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Nel caso di un fatto lesivo commesso da infermo di mente, ne risponde l’azienda sanitaria che
aveva l’obbligo di sorvegliarlo.
L’accertamento dello stato di incapacità di intendere e di volere non è fatto tramite precisi indici
normativi, ma tramite criteri di comune esperienza e nozioni della scienza.
Affinché il soggetto tenuto alla sorveglianza possa dimostrare la sua non responsabilità,
egli può esperire la prova liberatoria con la quale dimostra che l’evento dannoso si è verificato
improvvisamente mentre egli stava tenendo un normale e diligente esercizio della sorveglianza.
Nel caso in cui il danneggiato non consegue il risarcimento da parte del sorvegliante, egli
può ottenere un’equa indennità dallo stesso incapace, autore materiale del fatto lesivo; l’indennità
è misurata dal giudice tenendo conto delle condizioni economiche delle parti.
9. Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori, dei maestri d’arte. L’art. 2048 dispone
che per il fatto illecito commesso da minori d’età non emancipati, capaci d’intendere e di volere,
ne rispondono i genitori e i tutori che non abbiano fatto quanto necessario per impedire il fatto
illecito del minore; responsabili, quindi, non sono solo i genitori e i tutori, ma anche gli adottanti, i
precettori, i maestri d’arte che sono responsabili per il fatto illecito dell’allievo o dell’apprendista.
La responsabilità di questi concorre con quella del minore, ma è autonoma da questa.
Il danneggiato può proporre azione contro i genitori, tutori, precettori, e anche contro il
minore; in seguito il genitore, che ha risarcito il danno provocato dal minore, può agire in via di
regresso nei confronti del figlio.
Per precettore la giurisprudenza intende sia insegnanti di scuole pubbliche e private, sia
istruttori, escludendo però i direttori didattici.
I genitori, se volessero dimostrare la loro non responsabilità, possono esperire la prova
liberatoria che richiede sia una prova negativa, ossia la non possibilità di impedire il fatto, che
una prova positiva, ossia occorre provare di aver svolto con adeguatezza una giusta vigilanza sul
minore e di avergli impartito un’idonea educazione.
Ai fini della prova liberatoria ha molta rilevanza l’educazione impartita e non vengono
tenuti in considerazione i giudizi scolastici, in quanto il minore può avere comportamenti diversi
fuori e dentro la scuola.
Per quanto riguarda, invece, la prova liberatoria dei precettori, ci sono 2 orientamenti:
• il primo ritiene necessario che il fatto illecito dell’allievo sia stato repentino ed
imprevedibile;
• il secondo postula che la vigilanza del precettore non deve essere assoluta, ma relativa,
cioè deve essere proporzionata alla maturazione e all’età dell’allievo.
Non sono responsabili del fatto illecito, commesso dall’allievo durante l’intervallo, gli insegnanti
che stavano operando il cambio; se il fatto illecito dell’allievo, avviene durante l’ora di lezione,
l’insegnate è responsabile se era assente per motivi non giustificati.
Per quanto riguarda i maestri d’arte, ossia coloro che insegnano un mestiere o un’arte,
sono ritenuti responsabili dei danni causati dal minore durante l’apprendimento di una professione.
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10. Responsabilità dei padroni e dei committenti. L’art. 2049 dispone che per il fatto illecito di
commesso o domestico, nell’esercizio delle loro incombenze, ne rispondono i padroni e i
committenti. I presupposti di tale responsabilità sono:
• il fatto illecito deve essere causato dal commesso o domestico;
• un rapporto di preposizione tra il padrone o i committenti e i suoi commessi o domestici; tale
rapporto si può configurare in un lavoro subordinato, o in un mandato. È sufficiente che ci sia
una relazione tra il commesso che agisce in una posizione di subordinazione, e il committente
che ha un potere di direzione, di controllo e di sorveglianza sulla condotta e sull’operato del
commesso; è escluso tra i rapporti di preposizione, che rendono applicabile l’art 2049, quello
d’agenzia e quello d’appalto, perché l’agente e l’appaltatore agiscono in propria autonomia
assumendosi il rischio dell’opera;
• un nesso di dipendenza tra il danno e le incombenze da svolgere; è sufficiente un nesso di
occasionalità necessaria, cioè se le mansioni svolte dal commesso sono state tali da agevolare
o favorire la produzione dell’evento dannoso. Affinché il nesso di dipendenza sia valido, è
richiesto che le mansioni che si stavano svolgendo al momento del fatto, rientrino nell’attività
che è stata affidata: se all’operaio, recatosi in una casa per montare delle tende, viene chiesto
il piacere di aggiustare un televisore, se nell’operazione questo viene danneggiato, del fatto
non ne risponde il titolare della ditta.
• Per quanto riguarda l’onere della prova, se il committente o padrone vuole dimostrare la sua
non responsabilità del fatto, deve provare che non vi sia un nesso fra le mansioni affidate e
l’illecito commesso dal dipendente.
Il committente, che ha risarcito il danno provocato dal commesso, può esperire azione di rivalsa
contro il dipendente stesso per l’intera somma.
Ratio: trattasi di resp. oggettiva per fatto altrui (o indiretta) fondato sulla sussistenza di un rapporto di preposizione e di
un nesso di occasionalità.
La Resp. oggettiva si basa su un principio di equità che impone di trasferire l’obbligo di risarcimento del danno dai
dipendenti ai datori di lavoro, che è il soggetto economicamente più forte, così da assicurare al danneggiato una
completa riparazione del danno subìto.
11. Responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa. L’art. 2050 dispone che chiunque cagioni
danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa per sua natura o per natura dei mezzi
adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il
danno. Affinché un’attività sia ritenuta pericolosa per sua natura o per natura dei mezzi adoperati,
è richiesta l’esistenza di una rilevante probabilità di danno derivante da tale attività, oppure che
tale attività abbia una spiccata pericolosità offensiva; un’attività è valutata pericolosa prima che
accada l’evento e l’accertamento è fatto su criteri di esperienza e su nozioni di scienza.
L’attività pericolosa si distingue dalla condotta pericolosa in quanto la condotta pericolosa
è caratterizzata da un’attività innocua, ma divenuta pericolosa a seguito della condotta negligente
di chi la esercita.
Per le attività pericolose non è necessario dimostrare il nesso di causalità, in quanto è sufficiente
l’esistenza di un nesso intrinseco (eziologico) tra l’attività e il danno.
Nel caso il soggetto che esercita l’attività pericolosa voglia liberarsi dalla responsabilità,
deve dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, comprendendo anche
quelle ancora non obbligatorie al momento del sinistro.
Il soggetto che esercita l’attività pericolosa è liberato dalla responsabilità, se la
partecipazione del terzo è rilevante al punto tale da escludere il nesso causale tra l’attività
pericolosa e l’evento.
Dalla disciplina ex art. 2050 restano escluse quelle attività che, pur se pericolose in sé o per
definizione legislativa, siano tuttavia regolate, quanto alla responsabilità, da norme particolari
contenute nello stesso codice civile. 178
12. Responsabilità per danno cagionato da cose in custodia. L’art. 2051 dispone che ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
L’articolo riguarda i danni cagionati dalla cosa autonomamente, cioè senza che questa sia
azionata o manovrata dall’uomo: se il danno è prodotto a causa di un uso errato o maldestro della
il gestore di un bar è responsabile dei danni
cosa, si rientra nell’ipotesi generale dell’art. 2043. Esempio:
cagionati ai clienti dalla improvvisa esplosione di alcune bottiglie contenenti una bevanda gassata.
Per custode la giurisprudenza intende, il proprietario, l’usufruttuario, l’enfiteuta, il
conduttore, il possessore, ossia colui che esercita un effettivo e non occasionale potere materiale
sulla cosa.
L’onere della prova spetta al danneggiato che deve provare non solo l’esistenza di un
effettivo potere fisico sulla cosa, ma anche un nesso di causalità tra il danno e la custodia
inadeguata del custode. Il custode può liberarsi dalla responsabilità, provando il caso fortuito; per
caso fortuito non s’intende solo il fatto imprevedibile ed inevitabile, ma anche il fatto del
danneggiato e il fatto del terzo: il custode è liberato quando il terzo o il danneggiato abbia fatto un
utilizzo della cosa difforme dagli usi previsti.
La natura della responsabilità si fonda sul dovere di custodia degli oggetti che incombe sul
custode.
13. Responsabilità per danno cagionato da animale. L’art. 2052 dispone che del danno cagionato
da animale ne risponde il proprietario o chi ne fa uso, sia che l’animale fosse sotto la sua custodia,
sia che fosse fuggito o smarrito, salvo che si provi il caso fortuito.
Sono danni cagionati da animali quelli prodotti da un fatto autonomo dell’animale a prescindere,
quindi, dalla guida o da un comando dell’uomo; sono esclusi dalla responsabilità per esempio il
contagio di malattie infettive o il caso in cui un soggetto inciampa su un animale accovacciato.
L’art. 2052 è applicabile per ogni specie di animale: domestico, randagio, feroce,
addomesticato; anche la selvaggina rientra nel campo di applicazione del 2052 e del danno
cagionato ne risponde lo Stato, in quanto la selvaggina rientra nella categoria dei beni patrimoniali
indisponibili dello Stato.
I soggetti responsabili sono sia il proprietario che si serve dell’animale per un determinato
tempo e rispondono non solo per la custodia dell’animale, ma anche se esso fugga o venga
smarrito; tali soggetti possono esperire la prova liberatoria dimostrando il caso fortuito.
Per quanto riguarda la responsabilità, parte della dottrina la configura come una
responsabilità soggettiva, in quanto derivata dalla non adeguata custodia dell’animale; altra parte
la configura, invece, come una responsabilità oggettiva, perché anche un’adeguata custo