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Estratto del documento

RAGIONI PRIVATIZZAZIONE

Impulso del diritto europeo prima stimola la liberalizzazione e

indirettamente trascina la privatizzazione. In un mercato che diventa globale, la

competizione tra grandi soggetti richiede di attrarre capitali stranieri.

Far uscire dai consigli di amministrazione dei gruppi pubblici e delle

società partecipate i partiti conseguenza dello scandalo di tangentopoli. I

partiti si spartivano le imprese pubbliche, la privatizzazione sostanziale rompe

questa spartizione.

Riduzione del debito pubblico in Italia è la ragione prevalente. Per

tranquillizzare la Germania e altri paesi UE, l’Italia assume la promessa di

privatizzare in quanto questo significa anche riduzione dei costi per lo stato.

La privatizzazione si compie in due passaggi:

1. Trasformazione dell’ente pubblico in società per azioni

2. Vendita della partecipazione pubblica ai privati

Questo doppio passaggio è necessario, in quanto l’ente pubblico ha un

fondamento di legge, altrimenti andrebbe abrogata la legge, ma sarebbe più

complicato.

Sul piano del diritto positivo, dobbiamo riferirci al decreto-legge 333/1992.

L’art.15 stabilisce che l’IRI, l’ENI, l'INA, l’ENEL sono trasformati in società per

azioni. Quindi i principali enti pubblici vengo privatizzati per decreto.

Il primo problema è stabilire il capitale, l’art.15 stabilisce infatti che il capitale

iniziale di ciascuna delle società trasformate è determinato con decreto del

ministero del tesoro e le azioni sono attribuite al ministro dell’economia; quindi,

vediamo che siamo in una privatizzazione di tipo formale.

Il secondo problema è che queste imprese avevano dei diritti esclusivi che,

una volta trasformati in SPA, vengono trasformati in concessioni ventennali.

L’art.15, però, riguardava solo queste imprese; quindi l’art.18 stabilisce che gli

altri enti pubblici sarebbero stati trasformati in SPA con la delibera del comitato

nazionale per la delibera economica. La finalità principale è la riduzione del

debito pubblico. Questa trasformazione degli enti pubblici in SPA costituisce

solo il primo passo della privatizzazione.

Sent. 466/1993 corte cost. Ha ad oggetto la questione della privatizzazione e

del controllo della Corte dei conti sulle società di cui all’art.15 del decreto

333/1992. Siamo in un giudizio per conflitto di attribuzione dei poteri dello

stato tra Corte dei conti e governo.

La Corte dei conti fa il ricorso rivendicando la competenza di esercitare poteri

controllo sulle imprese dell’art.15. Il resistente è il governo che sostiene che

con la privatizzazione sono venuti meno i presupposti per il controllo.

Sul piano soggettivo, la Corte dei conti sostiene che, in base all’art.100 Cost., le

spetta il potere di controllo sulla gestione finanziaria di enti pubblici.

Il parametro è l’art.100 Cost.

Il controllo della Corte dei conti comportava una partecipazione di un

magistrato della Corte dei conti alle sedute del consiglio di amministrazione

delle imprese.

RIGUARDA QUESTA SENTENZA 13/11/2024

CESSIONE DEGLI ENTI PUBBLICI TRASFORMATI IN SOCIETÀ’ PER AZIONI

Si passa alla fase, quindi, di privatizzazione in senso sostanziale. Nel 1994

viene approvato il d.l. 332/1994 per l’accelerazione delle procedure di

dismissione (= vendita) degli enti con partecipazione dello stato e degli enti

pubblici in società per azioni. Questa normativa, da una parte prevede una

disposizione negativa, ovvero: a queste dismissioni non si applicano le regole

sulla contabilità generale dello stato.

Il secondo problema riguarda a chi vendere queste azioni. L’art.47 Cost.

sancisce di rendere il risparmio accessibile a tutti, in modo non discriminatorio

per la diffusione dell’azionariato tra il pubblico di risparmiatori. Quindi in

qualche modo va favorito un azionariato diffuso. Per ciascuna di queste società

partecipate c’è un DPCM che deve fissare il modo in cui avviene la vendita. Un

primo dubbio da parte dello stato è che se si vendono le azioni a chiunque si

rischia di perdere il controllo, quindi il d.l. prevede la possibilità di costruire un

nucleo stabile di azionisti di riferimento. Quindi, da una parte abbiamo la spinta

a privatizzare, ma dall’altra si pone il problema di chi prende il controllo. Si

prevede quindi la possibilità di creare questo nucleo di azionisti che, in qualche

modo, rispondono allo stato. Questo nucleo stabile si impegna a non rivendere

le azioni.

Inoltre, la spinta è a vendere le partecipazioni societarie in quanto la legge

175/2016 (norma di carattere generale) prevede che tutte le

amministrazioni pubbliche debbano fare una revisione periodica delle

partecipazioni societarie che hanno in pancia, ai fini di fare un programma di

vendita. Quindi, è una norma generale che prevede che tutte le PA hanno

l’obbligo giuridico di fare un piano per capire quali partecipazioni si posseggono

e quali possono vendere.

Subito, però, viene posta una norma speciale per i servizi pubblici. l’art.2

d.l. 332/1994, nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni,

delle fonti di energia e degli altri servizi pubblici, vi sono delle normative

speciali. Nei servizi pubblici essenziali, la cessione della partecipazione statale

è condizionata dalla creazione di autority indipendenti per la regolazione delle

tariffe e il controllo delle tariffe, a garanzia degli utenti.

Una seconda deroga alla norma generale, nell’ambito dei servizi pubblici

essenziali, riguarda i limiti che vengono posti all’autonomia privata, i c.d.

poteri speciali della PA (golden share). Una volta che l’ente pubblico

economico viene trasformato in SPA e le azioni vengono cedute, questa SPA è

in teoria regolata dal Codice civile e i poteri speciali servono per limitare le

possibilità di azione, previste dal c.c., su queste SPA. I poteri speciali spettano,

in particolare, al ministero dell’economia. I poteri speciali sono:

1. Il ministero dell’economia si può opporre all’assunzione di partecipazioni

sopra la soglia del 20%

2. Il ministero dell’economia può opporsi ad un patto tra più soci, c.d. patti

parasociali, con la soglia del 20%

3. Il ministero dell’economia può porre il veto alle delibere di scioglimento,

di fusione, di trasferimento, di cambiamento dell’oggetto sociale della

società

4. Il ministero dell’economia può nominare un amministratore senza diritto

di voto (a prescindere dai numeri di cui avrebbe bisogno per farlo

nominare)

In termini concreti, questi poteri speciali non sono stati utilizzati

frequentemente, ma costituiscono comunque un freno agli investimenti esteri.

Da questo punto di vista c’è stata una controversia con il diritto UE. La

commissione europea iniziò una procedura di infrazione (= la commissione

costata un inadempimento di uno stato membro a un obbligo di un trattato, in

questo caso un inadempimento alla libera circolazione dei capitali). La

commissione accusa l’Italia di limitare, attraverso i poteri speciali, l’ingresso di

investitori stranieri nelle società privatizzate. Questa procedura si chiude con

una condanna dell’Italia da parte della corte di giustizia; l’Italia fece quindi

delle normative per precisare che questi poteri speciali possono essere

esercitati per rilevanti e stringenti motivi di interesse generale, in particolare

con riferimento all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità pubblica

e alla difesa. Quindi si cerca di precisare quando possono utilizzati questi poteri

speciali.

Il paradosso è che oggi il diritto europeo invita gli stati membri a inserire

salvaguardie per controllare gli investimenti esteri diretti nell’UE.

Siamo passati al golden power con il d.l.105/2019 in cui si prevede un

allargamento dei settori protetti, aggiungendo anche le reti di

telecomunicazione elettronica a banda larga; ma soprattutto cambia il

contesto, in quanto il golden power è un potere che il ministero dell’economia

può esercitare nei confronti di tutte le società attive in determinati settori

strategici. La differenzia con la golden share sta nel fatto che questa

concerneva società per azioni con partecipazione dello stato; mentre, con il

golden power, il ministero dell’economia può intervenire su tutte le società che

operano in questi settori, a prescindere dalla partecipazione dello stato.

Il presupposto per l’esercizio del golden power è la minaccia di un grave

pregiudizio per gli interessi pubblici connessi alla difesa e alla sicurezza

nazionale.

Inoltre, nel regime golden share, era il ministero dell’economia che doveva

attivarsi entro un certo termine; mentre, ora sono le società che hanno

l’obbligo di notificare le operazioni sospette. Quindi se ricorre una delle

situazioni in cui possono essere esercitati i poteri speciali, la società interessata

deve notificare l’operazione societaria alla presidenza del Consiglio dei ministri.

Il potere speciale deve essere esercitato entro il termine di 45 giorni dal

ricevimento della notifica. La società che non notifica questa operazione,

potenzialmente oggetto del golden power, subisce una sanzione, che può

comprendere: nullità dell’atto, sospensione del diritto economico, una sanzione

fino all’1% del fatturato.

A completare questo quadro, con una legge del 2005 è stato introdotto l’istituto

della c.d. poison pill, ovvero la possibilità di contrastare scalate ostili

per tutelare l’azionista pubblico in settori strategici con la possibilità

di deliberare un aumento di capitale con la quale l’azionista pubblico

accresce la sua quota. Tutte queste sono deroghe a quanto disposto dal c.c.,

applicabili alle società per azioni che operano in servizi pubblici essenziali.

20/11/2024

CONSEGUENZE DELLA NUOVA COSTITUZIONE ECONOMICA SULLA

FINANZA PUBBLICA

Dobbiamo ricordare come negli ultimi decenni vi sia stato un aumento

poderoso della spesa pubblica. Per politica fiscale intendiamo quella politica

volta a ricavare le fonti di entrata e ad allocare le risorse per avere i servizi

sociali fondamentali, c.d. funzione distributiva dei pubblici poteri.

All’inizio del XX secolo, la spesa pubblica era il 10% del PIL; oggi siamo al 45%

del PIL. Quindi vediamo che il problema del controllo della finanza pubblica è

un problema tipico dello stato sociale; mentre nello stato liberale ci si

accontentava del pareggio di bilancio.

Questo aumento della spesa pubblica per garantire i servizi ai cittadini a

accresciuto il ruolo di intermediazione finanziar

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
57 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/05 Diritto dell'economia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Nicole210 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto pubblico e dell'economia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Losurdo Federico.