricercata nell’universo. Ma tanta è la nostra umana stoltezza eimprevidenza che immaginiamo la
grazia divina essere finita. E perciò tremiamo...” Il generale non avevamai, prima di allora, dichiarato di tremare; era sinceramente sorpreso e pe