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4. COME I GIORNALISTI DEFINISCONO CIÒ CHE FANNO

Il 31 maggio del 2020 il «New York Times» pubblica sul suo sito una dettagliata ricostruzione della

morte di George Floyd, afroamericano di 46 anni, in seguito al suo arresto da parte della polizia.

Per la sua morte saranno considerati responsabili gli agenti che hanno effettuato l'arresto.

Il servizio di giornalismo multimediale abbina il testo (continuamente aggiornato) a un accurato e

dettagliato video; la stessa testata definisce questo servizio come «videoinchiesta». Nel suo

complesso gli elementi di rottura rispetto al modo tradizionale di considerare i prodotti giornalistici

sono molteplici. Innanzitutto, il numero dei suoi autori: a firmare l'articolo sono sei giornalisti. Il

titolo dimostra come il giornalismo americano si sia allontanato da quelle convenzioni e cautele

che lo avrebbero portato a valorizzare solo punti di vista confermati ufficialmente. Alla data di

pubblicazione una versione ufficiale sulla morte di Floyd non c'è ancora. Il giorno stesso della

pubblicazione della videoinchiesta, uno degli agenti coinvolti - Derek Chauvin - è denunciato per

omicidio di terzo grado e omicidio colposo. Soltanto il 3 giugno, dunque 4 giorni dopo la

pubblicazione, gli inquirenti eleveranno il capo di imputazione di Chauvin a omicidio di secondo

grado, accusando anche gli altri agenti coinvolti nell’arresto per favoreggiamento.

Nonostante ancora non sia chiara la verità giudiziaria, l'articolo è in titolato Come George Floyd è

stato ucciso sotto la custodia della polizia, e il sottotitolo recita: Come alcune azioni dei poliziotti

sono risultate fatali. Nessun dubbio, insomma, nessuna attesa della verità giudiziaria.

Il video comincia con qualche parola su George Floyd, l'inchiesta vera e propria parte con l'utilizzo

di immagini prese da una telecamera di sorveglianza che inquadra la macchina di Floyd e il

negozio in cui, prima dell'arrivo della polizia, va a comprare le sigarette. Nella sequenza

successiva ci sono i due impiegati della drogheria che reclamano le sigarette perché l'uomo le

avrebbe pagate con banconote false. Le immagini successive ritraggono l'arrivo della polizia e

l'inizio di una breve colluttazione per farlo uscire dalla macchina. I documenti ufficiali che

verbalizzano l'intervento della polizia parlano di un uomo completamente ubriaco e che compie

gesti violenti. La videoinchiesta evidenzia come, per quanto dai video George Floyd sembri in stato

confusionale, non opponga resistenza agli agenti, fino a quando provano a farlo entrare nella

macchina della polizia. La colluttazione, spiega il video, dipende dal fatto che Floyd è

claustrofobico e non vuole entrare nella macchina. Non si riesce però a vedere il momento in cui

Floyd cade a terra e si ritrova con il volto sull'asfalto, bloccato dagli agenti.

È proprio qui che emerge il terzo elemento di rottura rispetto a una concezione tradizionale del

giornalismo: le prime sequenze di Floyd a terra con tre agenti che lo bloccano sono tratte dalle

riprese di un testimone, dove si vede anche uno dei tre agenti intimare all'autore del filmato di

allontanarsi. Saranno altri due passanti a continuare le riprese e ritrarre Chauvin che preme il suo

ginocchio sul collo di Floyd, il quale reiteratamente dice «I can't breathe», fino a quando non perde

conoscenza. Dunque, la copertura informativa di un fatto di cronaca è generato da una molteplicità

di fonti: documenti ufficiali, video delle telecamere di sicurezza, video di testimoni presenti

all'arresto, mappe, audio. La tecnologia abbatte le barriere per la partecipazione al dibattito

pubblico e chiunque “abbia uno smartphone e una connessione Wi-Fi potrebbe creare e diffondere

diverse forme di narrazioni multimediali attraverso diversi network”. Per “epistemologia” s’intende

la varietà dei metodi utilizzati per venire a conoscenza dei fatti, comprenderne la portata e

decidere eventualmente di trasformali in notizia, verificandone l’affidabilità e stabilendo le modalità

della narrazione. Sistematizzando i principali approcci epistemologici distinguendo 3 aspetti:

1. La concezione dei giornalisti della realtà che raccontano. Tale dimensione appare cruciale per

comprendere se per i giornalisti la ricostruzione della realtà è certa, tangibile, concreta oppure

la immaginano come una catena di ricostruzioni fatte da terze persone.

2. Le evidenze empiriche presentate e discusse dal giornalista, che non sempre mostra delle

prove, ma ricostruisce la realtà grazie alle dichiarazioni e alle testimonianze delle fonti. Nel

caso di Floyd un giornalista poteva limitarsi al documento ufficiale della polizia, secondo il

quale prima dell'arresto Floyd era «completamente ubriaco» (l'autorevolezza della fonte

sarebbe bastata), oppure confrontare tale ricostruzione con quelle provenienti dalle

telecamere, che mostrano come l'arrestato fosse sì in stato confusionale, ma non violento.

3. Il livello di affidabilità conferito alle diverse fonti. I giornalisti possono basarsi prevalentemente

su fonti ufficiali, oppure allargare la loro ricognizione a fonti alternative, che normalmente non

possiedono l'autorità e l'autorevolezza per attrarre l'attenzione dei media.

Se dagli USA arriviamo in Italia, si può fare riferimento alla morte di Stefano Cucchi, a Roma nel

2009, sottoposto a custodia cautelare per possesso di stupefacenti a fine di spaccio, muore

nell'ospedale dove era stato trasferito. Alcune ricostruzioni riportano come già durante la prima

udienza di conferma dell'arresto Cucchi mostrasse ematomi e avesse difficoltà a camminare. Le

sue condizioni peggiorano rapidamente. Già il giorno dopo l'arresto è al pronto soccorso. Qui sono

messe a referto lesioni, ecchimosi e fratture. Nonostante ciò Cucchi rifiuta il ricovero ed è

ricondotto in carcere dove le sue condizioni di salute peggiorano: riportato in un altro ospedale,

muore di lì a poco. Il titolo dell’articolo è: Cucchi: Stefano subì lesioni, morto per disidratazione;

approvata relazione commissione inchiesta su servizio sanitario. In un contesto in cui i testimoni

oculari non hanno potuto impugnare il loro telefonino per filmare gli accadimenti, la ricostruzione

rispetto alla morte di Cucchi si ferma a quella ufficiale dei consulenti tecnici.

La diffusa partecipazione di differenti attori al processo di ricostruzione degli eventi non indebolisce

il giornalismo, bensì lo rafforza.

2. Sul perché bisogna credere ai giornalisti

Verifica delle informazioni:

1. La concezione che i giornalisti hanno del reale: la verifica giornalistica attribuisce

all’informazione la certificazione sia dell’indubitabilità del “fatto”, sia della sua rilevanza e del suo

grado di pubblico interesse. I fatti sono selezionati in base a procedure operative che definiscono

cosa sia d’interesse pubblico e all’individuazione di una serie di criteri atti a favorire la

trasformazione degli eventi selezionati in notizia. Sono processi di standardizzazione delle fasi di

raccolta e verifica delle informazioni che servono per ridurre a routine l’imprevisto. Dietro tali

processi risiede una larga condivisione su cosa sia importante e opportuno da portare a

conoscenza dell’opinione pubblica. Oggettivo è il metodo non il giornalista. Un’oggettivazione delle

pratiche professionali quotidiane necessarie ad assicurare la credibilità del giornalismo. I giornalisti

raccontano quanto sembrerebbe essere accaduto; quanto le loro fonti affermano essere accaduto.

Quando i giornalisti ragionano sui metodi per rappresentare la realtà si dispongono su un asse che

ha ai due poli l'oggettività e la soggettività, determinando cosa siano i fatti e come usarli nelle loro

ricostruzioni. La collocazione che essi si danno su quest’asse può dipendere da molti fattori: dalla

loro posizione in redazione, dal tema di cui si devono occupare, dall'eterogeneità od omogeneità

degli argomenti con cui hanno a che fare, ma soprattutto dalle tradizioni giornalistiche presenti. Ad

esempio in Italia, Paese a lungo caratterizzato da una concezione politica e pedagogica del

giornalismo, sono stati favoriti l'opinione e il commento rispetto alla fattualità e ciò ha portato a

ridurre molto il dibattito sull'obiettività giornalistica, ritenuta un falso problema proprio per

l'impossibilità di arrivare all'oggettività e alla verità.

Il lavoro giornalistico si fonda, dunque, su processi di legittimazione favoriti da procedure

consolidatesi nel tempo, fino a incarnare gli standard di credibilità.

In altre parole, quando si parla di giornalisti con un approccio oggettivo alla realtà, non significa

che operino alla ricerca di una fedele riproduzione di un accadimento a cui non hanno assistito,

bensì che la loro ricostruzione si basa su un pragmatismo operativo teso ad assicurare una

consistenza realistica - per quanto approssimativa - dell’accaduto.

2. Attraverso quali prove ed evidenze legittimano le ricostruzioni giornalistiche: si riferisce al

modo in cui il giornalismo legittima e giustifica la veridicità di quello che racconta. I giornalisti

possono presentare prove di quello di cui parlano, portare evidenze tangibili, visibili, oppure fornire

ricostruzioni convincenti. Il primo atteggiamento è tipico delle inchieste; il secondo è più tipico degli

editoriali o dei retroscena, dove è importante saper mettere assieme diversi tasselli in maniera

convincente. Si può fare riferimento anche alle sperimentazioni del public journalism, sviluppatesi

negli anni ‘80 e ‘90 del ‘900 negli USA, tese, invece, a un'ossessiva ricerca di racconti che fossero

in grado di scavare più a fondo nella vita delle persone e dei luoghi in cui le testate erano

pubblicate, avvalendosi proprio della collaborazione del pubblico, in grado di connotare gli

accadimenti con sensibilità differenti rispetto a quelle routinarie prodotte dalle rigidità organizzative

dei giornalisti. Una tensione nata dalla consapevolezza dei limiti delle ricostruzioni giornalistiche.

3. L’affidabilità che attribuiscono alle fonti: la relazione fonti-giornalisti differisce notevolmente a

seconda che si tratti di fonti ufficiali oppure di fonti e voci alternative. Una dettagliata analisi

comparativa che ha coinvolto 11 paesi mostra come nel giornalismo italiano per 7 notizie su 10 sia

utilizzata soltanto una fonte, con un evidente sbilanciamento a favore delle fonti ufficiali.

I giornalisti, più che limitarsi ai fatti, delimitano i fatti, stabilendo quali fare entrare nel racconto

giornalistico e quali, invece, lasciare fuori.

Essere obiettivi non vuol dire limitarsi a descriver

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
15 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher elisalizza di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Giornalismo e sfera pubblica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Sorrentino Carlo.