non può mancare in lui, come in molte vite dei grandi uomini, basti pensare ai
numerosi malanni che lo affliggevano, ai suoi denigratori e agli avversari
invidiosi di lui.
Inoltre, egli descrive altri lati di lui, come il suo carattere moderato e lieto,
l’accoglienza che riservava ai forestieri, il dedicarsi alla cura di uve e viti, e in
generale all’agricoltura.
2) “Tanto bevve Arianna”. Francesco Redi tra poesia e Nuova
scienza Una nuova “lettura” del mondo
Nato nel 1626, lo scienziato aretino Francesco Redi è celebre come fondatore
della biologia sperimentale e riconosciuto come padre della parassitologia
anche a livello internazionale, effettuando la prima osservazione diretta dei
vermi parassiti dell’intestino di diversi mammiferi, e innumerevoli sono le sue
scoperte in campo medico.
Inoltre, va ricordata la sua attività linguistico-letteraria nell’Accademia della
Crusca, in cui si può ricordare quella relativa al campo medico, con una
significativa opera di svecchiamento del lessico, con abbandono di antiche
denominazioni di origine araba in favore delle forme di origine classica.
Egli opera all’interno dell’Accademia del Cimento, il gruppo scientifico
costituito dai naturalisti toscani dell’ultimo Seicento, collaborando con Torricelli,
Magalotti e con altri discepoli dello scienziato pisano. Nel 1649 acquista anche
un cannocchiale appartenuto a Galileo.
Egli fu sempre fedele all’esame dei fatti, che lo spingeva a distinguere il
proprio lavoro scientifico dalle forme superstiziose e insieme dai principi
religiosi.
La sua prosa è chiara, comunicativa e funzionale alla comprensione da parte
dei destinatari.
Si può ricordare lo “stilema rediano”, una ricorrente struttura di frase che
prevede la presenza del verbo in apertura senza esplicitazione del soggetto
(“pruovano una continua abbaglianza di mente”).
Va ricordata la sua collaborazione con Viviani e con il grecista Anton Maria
Salvini, assieme ai quali teneva le redini della vita culturale e accademica del
Granducato di Toscana.
Importante fu l’amico napoletano Giuseppe Valletta, filosofo e giurista, che
aveva anche contribuito a rilanciare l’Accademia degli Investiganti,
antiaristotelici, con alcuni esponenti poi sottoposti a processo per proposizioni
ereticali e ateismo.
Sul versante delle amicizie e delle relazioni che ebbe Redi, va ricordata Maria
Selvaggia Borghini, poetessa pisana e dama di corte, che aveva compiuto studi
di teologia, coltivano rapporti epistolari con uomini del suo tempo tra Firenze e
Napoli.
Redi era al corrente anche delle satire che in città colpivano la Borghini,
animando le accademie con atteggiamenti ironici e misogini. Tuttavia, la
fondazione dell’Arcadia apriva nuove possibilità anche alle donne colte, tanto
che la Borghini ebbe un ruolo di rilievo e riuscì a superare la delusione di non
essere ammessa alla fiorentina Accademia della Crusca. Un crocevia culturale e
civile
Fu anche poeta di ditirambi, tra i quali si ricordano il Ditirambo Arianna
Inferma e il Bacco in Toscana, con toni comico-giocosi.
Il metro è vario e il ritmo concitato, per celebrare gli effetti del vino,
all’insegna della gioia e dell’ebrezza della vita.
Dopo un prolungato periodo di pausa, Redi aveva ricominciato a lavorare al
Ditirambo all’inizio del 1684. Redi immaginava che in uno dei loro frequenti
viaggi, Bacco e Arianna si fossero fermati con il loro seguito nella villa medicea
di Poggio Imperiale; Cosimo II de’ Medici era assimilabile a Bacco, mentre la sua
corte ai satiri e alle ninfe.
Nel Ditirambo, oltre a celebrare tutti i tipi di vini, Redi si dilungava, per
contrapposizione, nella condanna di bevande non autoctone, che stavano allora
diventando di moda, come il cioccolato, il tè e il caffè. Si può notare l’uso
abbastanza frequente del vezzeggiativo, del superlativo e del diminutivo, ai
quali Redi affidava il compito di dare una patina di dolcezza alle proprie parole,
secondo un gusto codificato poi dall’Arcadia.
Nel Ditirambo si può percepire l’amicizia di Redi con il viaggiatore e scienziato-
filosofo Lorenzo Magalotti, al quale Redi sottoponeva i nuovi versi e chiedeva un
giudizio, e a cui dedicherà alcune sue opere.
3) Magalotti scrittore, filosofo della nuova scienza Fra metodo
e critica
Lorenzo Magalotti viene criticato arduamente nel quadro della produzione
letterario-scientifica toscana del Seicento; forse a lui nuoce la vastità dei suoi
interessi, che andavano dall’indagine scientifica, alle divagazioni morali, ai
resoconti di viaggio, alla diplomazia, alla gastronomia, alla traduzione, e più in
generale alla mediazione culturale.
L’esperienza in Europa attraverso i suoi viaggi (tra i suoi resoconti, si ricordano
Relazione d’Inghilterra e Diario di Francia) e le sue attività diplomatiche, in
particolare, dava a Magalotti un rilievo forse superiore ad altri scienziati-letterati
fiorentini, più limitati nella loro esperienza di cultura e letteratura, ma
accomunati dal superamento dell’esperienza barocca.
Tra il 1680 e il 1684 Magalotti si dedica alla stesura delle 37 Lettere familiari;
di tema apparentemente religioso, le Lettere suscitano subito vivaci polemiche
per la lettura libertina che molti ne fanno.
Per il ricorso alla tipologia della Lettera, si nota come viene preferito il
momento della discussione a quello dell’acquisizione della nuova conoscenza
scientifica. L’interlocutore è concepito come “doppio”, anche al femminile, per
attribuirgli le convinzioni filosofiche che lo scrittore stesso non può permettersi
di professare liberamente. Il trasferimento del discorso scientifico su una scena
aperta, come la “villa” magalottiana, si adatta alla procedura, tipica della
scienza nuova, che parte dalle “cose quotidiane” per risalire a speculazioni
incredibili e invisibili agli occhi di tutti.
Nel 1692 Magalotti viene richiamato a corte e ammesso in Arcadia con il nome
di Lindoro Elateo, e divenne l’anno successivo primo consigliere di Stato.
Ricopre questa carica per quasi vent’anni, manifestando il suo filo anglismo in
politica estera, che forse contribuì alla sua iscrizione alla Royal Society.
Accademico e scrittore
Va ricordata l’esperienza accademica di Magalotti con Redi, fra l’Accademia
del Cimento e l’Accademia della Crusca.
Magalotti scrive venti trattatelli, indirizzati a vari suoi amici e pubblicati
postumi, che si possono dividere in due gruppi: il primo di sette unità, redatte
prima del 1667, anno di scioglimento dell’Accademia del Cimento e di inizio
dell’attività diplomatica all’estero dell’autore, e il secondo delle rimanenti
tredici, scritte successivamente, linguisticamente caratterizzate da una
maggiore libertà lessicale.
Inoltre, lo scienziato e filosofo naturale intraprese, in compagnia di Paolo
Falconieri, il primo di tre viaggi che lo portarono nelle maggiori città europee,
raccogliendo informazioni sulle più avanzate novità intellettuali, con particolare
attenzione alla riflessione sulle correnti libertine in materia di religione e di
politica.
Nel 1695 vengono pubblicate le sue Lettere sopra le terre odorose d’Europa e
d’America dette volgarmente buccheri: il bucchero è una terra odorosa di colore
rossastro-scuro, adoperata fin dal XVII secolo per produrre pastiglie profumate,
ma anche vasellame.
Magalotti vuole suggerire una filosofia fondata sui sensi e sui piaceri sottili,
che l’anima prova a contatto con le sensazioni olfattive. L’odore di terra fertile
emanato dai vasetti rossi detti buccheri, secondo lui, stimolava le facoltà
dell’anima a tal punto che, uscendo fuori di sé grazie al diletto sensoriale,
poteva riallacciarsi alla matrice creativa dell’Universo, del quale la madre terra
(il bucchero) costituiva una rappresentazione.
Inoltre, in particolare nella Lettera Settima, si concentra sulla produzione dei
buccheri, con una prima analisi fra dimensione del lavoro e organizzazione
socioreligiosa.
Nel suo periodo arcadico, al bucchero Magalotti dedica anche la sua poesia I
buccheri, presente nella raccolta Canzonette. Un devoto libertino e “l’anima de’
bruti”
Nel 1721 vengono pubblicate le sue Lettere scientifiche ed erudite, venti saggi
in forma epistolare, di cui otto di argomento filosofico-scientifico che risalgono
agli anni 1661-64, mentre quella filosofica, Intorno all’anima de’ bruti,
indirizzata al cardinale Quirini, è del 1710.
In questo componimento si può notare la contrapposizione interna a Magalotti
tra credo religioso e libertinismo: si può vedere nel suo sonetto L’Ateo, infatti,
una chiara critica all’ , come negazione dell’esistenza di Dio e identificazione
dell’uomo in una pura e semplice macchina.
Il vero protagonista della lettera è Becar, cane di Magalotti: il suo padrone
scienziato nota che le reazioni affettive dell’animale sono sempre diverse anche
in presenza degli stessi oggetti o persone, e che quando esso si smarrisce,
riesce a ritrovare da solo la strada di casa.
Magalotti, dunque, elencando determinati passaggi delle Sacre Scritture e
tenendo in considerazione le credenze dei Santi Padri, si ritiene d’accordo con
loro nel ritenere che anche gli animali possiedono un’anima.
Il critico Walter Moretti è tra coloro che riconosce a Magalotti l’appartenenza al
Rococò, per il suo distacco dal Barocco e per la sua apertura precoce verso la
4) Su fascino e fantasia. Fra L.
nascente civiltà del Settecento europeo.
A. Muratori (1745) e G. L. Marugi (1788)
Ludovico Antonio Muratori è stato un erudito che si è distinto per la sua opera
storiografica in adeguamento a una concezione del mondo di matrice cristiana,
come dimostra la monumentale raccolta Rerum italicarum scriptores, pubblicata
in ventiquattro volumi tra 1723 e 1738.
Gli interessi di Muratori spaziavano dalla medicina, alla letteratura, alla
filosofia, allo studio del comportamento umano. Nel 1745 pubblica, infatti,
l’opera Della forza della fantasia umana, in cui analizza le funzionalità di questa
facoltà della mente umana, ma anche i suoi effetti negativi. Secondo lui, il
legame tra fantasia e ragione era stretto, perché una offriva il supporto
materiale all’altra.
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