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La diplomazia pubblica non può essere solo una tecnica utilizzata da uno Stato per
raggiungere un obiettivo politico; perciò, bisogna ripensarla in termini di una
rivoluzione degli affari diplomatici: lo Stato è sempre cruciale nella sua diplomazia
pubblica, ma è necessario anche coinvolgere e collaborare con soggetti non
governativi e singoli individui. In un modello di questo tipo, allora, è fondamentale per
le nazioni e per le agenzie governative della diplomazia pubblica rinunciare alla
volontà di controllo assoluto su ogni informazione.
I responsabili della diplomazia pubblica devono quindi concentrarsi sul rapporto delle
relazioni people to people (p.e. Obama aveva indicato questa rotta al Dipartimento di
Stato).
2.5. Mondi virtuali, diplogeek e diplomazia diffusa.
Second Life è un mondo virtuale lanciato dalla società statunitense Linden Lab, è una
piattaforma che trova applicazione nei campi di creatività, intrattenimento, impresa,
programmazione, ecc. L’attività del Dipartimento di Stato in Second Life è iniziata nel
2007, l’anno dell’esplosione della SL diplomacy, che ha visto alcuni Paesi addirittura
aprire ambasciate virtuali e centri di cultura.
Tre architetti e docenti egiziani e americani hanno coinvolto i loro studenti in un corso
realizzato tramite Second Life, che ha visto i ragazzi progettare virtualmente edifici
diversi. Tale progetto coglie quello che SL è oggi: non un ambiente dove dei curiosi
girovagano, ma un ambiente usato per progetti, eventi, conferenze, ecc. comuni. I
docenti e gli studenti coinvolti possono essere visti come dei citizen diplomats:
semplici cittadini che, tramite la creazione di relazioni positive con altri sogg.
all’estero, sostengono l’immagine internazionale del proprio Paese.
Infatti, un ambiente eterogeneo in cui soggetti diversi realizzano nuove percezioni
della realtà internaz. può rappresentare un moltiplicatore di credibilità maggiore di
qualsiasi campagna di marketing gestita dal Dipartimento di Stato. Ecco il perché della
richiesta avanzata a Twitter dal Dipartimento di Stato affinché rinunciasse alla
temporanea chiusura del servizio per motivi tecnici nelle fasi del dopo voto iraniano
(2009): perché in quei giorni i social media rappresentavano un ambiente in cui la
comunità transnazionale stava sviluppando uno spazio di comunicazione attorno a
quello che accadeva in Iran, costituendo un elemento di pressione diplomatica per il
regime di Ahmadinejad.
Il progetto Internet in valigia annunciato da H. Clinton nel 2011 può essere visto come
un altro passo verso la creazione di un dispositivo capace di mettere facilmente e
velocemente in piedi reti web alternative capaci di far sopravvivere i flussi
transnazionali di comunicazione ai tentativi dei regimi di mettere offline i propri Paesi.
Sono nati così progetti come: a) ExchangeConnect; b) Co.nx; c) OpinionSpace. A) è un
social network progettato dal Dipartimento di Stato e incentrato sugli scambi culturali,
e permette di condividere post e creare gruppi attorno ai progetti di cooperazioni
culturali promossi dal governo. B) utilizza FB come bacino di sviluppo e interazione per
una comunità di sogg. interessati alla politica globale. C) è una piattaforma dedicata
alla politica estera USA e ha lo scopo anch’essa di creare uno spazio di comunicazione
in grado di coinvolgere cittadini americani e op. pubbliche internazionali (il suo
elemento caratteristico è quello di avvicinare automaticamente persone simili grazie a
un algoritmo).
Nel 2007 il Dipartimento di Stato ha creato una task force, il Digital Outreach Team
(DOT) composta da 10 blogger madrelingua che monitorano i forum e portali di
informazione o blog in arabo, urdu e farsi, intromettendosi nelle discussioni per
portare il pov degli USA. In questo modo, gli USA sono il primo governo ad operare su
piattaforme che non controllano, perché non possono rimuovere commenti, p.e. La
strategia di DOT è quella di tenersi lontani da forum e siti estremisti, concentrandosi
invece su luoghi frequentati da utenti con posizioni di critica/condanna delle politiche
USA ma caratterizzati da un ampio spettro di pov. Questo approccio è un esempio di
microstrategy, che si concentra e presidia pochi luoghi costruendo confidenza con chi
li frequenta.
Va detto che esiste sempre una contrapposizione tra una piccola avanguardia
tecnologica e una maggioranza ancora disinteressata o scettica nei confronti delle
possibilità del web 2.0, e questo vale in tutti i settori governativi, ma va anche
sottolineato che sicuramente questa tensione è acuita entro gli ambienti diplomatici.
L’esito del confronto tra tecno-scettici e tecno-entusiasti è difficile da prevedere, ma è
certo che alcune trasformazioni dovrebbero essere accolte dalla diplomazia: il ruolo
degli Stati deve essere quello di creare ponti (nelle direzioni a loro convenienti) tra le
realtà che esistono e rendere semplice la socialità in rete offrendo strumenti. Questo
approccio è chiamato diplomazia pubblica imprenditoriale: tutti possono diventare
citizen diplomats.
3) Imparare cosa serve in tv e saper fare da soli sul web.
3.1. Il velo di Angelina Jolie e le alluvioni in Pakistan.
Il nuovo Occidente, nato con la caduta del Muro, ha cercato di tenersi unito attraverso
ideali come l’umanitarianesimo e la cittadinanza globale. Questo anche perché le
immagini di CNN, BBC e Al Jazeera attirano l’attenzione delle op. pubbliche creando
fenomeni di globalizzazione della solidarietà; tutto ciò per le ONG ha significato
l’emergere di una consapevolezza mediale, ossia del proprio ruolo di attori nelle
narrazioni mediali del mondo e della necessità di lavorare sulla propria immagine. Si è
trattato di acquisire una mentalità di impresa e di imparare a vendere se stessi e le
proprie emergenze, definire le caratteristiche del proprio marchio in contrapposizione
con gli altri, offrire ai giornalisti info e storie che gli altri non hanno, coinvolgere VIP
come testimonial, ecc.
Il sistema del giornalismo paracadute che catapulta i suoi reporter negli angoli del
pianeta, impone ai giornalisti forme di simbiosi con coloro che si trovano già sul campo
ed è evidente che questa condizione sia una debolezza che le ONG possono sfruttare a
proprio vantaggio nel momento in cui si mettono in condizione di realizzare forme di
embedding umanitario, offrendo informazioni ai giornalisti disorientati e permettendo
loro di seguire le loro attività portandoli sul campo o procurando loro una branda. Lo
scopo è creare empatia tra giornalisti e operatori umanitari, cosa che dovrebbe
tradursi in coperture più attente e precise delle attività.
Sono importanti anche le alleanze transnazionali tra ONG che prevedono la
realizzazione di momenti di sensibilizzazione, p.e. la giornata dedicata all’AIDS o le
grandi campagne mondiali come la Global Call (contro la povertà degli Stati del sud).
In tali modi, le ONG smettono di essere solo fonti e oggetti della narrazione
giornalistica, ma entrano a farvi parte attivamente.
3.2. Le ONG danno informazioni… e soldi.
La crisi economica che ha colpito il giornalismo è un’opportunità per le ONG: se quelle
piccole possono fornire info facendo fruttare la loro immagine, le grandi possono
addirittura diventare finanziatori. Il web è lo strumento migliore per cogliere questa
opportunità: già da tempo sono nati online diversi progetti che permettono alle ONG di
aggregare materiale informativo, metterlo a disposizione delle altre organizzazioni,
delle op. pubbliche e dei giornalisti. Uno dei primi nati è Alertnet, nato in seguito al
genocidio in Rwanda: le comunicazioni tra organizzazioni umanitarie sul campo erano
lente e scoordinate, perciò è stata creata una rete che oggi conta 400 ONG e che
tramite un portale d’info connette le organizzazioni registrate consentendo loro di
pubblicare notizie e aggiornamenti rispetto a situazioni di emergenza umanitaria in
tutto il mondo. Oggi, l’obiettivo di Alertnet è anche quello di mettere a disposizione del
giornalismo professionale le informazioni raccolte, e quindi creare partnership tra ONG
e organizzazioni giornalistiche con il progetto MediaBridge Project.
3.3. Non so curare un ferito ma sono molto bravo a riparare i computer.
[Frase pronunciata da un attivista durante un incontro organizzato da CrisisCommons;
slogan efficace per il variegato gruppo di fanatici della rete e hacker che
periodicamente si riuniscono per unire le competenze informatiche e risolvere i
problemi che sorgono nella gestione di un’emergenza umanitaria.]
L’idea di collegare alla creazione di infrastrutture e piattaforme comunicative le
tematiche dell’umanitarismo non è nuova, ma è stato lo sviluppo del web 2.0 a
rendere possibile la nascita delle ONG ponte, organizzazioni costituitesi all’interno
della rete e che ne hanno assorbito la struttura comunicativa. Il più importante
esempio di queste realtà è Global Voices on Line, che nel 2008 è diventata una vera e
propria ONG e che funziona tramite un network di 300 blogger con lo scopo di dare
visibilità alle info al fine di renderle più accessibili a pubblico e giornalisti. Le ONG
ponte hanno la natura di un hub, di un nodo principe che collega altri nodi secondari
favorendo la comunicazione.
3.4. Barbra Streisand Effect: antagonismo, comunicazione e tecnologia.
Lo Streisand Effect è il fenomeno dell’ecologia informativa della rete che vede il
determinarsi di meccanismi quasi automatici di resistenza alla censura ed è solo un
esempio di quanto il web in quanto ambiente comunicativo possa svolgere un ruolo
cruciale nel supporto alle campagne globali e nel loro coordinamento.
Il ruolo di primo movimento di information guerrilla in grado di sfruttare le potenzialità
della rete è accordato all’Esercito zapatista di liberazione nazionale, che ha
caratterizzato la sua attività per la rinuncia ad azioni violente in favore di una strategia
di comunicazione globale. Tale strategia di comunicazione si è basata: a) sulle
strabilianti capacità comunicative di Marcos (leader di identità ignota, passamontagna
nero e pipa); b) la capacità di proiettare la propria causa nella sfera pubblica
internazionale tramite la produzione prolifica di materiale informativo. Va però detto
che non sono solo i social media a mettere i movimenti sociali nella condizione di fare
completamente da soli, l’interesse dei media tradizionali è ancora fondamentale per
garantire che il flusso di informazioni nato nelle comunità che si creano sul web esondi
verso un pubblico più ampio acquisendo una rilevanz