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Tale processo ha fatto ipotizzare la fine del dibattito pubblico. Più opportunamente, si può parlare
di ridefinizione del dibattito pubblico, figlio dell'intreccio fra le diverse agende mediatiche. Per
questo motivo si parla di post-sfera pubblica. Un esempio, nel 2022, nel bel mezzo delle trattative
per individuare il nuovo Presidente della Repubblica italiana, da un vertice fra i leader politici Letta,
Conte e Salvini emerge la proposta di eleggere una donna. Salvini lo dichiara alla stampa, facendo
partire un immediato tam tam sui social, che individuano la donna prescelta in Elisabetta Belloni.
La notizia è subito rilanciata in TV e commentata dai politici e dagli opinionisti intervistati. In poco
più di mezz'ora non si parla più di "una donna" al Colle, bensì di Elisabetta Belloni. Questo
permette a quanti sono contrari di far partire un fuoco contrario basato sull'incompatibilità con la
carica ricoperta negli ultimi anni dall'interessata. L'esempio permette di sottolineare anche quanti e
quali sono stati gli attori sociali che hanno fatto circolare la notizia: giornalisti, politici, osservatori,
influencer, lobbisti. Tutti contemporaneamente dentro il campo informativo, tutti co-protagonisti
della performance che ha determinato l'esito descritto. A dimostrazione dei confini sempre più
porosi del giornalismo; in cui le linee di demarcazione sono sempre più labili e incerte, fino a
rendere difficile stabilire cosa è giornalistico e cosa è semplicemente comunicazione.
I processi descritti stanno producendo per il giornalismo una progressiva perdita di esclusività nella
descrizione e interpretazione della realtà. Fino a pochi anni fa i giornalisti erano gli unici a entrare
in contatto con le fonti d'informazione e a trasportare ogni singola informazione dalla fonte al
pubblico. Ora il rapporto è circolare, e i processi di produzione, distribuzione e fruizione delle
informazioni vedono la compresenza di tutti i tre diversi attori: fonti, pubblico e giornalisti.
Ma proprio per questi motivi sarà necessario mettere in circolazione informazioni verificate, anzi
fare attività sempre più approfondite di debunking, dimostrando l'infondatezza di notizie o
affermazioni false, e "incorniciare" le notizie, costruendo processi interpretativi che permettano più
stabili attribuzioni di significato. Dunque, il giornalismo, benché fortemente trasformato, continuerà
a essere un'istituzione sempre più strategica per comprendere la realtà.
4. Piattaformizzazione dell'opinione pubblica
Negli ultimi anni è cresciuto l'interesse nei meccanismi alla base dei media online e del loro
impatto sul dibattito pubblico. In particolare, questo percorso si è accentuato in seguito allo
scandalo Cambridge Analytica emerso nel 2018 dopo che Guardian e New York Times hanno
pubblicato una serie di articoli sull'uso manipolatorio di un'enorme quantità di dati prelevati da
Facebook all'insaputa degli utenti da parte di un'azienda di consulenza e marketing online. Dati
che sono stati probabilmente utilizzati durante la campagna di Donald Trump per azioni di micro
targeting politico - l'invio di specifici messaggi a elettori specifici -, sempre su Facebook, sfruttando
algoritmi machine-learning per individuare correlazioni tra i like e altri aspetti delle tracce digitali
degli utenti al fine di creare un profilo di personalità. Nonostante sia sicuramente possibile sfruttare
le informazioni sulla personalità per la persuasione politica, gli effetti prodotti non sembrano avere
un impatto significativo. Ciononostante, il caso Cambridge Analytica ha rappresentato uno
spartiacque culturale nel puntare l'attenzione sui rischi di manipolazione dell'opinione pubblica
attraverso l'uso delle piattaforme online e delle logiche algoritmiche ad esse sottostanti.
Una democrazia ben funzionante ha bisogno di cittadini informati sulle questioni di rilevanza
pubblica. Se questo è un dato acquisito, come si ottenga tale informazione è invece una questione
che risente del sistema mediale entro il quale ci si colloca e delle relazioni di potere che si
stabiliscono tra i diversi attori. È chiaro che il mutamento dell'ecosistema mediale e la migrazione
dai media tradizionali ai social media come fonte delle notizie cambiano le modalità attraverso cui i
cittadini si informano circa le questioni che riguardano la politica. Nelle società contemporanee,
tuttavia, la preoccupazione maggiormente condivisa, non riguarda tanto la mancanza di
informazione, ma l'abbondanza di informazione. L'abbondanza comunicativa deriva dalle
trasformazioni introdotte da internet e dai social media sul versante della produzione, distribuzione
e consumo dell’informazione. Dahlgren, evidenzia il rischio della dispersione e della cacofonia di
voci, con l'inevitabile frammentazione dell'agenda pubblica. Questo rischio viene condiviso e
proiettato sulla stessa audience da parte di Prior, che segnala come i cittadini, di fronte alla
moltiplicazione e alla varietà delle opportunità comunicative, possano sottrarsi alle occasioni
informative relative alla politica, perdendo così un'occasione per formarsi un'opinione. Bennett e
Lyengar evidenziano invece come la frammentazione dell'audience unitamente alla proliferazione
dei canali riduca le occasioni di contatti casuali con contenuti non intenzionalmente selezionati e
aumenti, invece, le occasioni di consumo di contenuti coerenti con attitudini preesistenti.
Realtà Facebook, Instagram, Google, Amazon e Apple hanno colonizzato con le proprie logiche
l'ambiente web in cui si muovono le istituzioni, il mercato e gli utenti, contribuendo a delineare in
maniera decisiva i formati e le modalità di interazione che vengono utilizzati in una parte sempre
più rilevante del dibattito pubblico, divenendo così i nuovi "custodi di internet”.
Le piattaforme online operano dando forma alla partecipazione e alla socialità attraverso i social
media (come Twitter, Facebook, Instagram, TikTok) e promuovendo la disintermediazione di
mercati settoriali (come Amazon, Uber). In realtà, ciò a cui assistiamo è una nuova forma di
intermediazione, spesso non percepita dagli utenti, che struttura il flusso informativo e
commerciale attraverso l'utilizzo dei dati comportamentali degli stessi utenti, sottoponendoli alla
logica degli algoritmi e vendendoli al mondo pubblicitario. Le piattaforme online operano una
traduzione dei comportamenti sociali in dati che possono utilizzare a fini di mercato, come, ad
esempio, i nostri like, le pagine che guardiamo e gli account che seguiamo, la tipologia di contenuti
che condividiamo, il tempo in cui ci soffermiamo su un video o sulla ricerca di un prodotto da
acquistare. Gli algoritmi si configurano così come meccanismi automatizzati di selezione e
controllo delle informazioni. La datificazione è la capacità delle piattaforme online di tradurre sotto
forma di dati degli aspetti della realtà che precedentemente non erano quantificabili. Non solo
quindi variabili sociografiche o preferenze degli utenti ma anche i meta-dati che ci accompagnano
nella vita quotidiana, come la posizione dal GPS o il riconoscimento del device che stiamo
utilizzando, il tempo passato sulla piattaforma, ecc. Per questo van Dijck, Poell e De Waal parlano
di platform society, per enfatizzare l'inestricabile relazione tra le piattaforme online e le strutture
sociali. Algoritmi persuasivi, intesi come una tecnologia progettata con l'obiettivo di modificare un
determinato atteggiamento o comportamento, sfruttando la persuasione e l'influenza sociale.
Algoritmi che possono, cioè, influenzare ciò che acquistiamo, le notizie che consumiamo e per chi
votiamo. Pensiamo, ad esempio, a come, durante la campagna presidenziale del 2016, Google sia
stato accusata di manipolare i risultati di ricerca per favorire la candidatura di Hillary Clinton.
Barack Obama: se si ottengono tutte le informazioni da algoritmi su un telefono, si rafforzano solo i
pregiudizi che si hanno. È quello che sta accadendo con le pagine di Facebook da cui sempre più
persone prendono le notizie. A un certo punto, si vive in una bolla, e questo è parte del motivo per
cui la nostra politica e cosi polarizzata in questo momento.
"Vivere in una bolla" rappresenta oggi un modo per descrivere una forma di isolamento informativo
e il fatto che si frequentino le opinioni di una cerchia ristretta di persone che la pensano allo stesso
modo, il tutto dovuto dalla centralità che le piattaforme online hanno assunto nelle nostre vite.
Sunsetein evidenzia come i cittadini tendano a confinarsi all'interno di comfort zone informative
chiuse, entro le quali risuonano le stesse parole, gli stessi concetti, le medesime convinzioni, che
finiscono per convalidare e radicalizzare lo stesso punto di vista. Tra le principali conseguenze
della diffusione di camere informative dell'eco ci sarebbero l’auto-esaltazione, che può portare a
forme violente di estremismo, la radicalizzazione della partigianeria, che finirebbe per creare livelli
sempre più preoccupanti di polarizzazione nella società e, infine, una sempre più elevata difficoltà
a distinguere le notizie vere dalle notizie false. Un secondo concetto, è quello di filter bubbles
introdotto da Pariser nel suo libro, in cui descrive come su internet operino filtri di nuova
generazione (oggi diremmo algoritmi) che, in base ai nostri comportamenti online - quello che
leggiamo, su cui ci soffermiamo, che apprezziamo con un like, che compriamo -, selezionano per
noi le informazioni più adatte, creano cioè una "bolla dei filtri" che altera il modo in cui entriamo in
contatto con le idee e le informazioni. Facebook o Instagram ci mostrano, quello che l'algoritmo
che li regola ritiene più adatto ai nostri gusti e a ciò che ci attendiamo, finendo così per collocarci in
un mondo pre-progettato in cui è molto difficile incontrare l’inatteso. Se è vero che i social possono
agevolare lo scambio tra persone simili e rendere più difficile l'incontro e il confronto con coloro che
la pensano diversamente, creando un fertile terreno per la nascita di espressioni di polarizzazione
politica, è altrettanto vero che essi offrono numerose opportunità per entrare in contatto con punti
di vista discordanti e accedere a contenuti altrimenti inaccessibili.
5. Opinione pubblica ed emozioni
Le emozioni fanno parte a pieno titolo dell'opinione pubblica perché: a) influenzano il soggetto che
esprime la propria posizione attraverso il tipo di lavoro emotivo che egli è in grado di mettere in
atto; b) influenzano il modo in cui si ricevono e si valutano le informazioni, le azioni, i discorsi che