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Arrosto e bollito

Negli ultimi anni di vita di Carlo Magno, i medici consigliarono all'imperatore di abbandonare gli arrosti e passare alle carni lessate. Dietro l'abitudine di Carlo Magno di mangiare carni arrostite e dietro al suo rifiuto delle carni bollite è facile intravedere anche valenze culturali: non solo nelle società tradizionali, ma ancora oggi, l'arrosto e il bollito giocano ruoli contrapposti sul piano simbolico, ma soprattutto significano cose diverse:

  • L'arrosto sta decisamente dalla parte della "natura" e del "selvatico", poiché non richiede altri mezzi che il fuoco, su cui la carne allo spiedo cuoce direttamente.
  • Il bollito invece, che "media" attraverso l'acqua il rapporto tra fuoco e cibo, richiede l'uso di un recipiente per contenere e cuocere le carni e tende ad assumere significati simbolici legati alla nozione di "domesticità". Non la foresta.

Ma la casa appare l'ambito naturale di questo tipo di preparazione, con le sue pentole appese sul fuoco sempre accese, protette da un giro di pietre in mezzo alla stanza. I valori simbolici attribuiti al bollito - domesticità, "cultura", rapporto "dolce" con il cibo - si innestavano su una realtà di maggiore economicità e redditività: cuocere in pentola, anziché direttamente sul fuoco, significava anche non disperdere i succhi nutritivi delle carni, trattenerli e concentrarli nell'acqua. Il brodo ottenuto si poteva riutilizzare per altre preparazioni, assieme a nuove carni, a cereali, legumi e verdure.

Nell'opposizione arrosto/bollito vi è anche una contrapposizione di genere: la pentola che bolle sul focolare domestico rientra preferibilmente nelle competenze femminili, mentre la gestione del fuoco per arrostire le carni è di frequente un'operazione maschile, che conduce a immagini

di elementi come aria, acqua, terra e fuoco. La cucina, quindi, diventa uno strumento per bilanciare e armonizzare questi elementi all'interno del corpo umano. La cucina come arte La cucina non è solo una pratica quotidiana, ma può essere considerata anche un'arte. La preparazione di un piatto richiede creatività, abilità e passione. I cuochi sono degli artisti che utilizzano ingredienti e tecniche per creare opere d'arte commestibili. La presentazione del cibo diventa quindi un elemento fondamentale, rendendo il pasto non solo gustoso, ma anche visivamente attraente. La cucina come momento di condivisione La cucina è anche un momento di condivisione e convivialità. Preparare un pasto insieme ad amici o familiari crea un'atmosfera di intimità e allegria. Sedersi a tavola e gustare insieme il cibo preparato è un'occasione per socializzare, raccontarsi e creare legami. La cucina come espressione culturale La cucina è un elemento fondamentale della cultura di un popolo. Ogni paese, regione o città ha le sue specialità culinarie, i suoi piatti tradizionali che rappresentano la sua identità. La cucina diventa quindi un modo per conoscere e apprezzare le diverse culture del mondo. In conclusione, la cucina è molto più di una semplice pratica quotidiana. È un'arte, un momento di condivisione e un'espressione culturale. È un modo per connettersi con la natura, migliorare la salute e creare legami con gli altri.quattro fattori, abbinati a due a due: caldo/freddo, secco/umido, che, a loro volta, derivano dalla combinazione dei quattro elementi (fuoco, acqua, aria, terra) che costituiscono l'universo. L'uomo può dirsi in perfetta salute quando nel suo organismo i vari elementi si combinano in maniera equilibrata, ma se uno di essi prevale sugli altri per varie ragioni, è indispensabile ripristinare l'equilibrio con accorgimenti, primo fra tutti quello del controllo dell'alimentazione. Proprio qui entra in campo la cucina, dato che in natura non esistono alimenti perfettamente equilibrati e, pertanto, si rende necessario correggere le qualità naturali del prodotto e ricondurle alla misura secondo due linee di intervento: le tecniche di cottura e le modalità di abbinamento fra i cibi. In quest'ottica si spiegano le indicazioni su come cuocere gli alimenti che troviamo nei ricettari di cucina: una precisa corrispondenza deve intercorrere fra

Il tipo di carne (genere, sesso, età) e la cottura a cui essa è destinata; analoghi criteri orientano gli abbinamenti che sono poi entrati nell'uso fino a oggi (il formaggio con le pere o il melone con il prosciutto). Il "cuoco galenico" presta un'attenzione particolare anche alle salse, che, opportunamente affiancate alle carni e ai pesci, hanno lo scopo di temperare le vivande rendendole digeribili e gustose.

Scelto il tipo di cottura e determinati gli abbinamenti, il terzo atto strategico della salute a tavola compete al "maestro di casa/scalco": allestire le vivande, durante il pasto, secondo una successione che ne favorisca il buon assorbimento e la buona digestione.

Il rapporto piacere-salute nelle culture premoderne è stato pensato come un nesso inscindibile, all'interno del quale i due elementi si rafforzavano a vicenda: l'idea che il piacere sia salutare, che "ciò che piace fa bene".

È un’idea-base della dietetica antica. E le “regole dalla salute” sono anzitutto regole ali-mentari (non restrizioni) bensì della costruzione di una cultura gastronomica. Dal XVII-XVIII secolo lascienza dietetica ha cominciato a fondarsi sull’analisi chimica anziché sull’osservazione fisica, introdu-cendo concetti, formule e parole non più legate all’esperienza sensoriale. Tuttavia, continua a incidereprofondamente sul modo di avvicinarsi a tavola.

IL PIACERE (E IL DOVERE) DELLA SCELTA – Il gusto è un prodottoculturale

Il cibo non è “buono” o “cattivo” in assoluto: l’organo del gusto non è la lingua, ma il cervello, attraversoil quale si imparano e si trasmettono i criteri di valutazione che sono variabili nello spazio e nel tempo: ciòche in un’epoca è giudicato positivamente, in un’altra è ritenuto una ghiottoneria, in un altro come di-sgustoso.

Il termine "gusto" rimanda a due accezioni: 1. Inteso come sapore, come sensazione individuale della lingua e del palato: soggettiva, sfuggente, incomunicabile. 2. Inteso come sapere, valutazione sensoriale di ciò che è buono o cattivo, che piace o dispiace; questa valutazione viene dal cervello prima che dalla lingua. Da questo punto di vista è un'esperienza di cultura che ci viene trasmessa fin dalla nascita: Jean-Louis Flandrin ha coniato l'espressione "strutture del gusto" proprio per sottolineare il carattere collettivo e condiviso di tale esperienza. La cucina odierna (italiana e europea) ha un carattere prevalentemente analitico, tende cioè a distinguere i sapori - dolce, amaro, salato, agro, piccante... - riservando a ciascuno di essi uno spazio autonomo, sia nelle singole vivande, sia nell'ordine del pasto, mentre quella medievale e rinascimentale avevano elaborato un modello di cucina.

Basato principalmente sull'idea dell'artificio e sulla mescolanza dei sapori. Sia la preparazione delle singole vivande, sia la loro dislocazione all'interno del pasto, rispondevano a una logica sintetica più che analitica: tenere insieme, più che separare, che rispondeva anche alle regole della scienza dietetica, che riteneva "equilibrato" il cibo che contenesse in sé tutte le qualità nutrizionali: la vivanda perfetta era ritenuta quella in cui tutti i sapori fossero simultaneamente presenti. Un tipico esempio di questa cultura è il gusto dolce-salato, oppure l'agro-dolce, che mescolava lo zucchero agli agrumi; gusti non totalmente scomparsi che ancora oggi si ritrovano nelle cucine di area germanica e dell'est. Si pensi a prodotti come la mostarda cremonese, che unisce il piccante delle spezie al dolce dello zucchero, o ai timballi di maccheroni, al pepe e allo zucchero del panpepato e di altri dolci natalizi.

Altro carattere di base della gastronomia premoderna è l'estrema parsimonia nell'uso dei grassi, poiché quella di mezzo millennio fa era una cucina fondamentalmente magra, che per confezionare le salse utilizzava ingredienti acidi: vino, aceto, succo di agrumi, agresto, tenuti insieme con mollica di pane, fegato, latte di mandorle, uova; mentre le salse grasse, a base di olio e burro (maionese, besciamella) sono invenzioni del XVII secolo. Anche le tecniche di cottura seguivano questa tendenza a sovrapporre e ad amalgamare i sapori, anziché distinguerli, per ottenerne particolari sapori e consistenze.

Per quanto riguarda il rapporto tattile con gli alimenti, il cucchiaio era necessario per cibi liquidi, mentre la forchetta comparve per alimenti come la pasta, bollente e scivolosa, che difficilmente si poteva gestire con le mani (ciò accadde in Italia per prima) ma per le vivande di carne, l'uso di quest'ultima continuava ad apparire innaturale.

Il rapporto col cibo è stato modificato dal diffondersi, verso la metà del XIX secolo, del cosiddetto "servizio alla russa", cioè l'uso di servire ai convitati una successione di vivande prefissata e uguale per tutti, ovvero ciò che accade oggi, mentre il modello seguito fino ad allora era simile a quello che troviamo in Cina o in Giappone: i cibi sono serviti in tavola simultaneamente; spetta a ciascuno sceglierli e ordinarli secondo il proprio piacere.

Divagazione. Il gioco della "cucina storica"

Una moda che negli ultimi anni si è diffusa ovunque è quella cucina "storica": è possibile ricostruire il gusto alimentare di un'epoca? Se la cultura gastronomica dei secoli passati si può studiare e ricostruire, il passaggio al piano pratico dell'esperienza appare impossibile, poiché i prodotti di oggi non sono più quelli di una volta e i consumatori non sono più gli stessi.

Stessi e la loro educazione sensoriale è diversa. I cibi "troppo" speziati del Medioevo, per gli uomini di quel tempo non lo erano; mangiare con le mani, che nel Medioevo era normale, per noi non lo è più (mentre si ritrova in altre culture: cuscus marocchino). In ogni caso dovremmo accontentarci di approssimazione, un po' come quando viaggiamo e cerchiamo di comprendere (non possiamo condividere) culture diverse dalla nostra, anche perché i ricettari medievali spesso omettono di precisare la quantità, le dosi degli ingredienti (non per imprecisione, ma perché si rivolgono a un pubblico di professionisti).

Il gusto è un prodotto sociale. Se tutti i comportamenti passano attraverso un momento di scelta, i meccanismi con i quali la scelta si compie sono diversi: è ben chiaro infatti che la fame e l'abbondanza difficilmente portano alle stesse scelte, e che, se tutti hanno diritto a trasformare in piacere la

La necessità del sostentamento quotidiano, le modalità con cui ciò si verifica sono diverse tra loro. L'antropologo Martin Harris ritiene che le scelte alimentari dei popoli e degli individui siano sempre determinate da un ca
Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
18 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/14 Critica letteraria e letterature comparate

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mlaulm di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letturature comparate e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Proietti Paolo.