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LA GIURISPRUDENZA IN
DIRITTO EBRAICO E
ROMANO
MELONE CHIARA
È grande merito dell'avvocato filosofo napoletano Paolo De Angelis avere richiamato l'attenzione su
un testo di Gian Vincenzo Gravina: l’orazione “De juris prudentia”, pronunciata a Roma nel 1699,
poi inserita nella silloge delle Orationes. L'orazione è stata fatta oggetto di nuove, acute riflessioni
in un saggio per la raccolta di scritti in onore di Casavola, intitolato “cosa si debba intendere per
“armata sapientia””.
ARMATA SAPIENTIA
Il titolo della raccolta è tratto da una frase di Gian Vincenzo Gravina, il cui significato è commentato
nel saggio di Paolo De Angelis. L'espressione di Gravina è pregna di un importante insegnamento
morale: la sapientia non deve restare recintata nel cenacolo intellettuale, ma deve percorrere la
città vivente, a combattere armata per la costruzione di una civiltà di giustizia, umanità, solidarietà.
Le due parole sono tratte da una frase nel quale Gravina sintetizza l'essenza della grandezza del
diritto romano.
Nell'orazione la storia del diritto romano è ricapitolata come una grande historia mundi, nella quale
tutto converge: le peregrinazioni degli ebrei esiliati, la divulgazione della parola di Dio attraverso
l’evangelizzazione degli Apostoli, i contatti con i persiani, la creazione di un diritto del mare, comune
a tutti i popoli della terra, l'edificazione di una scienza giuridica fatta di logica, razionalità, equilibrio.
La parabola della iuris prudentia è la stessa della civiltà umana e questa narrazione universale, nella
visione di Gravina, appoggia su due Colonne portanti: l’esilio d'Israele e l'espansione dell'Impero
Romano.
E se appare naturale il collegamento tra Roma e cristianità, non altrettanto risulta la valorizzazione
della lezione ebraica ma risulta brillare di luce autonoma, forte di una propria specificità e
autonomia. Sono stati gli Ebrei a diffondere tra i mortali la ratio del diritto divino, così come sono
poi stati i romani, con le loro vittorie militari, a far conoscere quella del diritto umano.
I Giudei, avendo portato con sé i segreti della legge divina, attraverso gli scambi commerciali con
moltissimi popoli avrebbero irradiato ovunque “Scintille di conoscenze Divine”.
Dalla rappresentazione Graviniana NON traspare nessuna forma di pregiudizio antiebraico.
Ed è molto significativo che alla divulgazione del Vangelo vengano poi collegati due effetti distinti,
in base all'identità di chi l'avrebbe recepito:
❖ gli ebrei non si sarebbero convertiti al cristianesimo, ne sarebbero stati chiamati a farlo, ma
avrebbero semplicemente riconosciuto dalle pagine dei Vangeli alcune delle profezie
bibliche.
❖ tutti gli altri, ossia gentili, sarebbero stati agevolati nella comprensione del messaggio
evangelico, in quanto parte dei suoi contenuti sarebbe stata resa loro già accessibile
attraverso l'insegnamento ebraico. E, soprattutto, l'idea del dio unico non sarebbe
Dettagli
SSD
Scienze giuridiche
IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher chiaram0501 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Lucrezi Francesco Maria.