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Le differenze tra la cucina di ieri e quella di oggi

La cucina odierna (italiana e europea) ha un carattere prevalentemente analitico, tende cioè a distinguere i sapori - dolce, amaro, salato, agro, piccante... - riservando a ciascuno di essi uno spazio autonomo, sia nelle singole vivande, sia nell'ordine del pasto, mentre quella medievale e rinascimentale avevano elaborato un modello di cucina basato principalmente sulla mescolanza dei sapori, quindi sia la preparazione delle singole vivande, sia la loro dislocazione all'interno del pasto rispondevano a una logica sintetica più che analitica: tenere insieme, più che separare, che rispondeva anche alle regole della scienza dietetica, che riteneva "equilibrato" il cibo che contenesse in sé tutte le qualità nutrizionali: la vivanda perfetta era ritenuta quella in cui tutti i sapori fossero simultaneamente presenti. Un tipico esempio di questa cultura è il gusto dolce-salato.

oppure l'agro-dolce, che mescolava lo zucchero agli agrumi, gusti non totalmente scomparsi che ancora oggi si ritrovano nelle cucine di area germanica e dell'est. Si pensi a prodotti come la mostarda cremonese, che unisce il piccante delle spezie al dolce dello zucchero, o ai timballi di maccheroni, al pepe e allo zucchero del panpepato e di altri dolci natalizi. Altro carattere di base della gastronomia premoderna è l'estrema parsimonia nell'uso dei grassi, poiché quella di mezzo millennio fa era una cucina fondamentalmente magra, che per confezionare le salse utilizzava ingredienti acidi: vino, aceto, succo di agrumi, agresto, tenuti insieme con mollica di pane, fegato, latte di mandorle, uova, mentre le salse grasse, a base di olio e burro (maionese, besciamella) sono invenzioni del XVII secolo. Per quanto riguarda il rapporto tattile con gli alimenti, il cucchiaio era necessario per cibi liquidi, mentre la forchetta comparve per alimenti solidi.

Come la pasta, bollente e scivolosa, che difficilmente si poteva gestire con le mani (ciò accadde in Italia per prima) ma per le vivande di carne, l'uso di quest'ultima continuava ad apparire innaturale. Il rapporto col cibo è stato modificato dal diffondersi, verso la metà del XIX secolo, del cosiddetto "servizio alla russa", cioè l'uso di servire ai convitati una successione di vivande prefissata e uguale per tutti, ovvero ciò che accade oggi, mentre il modello seguito fino ad allora era simile a quello che troviamo in Cina o in Giappone: i cibi sono serviti in tavola simultaneamente, e spetta a ciascuno sceglierli e ordinarli secondo il proprio piacere.

Divagazione. Il gioco della "cucina storica". È possibile ricostruire il gusto alimentare di un'epoca? Se la cultura gastronomica dei secoli passati si può studiare e ricostruire, il passaggio al piano pratico dell'esperienza appare impossibile.

Poiché: i prodotti di oggi non sono più quelli di una volta e i consumatori non sono più gli stessi e la loro educazione sensoriale è diversa, e cioè, i cibi "troppo" speziati del Medioevo, per gli uomini di quel tempo non lo erano; mangiare con le mani, che nel Medioevo era normale, per noi non lo è più (mentre si ritrova in altre culture: cuscus marocchino). In ogni caso dovremmo accontentarci di approssimazione, un po' come quando viaggiamo e cerchiamo di comprendere (non possiamo condividere) culture diverse dalla nostra, anche perché i ricettari medievali spesso omettono di precisare la quantità, le dosi degli ingredienti (non per imprecisione, ma perché si rivolgono a un pubblico di professionisti).

Il gusto è un prodotto sociale. L'antropologo Martin Harris ritiene che le scelte alimentari dei popoli e degli individui siano sempre determinate da un calcolo, più o meno consapevole.

dei vantaggi e degli svantaggi conseguenti: i loro gusti sono determinati dalla facilità di reperimento del prodotto, dalla sua idoneità a essere conservato e elaborato e dalla sua capacità di riempire. Infatti, non è sempre detto che le abitudini alimentari corrispondano al gusto degli individui: un conto è mangiare una cosa, sporadicamente o anche d'abitudine, un conto è apprezzarla. I contadini europei, che per secoli hanno consumato pane scuro, non toglie che abbiano sempre desiderato mangiare pane bianco, come i signori e come i cittadini. Se passassimo dal contesto della povertà a quello della ricchezza, il meccanismo di formazione del gusto sembra anch'esso invertirsi: oggetto di desiderio non è più il cibo abbondante, ma quello raro, non quello che fa passare la fame, ma quello che stuzzica e invita a mangiare di più. Un esempio è quello delle spezie, che nel Medioevo ebbero un successo.

Straordinario sulla tavola dei ceti dominanti, mentre furono poi progressivamente abbandonate nel corso del Seicento, quando la maggiore offerta sul mercato e il conseguente calo dei prezzi le resero accessibili a una fascia più ampia di consumatori. A quel punto non furono più indicative della distinzione sociale, perciò le élite ricercarono nuovi motivi di distinzione - nel burro, nella pasticceria o nelle verdure fresche dell'orto - un recupero di modelli alimentari contadini.

Dimmi quanto mangi… Jacques Le Goff ha scritto che nel Medioevo il cibo era "la prima occasione per gli strati dominanti della società di manifestare la loro superiorità": da ciò ne deriva che l'abbondanza di cibo segnalava una situazione di privilegio sociale e di potere; il fatto di mangiare molto, tuttavia, si configurava come una sorta di obbligo sociale a cui il signore non poteva venir meno, e ciò era legato anche

a una concezione muscolare e fisica del potere che vedeva nel capo un valoroso guerriero, il più forte e vigoroso di tutti, il più capace. Ne conseguiva, come ideale estetico, un generale apprezzamento del corpo robusto: essere grassi è bello, è segno di ricchezza e benessere. Questa necessità di cibo funzionale alla sopravvivenza quotidiana si traduceva anzitutto in un desiderio di quantità: il desiderio della pancia piena e della dispensa ben fornita; mentre la qualità veniva dopo. Con il passare dei secoli, però, il tema della quantità di cibo come funzione del potere e del prestigio sociale viene declinando: il potere stesso è concepito in altro modo, ovvero come un diritto acquisito, funzione spettante per via ereditaria. Il passaggio da una "nobiltà di fatto" (alto) a una "di diritto" (basso Medioevo) fa si che mangiare molto diventi un diritto che si può - non necessariamente-esercitare: l'importante ora è avere a disposizione più cibo possibile sulla tavola. Non mancano, nelle culture premoderne, fenomeni marginali diversi: anche la magrezza e la snellezza possono essere una virtù: a poco a poco, già nel corso del XIX secolo e poi soprattutto nel XX, mangiare molto ed essere grassi cessa di essere un privilegio, tanto è che l'abitudine a mangiare e ostentare molto si ridefinisce come pratica "popolare" (media e piccola borghesia, proletariato urbano e ceti contadini). Intanto i potenti elaboreranno altre forme di distinzione: mangiare poco o mangiare soprattutto vegetali; il modello alimentare ed estetico della magrezza, arricchito di implicazioni salutistiche, trova ampia diffusione in Europa nella prima metà del Novecento. Dopo l'esperienza della guerra, però, che riporta la fame, i modelli tradizionali riprendono il sopravvento: negli anni Cinquanta le figure femminili che

Campeggiano sui cartelloni pubblicitari sono improntate all'immagine di una corporeità florida e "piena". Una cultura storicamente segnata dalla paura della fame condiziona atteggiamenti e comportamenti, e l'attrazione dell'eccesso, a questo punto ricomincia a colpire: nei paesi ricchi le malattie ad eccesso alimentare diventano un fenomeno di massa sostituendo le malattie da carenza.… E che cosa? "Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei" (Brillet-Savarin): il modo di mangiare rivela la personalità e il carattere di un individuo, o meglio, il modo di alimentarsi deriva da una determinata appartenenza sociale, e al tempo stesso la rivela; quindi anche la qualità del cibo, oltre alla quantità, ha un forte valore comunicativo ed esprime un'identità sociale. Dai testi antichi sembra chiaro che il nobile si qualifica soprattutto come consumatore di carne (selvaggina); l'immagine del contadino

è legata ai frutti della terra: cereali, ortaggi, zuppe e minestre oltre che discrete quantità di carne (soprattutto il maiale). Altre forme d'identità sociale mediate dal cibo sono quelle che riguardano i religiosi, sacerdoti e monaci: quest'ultimi in particolare seguono delle regole che scandiscono ogni gesto della vita quotidiana, come quello di escludere la carne dalla dieta poiché negarsi la carne significa allontanare sé la lusinga del potere, scegliendo volutamente (non dettata dalla povertà) alimenti "poveri" presi a prestito dal mondo contadino come segno di umiltà spirituale: gli ortaggi, i legumi, i cereali; a costoro si addice una dieta "leggera", che favorisca l'avvicinamento al cielo (ecco perché escludono di norma la carne ma fanno spesso eccezione per i volatili che vengono considerati "cibi da nobili"). Il legame fra consumi alimentari e stili di vita,definiti in rapporto alla gerarchia sociale, prosegue:
  • nell'Europa del XVIII secolo il caffè fu percepito come bevanda "borghese", mentre il cioccolato era un consumo "aristocratico";
  • nel secolo successivo però, il caffè era già diventato una bevanda "popolare" in Francia, così come il tè lo era diventato in Olanda o in Inghilterra o la patata che nell'Europa del XVIII era ritenuta cibo da contadini, nel secolo successivo entrò nell'alta cucina borghese: i simboli sono un prodotto culturale e cambiano da un'epoca all'altra, parallelamente al cambiare dei comportamenti della società. È una delle forme di "revival folklorico" (Tullio Seppilli) ossia uno dei modi con cui la società contemporanea "recupera" il passato stravolgendone i significati.

Cibo e calendario: una dimensione perduta?

Le società tradizionali collegavano

la preparazione e il consumo dei cibi a una determinata ricorrenza del calendario: Natale aveva i suoi cibi e così Pasqua; Carnevale non era Quaresima e l'estate non era inverno. Anche in questo fenomeno però gli aspetti culturali prevalgono su quelli naturali:

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A.A. 2018-2019
10 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/14 Critica letteraria e letterature comparate

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lazzerimartina9 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letterature comparate e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Proietti Paolo.