FIA SALUTE
CAPITOLO 1
Francesco Bausi sottolinea come l’interpretazione della Divina Commedia sia
inevitabilmente critica, proprio perché genera discussioni e letture differenti. Singleton
descrive la selva oscura come “uno spazio senza collocazione fisica”, mentre altri
studiosi vi leggono un’allegoria di Firenze o del cammino di formazione di Dante, che si
fa simbolo del viaggio dell’intera umanità.
Dante evoca Camilla, figura mitologica che combatte al fianco di Turno contro i latini
nell’Eneide di Virgilio: una donna guerriera, consacrata alla dea Diana (Artemide), che
da bambina venne salvata dal padre gettandola in un fiume. Camilla morirà in un
ultimo scontro.
Il Veltro può essere visto come un cane destinato a fronteggiare la lupa; un simbolo di
modestia, dato che con questo termine si designavano anche le urne elettorali; oppure
può rappresentare una figura umile o una zona tra Feltre e Montefeltro. Questo cane,
identificabile con un imperatore riformatore come Cangrande della Scala, Enrico VII o
con lo stesso poema dantesco, combatterà la lupa (immagine dei vizi capitali) usando
la sapienza, l’amore e la virtù.
Dante fonde elementi della cultura gotica e della tradizione classica, con Virgilio
emblema della ragione. Pascoli interpreta tutto questo come una maturazione
dell’essere umano nel suo percorso verso la salvezza.
1.2 Tra l’impero e la “nuova” Italia
Dante si scaglia contro l’Italia del suo tempo, colpevole di decadenza politica e morale:
attacca i religiosi corrotti, le lotte intestine e l’infedeltà alle leggi giustinianee. Egli
ritiene che solo la figura dell’imperatore possa riportare ordine e giustizia.
Nel canto VI del Purgatorio, l’incontro tra Virgilio e Sordello – entrambi mantovani –
esprime il valore dell’identità comune. Dante usa un linguaggio elevato e istituzionale.
Camilla incarna la donna che lotta con coraggio per amore e per un bene superiore.
Nell’Epistola V, Dante presenta Enrico VII come sovrano inviato da Dio. Il Convivio
elogia la ragione come strumento per distinguere il giusto dallo sbagliato, mentre nel
De Monarchia Dante distingue nettamente i ruoli del potere spirituale e temporale, tra
papato e impero.
Virgilio, da pagano, non riesce a cogliere la dimensione provvidenziale dell’impero. Le
tre qualità che guidano il Veltro – intelletto, amore e virtù – richiamano la Trinità.
L’Italia, rappresentata con umiltà come la Vergine Maria, si apre alla salvezza divina. Il
titolo “Fia Salute” allude a una doppia redenzione: spirituale e corporale, che avviene
attraverso Beatrice.
A differenza di questa visione salvifica, nelle rime petrose la figura femminile esprime
l’asprezza della vita e l’esperienza del dolore.
CAPITOLO 2
2.1 Elezione aristocratica e cavalcantismo letterario
A Lecce, si distinguono due dantisti: Aldo Vallone e Mario Marti. Vallone pubblica
diversi studi sulla critica dantesca, mentre Marti esordisce nel 1952 studiando gli
aspetti stilistici di Dante. Marti vede Dante come uno scrittore dell’anima e descrive
l'amicizia tra lui e Guido Cavalcanti, con cui Dante condivideva inizialmente temi
poetici simili. Tuttavia, in "Donna pietosa" e "Voi che savete", Cavalcanti sviluppa una
sua fisionomia. La loro amicizia si riflette in poesie come "Guido, i’ vorrei che tu Lapo
ed io" e "S’io fosse quelli che d’amor fu degno". Il rapporto tra loro si interrompe nella
"Vita Nova", quando Guido critica l’amore che conduce alla morte e alla disperazione,
mentre Dante vede l’amore come elevazione spirituale.
2.2 L’altro Guido
Nel canto XXVI del Purgatorio, Dante chiama Guinizelli "padre mio", riconoscendo in lui
il primo ad usare il volgare come tecnica espressiva. Cavalcanti, protagonista di una
novella del Decameron, è descritto come un uomo cortese e cavalleresco, ma anche
un aristocratico magnate. Muore nel 1300 a causa di febbri. Suo padre, Cavalcante de
Cavalcanti, viene esiliato e poi ritorna a Firenze. Guido viene promesso sposo a
Beatrice, figlia del capo ghibellino Farinata degli Uberti, per creare pace tra guelfi e
ghibellini. La divergenza tra Dante e Guido si manifesta nella "Vita Nova" e
nell'Inferno, dove Dante incontra Cavalcante de Cavalcanti che chiede di suo figlio
Guido.
2.3 Filologia e critica fra Comedìa, scelte esistenziali e arengo politico
Dante menziona più volte Averroè e, mentre Guittone non usa il volgare, Guinizelli
influenza anche Cavalcanti con il suo uso del volgare. La critica politica di Guido e
Dante diverge, con Guido come magnate aristocratico e Dante che valorizza la nobiltà
d’animo. Dante risponde a Guido nella Divina Commedia, contestando i cattivi maestri.
Per Cavalcanti, la donna non è un angelo ma sembra un angelo, mentre per Dante è
una mediatrice tra uomo e Dio.
CAPITOLO 3
Matelda una e “trina”. Sull’ideologia edenica di Dante
Nel Purgatorio, le donne che si pentono dei propri errori si riuniscono a Dio. Pia de’
Tolomei, Marzia, Matelda e Beatrice d’Este sono alcune di queste figure. Dante ricorda
in un sogno una donna orribile che vanta la vittoria su Ulisse. Nel cerchio dei lussuriosi,
Dante incontra Forese de Donati, che loda sua moglie Nella per le sue preghiere che
hanno accelerato il suo percorso purgatoriale. Francesca rappresenta la passione
carnale. Dante, purificandosi, si lega alla parola di Cristo. Nel 28esimo canto del
Purgatorio, Matelda preannuncia la salvezza di Dante, legandosi a Catone per l'idea di
libertà. Matelda immerge Dante nel Lete e lo affida alle virtù cardinali e teologali. Per
Squarotti, Matelda rappresenta la natura perfetta e innocente.
3.1 Matelda e l’ideologia dell’Eden
L’Eden è il luogo privo di peccato, simboleggiando l’età dell’oro prima del peccato
originale. Matelda è separata da Dante da un fiume e ricorda Eva per la sua fiducia in
Dio. L’amore di Matelda è carità, amore di Dio. Matelda potrebbe rappresentare varie
figure storiche o mitologiche, come Matilde di Canossa o Astrea. Grazie a Beatrice,
Dante raggiunge il paradiso terrestre, passando da lumen naturale a lumen gratiae.
Matelda è una figura umana e preternaturale che accompagna Dante nella sua
metamorfosi spirituale.
3.2 Dall’oscurità alla luce della speranza
Matelda, nel paradiso terrestre, rappresenta l’innocenza primordiale e la saggezza
umana, guidando Dante nel recupero della sua eredità perduta. Beatrice diventa
simbolo dell'arrivo di Cristo nell’avvento, culminando con l’ascesa di Dante alle stelle.
Capitolo 4
4.1 La silloge di Ferdinando Donno
Ferdinando Donno e Antonio Bruni, entrambi originari di Manduria, ebbero vite e
carriere notevoli nel contesto letterario e religioso del loro tempo. Ferdinando Donno,
nato nel 1591, si formò a Lecce, una città di grande importanza nel regno di Napoli.
Lavorò come umanista, magistrato, gesuita ed educatore di coscienze. Studiò presso il
convento dei domenicani e, dopo un periodo difficile di ritorno da Lecce, si trasferì a
Napoli e Venezia. A Venezia, che era un centro editoriale di grande rilevanza, Donno
pubblicò "La musa lirica". Venezia, all'epoca, era un importante punto di collegamento
tra oriente e occidente e un centro economico influente.
Donno divenne arciprete a Manduria e considerava la città un rifugio sacro, come
espresso nel suo idillio "La partenza", dove denunciava i mali e gli uomini superbi. Nei
suoi scritti, usa immagini bibliche e descrizioni macabre di cadaveri e scheletri. Egli
era anche preoccupato per la sua reputazione, come emerge in altri suoi
componimenti.
A Napoli, Donno fu ammesso all'Accademia degli oziosi, un'istituzione prestigiosa e
competitiva. Tra i fondatori dell'Accademia vi era Giovan Pietro d’Alessandro, autore
nel 1613 di "Academiae ociosorum libri IIII". Donno, insieme a Bruni, fu ammesso tra il
1614 e il 1615 e dedicò un componimento all'Accademia, il sonetto "La musa lirica",
composto da 143 componimenti e un poema in ottave chiamato "Gli amori di Leandro
ed Ero".
Leandro ed Ero sono due personaggi mitologici che si innamorano ma sono ostacolati
dalle loro famiglie. Ero lascia una lanterna accesa per guidare Leandro attraverso il
mare che li separa. Donno paragona questi personaggi ai monumenti viventi dell'arte
e della cultura, ispirandosi a Bruni, Marino, Tasso, Petrarca e Girolamo Fontanella di
Napoli.
L'Accademia degli oziosi rappresentava l'ascesa intellettuale ed era associata al cielo
eterno, simile a una scala insuperabile dalla morte e dal tempo. Manso, custode e
capo dell'Accademia, era un importante sostenitore di Tasso e Marino e ospitò John
Milton, che gli dedicò il componimento poetico "Mansus".
Antonio Bruni, rimasto a Roma, faceva parte dell'Accademia degli umoristi come
censore e collaborava con Marino. Scrisse "La selva di Parnaso", una raccolta di
componimenti.
4.2 Girolamo Fontanella
Nel Seicento, l'ideale di bellezza femminile cambiò, includendo anche donne dalla
carnagione scura, ricce e rosse, e le rappresentazioni della vita quotidiana. Anche gli
animali invertebrati assunsero importanza nella letteratura, come le api, gli insetti e i
grilli. Un esempio è il brindisino Materdona, che cantò le lodi della zanzara. Nato nel
1590 a Mesagne, Materdona viaggiò molto e fu un ammiratore di Marino. Partecipò
all'Accademia degli umoristi e pubblicò le "Rime boscherecce" a Bologna.
Girolamo Fontanella, nato nel 1612 a Napoli, seguiva uno stile più leggero del
marinismo, criticava i vizi umani e cantava le lodi della bellezza non convenzionale.
Partecipò a varie accademie napoletane e reagì all'eruzione del Vesuvio con l'ode
"L'incendio rinovato". Tra il 1633 e il 1645 pubblicò tre delle sue opere principali:
La prima edizione delle "Odi" nel 1633, con una dedica a Bonaventura Cavalieri e, nel
1638, una seconda edizione divisa in tre libri dedicati rispettivamente ad Anna Carafa,
Cosimo Pinello e Don Giovanni Acquaviva d’Aragona.
"Napoli nove cieli" nel 1640.
"Elegie" nel 1645.
L'ultima opera di Fontanella fu pubblicata postuma da Giovan Battista Risico di
Simone. Nell'opera "Alla sepoltura del Sannazaro", Fontanella rende omaggio a Tasso.
"Napoli nove cieli" è dedicata al Granduca di Toscana Ferdinando II e descrive vari cieli,
tra cui quello di Venere, diviso in scherzi pastorali e mar
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